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Quando i cervelli fuggono nascono meno imprese*

Molti giovani hanno lasciato l’Italia negli ultimi anni, soprattutto durante la crisi. Quali sono stati gli effetti sull’imprenditorialità? Una ricerca stima quante imprese in meno sono state costituite, in particolare tra quelle ad alta innovazione.

Emigrazione e imprenditorialità: come stimare il nesso?

Sempre più italiani, soprattutto giovani, lasciano il paese. Le conseguenze dell’ondata migratoria sono ormai una costante nel dibattito italiano, ma ci si è concentrati finora sulle implicazioni per la demografia (anche su lavoce.info) e lo stock di capitale umano (pari a un punto di Pil all’anno secondo stime di Confindustria citate anche dal ministro Giovanni Tria).

Tuttavia, se coloro che se ne vanno sono giovani e hanno elevata professionalità e propensione all’imprenditorialità, l’emigrazione potrebbe anche ridurre il potenziale di crescita del paese. Recenti ricerche individuano infatti una correlazione tra invecchiamento della popolazione e minor creazione di impresa. Quanto è rilevante il fenomeno nel caso italiano?

Vi sono alcuni ostacoli nello stabilire un effetto causale tra emigrazione e creazione di impresa. Il principale è la cosiddetta casualità inversa. Poiché spesso si emigra in risposta a una economia stagnante, un minor numero di nuove imprese, e quindi una minore creazione di posti di lavoro, potrebbe essere la causa, e non l’effetto, dell’emigrazione. In secondo luogo, il fenomeno migratorio non si osserva mai completamente poiché la maggior parte delle persone (fino a due terzi secondo nostre stime) non registra il cambio di residenza presso l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire), il che introduce un errore, potenzialmente di segno opposto, nelle stime. Tuttavia, per stabilire il nesso causale tra emigrazione e imprenditorialità si può far leva sui fattori che attraggono le persone all’estero, ma che non dipendono dalle condizioni dell’economia locale (un’idea già sfruttata nella letteratura). Un importante fattore di attrazione è la presenza di un network di concittadini nel paese di destinazione, che funge da rete informativa e di supporto per cercare un impiego o opportunità imprenditoriali. Un secondo importante elemento è il tasso d’espansione dell’economia della nazione di destinazione. L’interazione tra le due variabili consente quindi di costruire una misura dell’attrazione verso l’estero, per ogni singolo comune di origine degli espatriati, che non è legata alle condizioni economiche correnti.

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Si creano meno imprese innovative

Lo studio, i cui risultati principali sono stati ripresi anche nella Relazione annuale sul 2018 della Banca d’Italia, sfrutta il tasso di emigrazione predetto in base a questa metodologia in ciascuno dei sistemi locali del lavoro (Sll) italiani. La figura 1 mostra l’evoluzione del numero di imprese attive nei Sll in cui è predetta alta emigrazione (in nero) e in quelli a bassa emigrazione (in grigio tratteggiato). La dinamica nel numero di imprese nei due gruppi è simile fino al 2009-2010, quando il boom di emigrazioni è iniziato. Da quel momento in poi, le due linee divergono mostrando una perdita molto più marcata per i sistemi locali ad alta emigrazione. Il differenziale di crescita è quasi interamente dovuto a una minor nascita di nuove imprese più che a una loro maggior mortalità. In particolare, stimiamo che per ogni mille emigrati siano state create circa cento imprese in meno, tra quelle gestite da giovani under 45. Nei territori ad alta emigrazione si registra, in particolare, una minor nascita di startup innovative.

Il 60 per cento del numero inferiore di aziende è attribuibile semplicemente a un effetto “di sottrazione demografica”: poiché i giovani hanno un’alta propensione alla creazione d’impresa, meno giovani implicano meno imprese. Vi si aggiunge un’altra componente (pari a circa il 35 per cento dell’effetto totale) dovuta al fatto che chi rimane nel paese ha in media un minor tasso di imprenditorialità rispetto a chi emigra e, in parte a un effetto di ricaduta, poiché ogni impresa in meno riduce anche le possibilità per altri imprenditori di iniziare una nuova attività. Un residuale 5 per cento circa è attribuibile alla minore domanda locale di beni e servizi causata dalla riduzione della popolazione e dal minor numero di imprese.

Figura 1 – Numero di imprese attive nei sistemi locali del lavoro ad alta (in nero) e a bassa (in grigio tratteggiato) emigrazione durante il periodo 2008-2015

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Fonte: Anelli, Basso, Ippedico e Peri (2019).

Quali prospettive?

I flussi emigratori possono influenzare l’economia del paese di origine in modo rilevante e, a priori, ambiguo da un punto di vista teorico. La letteratura economica più recente ha enfatizzato gli aspetti positivi su coloro che restano, tra cui un innalzamento dei salari e un riequilibrio dei mercati del lavoro se l’emigrazione avviene da paesi ad alto tasso di disoccupazione verso paesi a più bassa disoccupazione. Fare esperienze fuori dal proprio contesto di origine può generare altri benefici per il paese di origine: chi emigra può trasmettere, magari al suo rientro, nuove competenze e consentire l’avvio di relazioni commerciali e produttive. Il nostro lavoro suggerisce che la decisione di lasciare il paese, presa da un numero sempre maggiore di giovani, può avere anche conseguenze negative sull’imprenditorialità. In un paese che cresce poco, da un punto di vista economico e demografico, si rischia di innescare una potenziale spirale negativa che ne aggrava la stagnazione.

* Le opinioni espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente agli autori e non impegnano in alcun modo la responsabilità della Banca d’Italia.

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  1. Savino

    In Italia sono rimasti, volutamente, per poter emergere, solo la stupidità, l’ignoranza, l’egoismo, la disumanità, l’ostentazione e l’esibizionismo, che, miscelati, fanno il declino trash di questo Paese e della sua popolazione senior. Forse vivranno più larghi e vivranno più a lungo, dopo essersi tolti di mezzo quei rompiscatole e quei sofisticati degli under 45, ma, di sicuro vivranno peggio e più isolati dal resto del mondo, persi nella dabbenaggine della loro superiorità sovranista. Intanto tutto il mondo (anche quello che, fino a poco tempo fa, non ti aspettavi) va avanti ed il mediocre italiano, col vanto di essere mediocre, va indietro.

  2. Fabrizio Fabi

    Lavoro interessante, tesi che condivido. Oltre che per l’Italia attuale, vale per quella del passato, con l’emigrazione dal Sud che ha fortemente deprivato l’area di capacità imprenditoriali. E vale certamente per i paesi africani di oggi; ho ascoltato più volte l’ambasciatore del Marocco che segnalava il medesimo depauperamento del suo paese a causa dell’emigrazione verso l’Europa.Tornando all’Italia, non mi sembrano esserci dubbi che la causa sia l’immane blocco di interessi corporativi (dal familismo amorale alla partitocrazia) che ha creato lo spaventoso degrado della politica e dell’amminstrazione pubblica che ci soffoca e ci spinge a scappare, se appena possiamo.

  3. Attilio Pandini

    Lodevole la premura di cautelarsi con le ipotesi: “L’emigrazione potrebbe anche ridurre il potenziale di crescita del paese”; “Il minor numero di nuove imprese potrebbe essere la causa e non l’effetto dell’emigrazione”, ecc. Anche se talvolta si cede alla tentazione dell’ovvietà: “Un importante fattore di attrazione dei giovani è la presenza all’estero di un gruppo [anzi, di un network: fa più fine] di concittadini che fungono di supporto”. ( Gruppi in ogni caso meno consistenti, per forza di logica, di quelli esistenti in Italia). Provo dunque a formulare qualche altra ipotesi: 1) Di solito nei Paesi di destinazione c’è più domanda di lavoro; 2) Di solito in quei Paesi l’inizio di un’attività è più facile, meno costoso, spesso favorito; 3) In Italia (e in Grecia!) si riconosce per legge valore legale ai titoli di studio, cioè si aprono le carriere statali alle schiere di giovani (meno preparati ma meglio giudicati nel voto di laurea) provenienti dalle università-diplomifici. Con l’effetto di abbassare sempre di più il livello della nostra burocrazia e di spingere molti dei migliori giovani verso l’emigrazione.

    • Vittorio

      Questo commento è il motivo per cui i giovani continuano ad abbandonare il nostro paese.Vorrei precisare che non ci sono diplomifici, questa è solo una sua impressione non supportata da nessun dato oggettivo, dato che siamo il paese con la percentuale più bassa di laureati. Inoltre la pubblica amministrazione ha un’età media molto elevata quindi la burocrazia farraginosa del Bel paese è il risultato dell’incapacità di lavoratori in età avanzata che lei ritiene più esperti.

  4. Agata

    Se ne parla da tanto tempo… Piaga sociale… a tutti i livelli.
    Fuggono già dal Sud a partire dalla fine delle superiori (causaanche i test di sbarramento – università a numero chiuso in Italia). Non si può fare di meglio in Italia?

  5. C. Veronesi

    Nonostante i rumori e i timori di crisi, nei paesi industriali europei persiste la domanda di mano d’opera straniera. Come scrive qui Attilio Pandini, la richiesta delle loro economie è ben più vigorosa di quella del mercato italiano. Un esempio. Un recente studio dell’UBS, di cui dà notizia la Tribune de Genève, prevede che nei prossimi dieci anni verrebbero a mancare alla Confederazione più di 300mila lavoratori. Secondo l’UBS – scrive la Tribune – “l’economia elvetica dovrebbe creare, in quel periodo, circa 520mila nuovi posti di lavoro, ma soltanto 200mila persone sarebbero disponibili, con un deficit di 320mila posti”. Che sarebbero coperti, come la tradizione svizzera insegna, con l’allungamento dell’età pensionabile, la diminuzione dei lavori a tempo parziale, il riassorbimento di una percentuale dei disoccupati (qui già ridotti all’osso); ma anche con un nuovo ricorso a un (“modesto”, si augura il giornale) aumento dell’immigrazione. Perché gli immigrati residenti in Svizzera già si aggirano sul 24% della popolazione. Come se oggi in Italia, su 60 milioni di abitanti si contassero 14,4 milioni di stranieri, invece degli attuali 5,15 milioni.

  6. davide445

    Di solito non faccio riferimento ad altri ma mi é capitato di leggere questo articolo che fa riferimento agli stessi problemi qui trattati, e non è possibile non notare la stridente differenza con le politiche nostrane

    https://www.cnbc.com/2019/08/05/poland-and-croatia-propose-scrapping-income-taxes-for-young-people.html

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