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L’ombra del coronavirus sulle immatricolazioni*

Il Covid-19 farà calare le iscrizioni all’università? E diminuirà la mobilità per motivi di studio? Una ricerca sugli atenei piemontesi sembra smentire le preoccupazioni, almeno nel medio periodo. Ma serve più impegno per garantire il diritto allo studio.

Iscrizioni all’università dopo la pandemia

È opinione diffusa che la pandemia da Covid-19 avrà ripercussioni sulle iscrizioni all’università. La preoccupazione non riguarda solo l’Italia, ma anche i paesi anglofoni, seppure per motivi in parte diversi. Secondo i dati Ocse (2019), infatti, nelle università di Stati Uniti e Regno Unito si iscrive circa un terzo del totale degli studenti internazionali, che dunque costituiscono un’importante fonte di finanziamento degli atenei. Nel Regno Unito, ad esempio, il 37 per cento delle entrate da tasse universitarie proviene da studenti internazionali.

Nel nostro paese, invece, quali sono i timori principali? In primo luogo, che la crisi economica alimentata dalla pandemia possa incidere negativamente sulla decisione di immatricolarsi all’università, analogamente a quanto avvenuto in seguito alla crisi del 2008. Un timore paventato dallo stesso ministro Gaetano Manfredi in un’intervista rilasciata a La Stampa lo scorso aprile.

Non mancano i dubbi sull’opportunità di paragonare la recessione del 2008 a quella che si profila nel 2020 – perché differenti sono le ragioni che le hanno originate nonché gli strumenti adottati a livello nazionale (ma si potrebbe dire europeo) per contrastarle. Tuttavia, se si accettasse il parallelo, bisognerebbe aspettarsi una battuta d’arresto delle immatricolazioni dopo un quinquennio di crescita – che è stata diversa nelle diverse aree geografiche del paese: +13 per cento immatricolati residenti al Nord, +9 per cento nel Centro Italia e +8 per cento tra i residenti al Sud (figura 1).

Se le immatricolazioni subissero un freno, a esserne maggiormente colpiti sarebbero probabilmente gli atenei del Sud: da un lato, perché nonostante l’incremento degli ultimi anni, gli immatricolati residenti nel Meridione sono oggi un numero nettamente inferiore a quello di una decina di anni fa, dall’altro, perché una quota cospicua di studenti del Sud migra verso atenei al di fuori della regione di residenza. Per esempio, nell’arco temporale 2007/2008-2016/2017, in cui vi è stato un calo generalizzato degli immatricolati residenti nel Sud, negli atenei del Piemonte si registra un trend crescente di studenti provenienti da quelle regioni (linea viola nella figura 2).

Per quale motivo? Perché gli studenti si spostano, e non solo per il prestigio dell’ateneo, l’offerta formativa, i servizi, la qualità della vita e l’offerta cultural-ricreativa della città sede di studio, per le condizioni del mercato del lavoro: in particolare nei periodi di crisi economica, quando le prospettive lavorative sono scarse, gli studenti sono probabilmente spinti a emigrare verso quelle sedi universitarie che promettono condizioni occupazionali migliori.

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Il Covid-19 frenerà la mobilità studentesca “interna”?

La seconda preoccupazione è che la pandemia possa limitare la mobilità studentesca a causa del timore del contagio, dell’incertezza circa lo svolgimento della didattica in presenza o online, della possibilità di risparmiare sui costi di mantenimento e, perché no, del ritorno d’immagine negativo delle regioni più colpite dal virus. Se questo accadesse, sarebbero soprattutto gli atenei del Nord Italia a risentirne.

L’impatto del Covid-19 sulle immatricolazioni negli atenei piemontesi

L’Ires Piemonte ha provato a stimare in un recente studio quale sarà l’impatto della pandemia sulle immatricolazioni negli atenei piemontesi analizzando separatamente l’effetto dei due fattori: crisi economica e flessione della mobilità studentesca.

Alla luce dell’andamento storico degli immatricolati, si è ipotizzato che in Piemonte la crisi economica determinerà esclusivamente un calo degli immatricolati residenti nella regione. Nello specifico, si è supposto che il tasso di passaggio all’università torni al livello più basso riscontrato nel periodo storico di crisi economica, ovvero che il 61 per cento di diplomati piemontesi si iscriva all’università (due punti percentuali in meno rispetto al 2018/2019); di questi, l’82 per cento si immatricolerà in un ateneo del Piemonte, un valore stabile da almeno una dozzina d’anni. Sotto questa ipotesi, complessivamente gli immatricolati negli atenei piemontesi si ridurrebbero del 5,5 per cento.

Per quanto riguarda le conseguenze dell’emergenza sanitaria sulla scelta su dove iscriversi, si è supposto che le intenzioni di iscrizione dei residenti nelle regioni limitrofe al Piemonte non si modificheranno, mentre concerneranno in particolare i residenti al Sud e gli studenti internazionali, che potrebbero optare per atenei più prossimi alla propria residenza. Poiché la composizione “geografica” della popolazione studentesca è differente a seconda dell’ateneo, le stime hanno esito diverso. Nello scenario peggiore si è previsto un calo del 3 per cento di immatricolati al Politecnico di Torino, presso cui gli iscritti sono equamente ripartiti tra residenti in Piemonte e fuori Piemonte; dell’1,5 per cento all’Università di Torino, presso cui l’81 per cento degli studenti è piemontese; e nessun effetto al Piemonte Orientale perché il 91 per cento degli immatricolati proviene da Piemonte e Lombardia.

Combinando insieme i due effetti – crisi economica e ridotta mobilità studentesca – il totale degli immatricolati in Piemonte potrebbe contrarsi di un valore non superiore al 6 per cento.

Anche se nell’immediato il Covid-19 potrebbe contenere gli spostamenti degli studenti per motivi di studio, nel medio periodo non interromperà i flussi migratori. Gli studenti intenzionati a studiare altrove rispetto alla propria residenza sono motivati, infatti, anche dal desiderio di vivere un’esperienza al di fuori del proprio nucleo familiare. La facilità di reperimento delle informazioni grazie a Internet, la diffusione della lingua inglese in molti atenei, i minori costi dei mezzi di trasporto hanno ridotto considerevolmente le distanze, per cui è facile attendersi una sempre maggior diffusione della mobilità studentesca non solo all’interno del territorio nazionale ma oltreconfine. In breve, gli studenti non smetteranno di “votare con i piedi” e gli atenei si troveranno in futuro ancora a contendersi gli iscritti.

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Misure a favore del diritto allo studio

Se nel medio periodo si può prevedere una ripresa “a pieno regime” della mobilità degli studenti, l’eventuale diminuzione della domanda di formazione terziaria a causa della crisi economica necessita di essere contrastata con misure specifiche. Nel decreto Rilancio il governo ha stanziato 205 milioni di euro per l’anno 2020. Le risorse serviranno, in parte, per ampliare la cosiddetta no tax area, ovvero l’area di esenzione totale dal pagamento delle tasse universitarie, elevata da 13mila a 20mila euro di Isee; e in parte per incrementare il Fondo statale integrativo (Fis) che finanzia il pagamento delle borse di studio ai capaci e meritevoli privi di mezzi. Si tratta di misure apprezzabili, ma contingenti poiché valgono solo per il prossimo anno accademico. Ad esempio, il Fis raggiungerà la cifra record di 308 milioni di euro nel 2020 (grazie ai 31 milioni aggiunti con la legge di bilancio 2020 e ai 40 milioni di euro stanziati con il decreto Rilancio), mentre a bilancio 2021 restano iscritti 236 milioni di euro. Cifre che impallidiscono di fronte ai circa 2 miliardi di euro spesi da Francia e Germania per finanziare le borse di studio.

Il nostro paese non può permettersi di investire a intermittenza nel sostegno allo studio: quasi un terzo della popolazione tra i 30-34 anni possiede al massimo il diploma di scuola secondaria inferiore (rispetto a una media Ue del 16 per cento nel 2019), mentre la percentuale di laureati è bassa, nettamente inferiore alla media Ue (27,6 per cento contro il 41,6 per cento – dati Eurostat). Il sostegno a tutto tondo a favore di chi versa in condizioni di svantaggio economico e sociale, affinché raggiunga un adeguato livello di istruzione, dovrebbe essere una costante priorità nell’agenda politica, per i benefici (ormai assodati) che ne derivano ai singoli e alla collettività tutta.

* Le opinioni espresse dall’autrice non impegnano l’istituto di appartenenza.

 

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La retorica leghista fa male ai bambini

  1. Savino

    Al di là del problema covid, le famiglie, con le difficoltà economiche degli ultimi lustri, si interrogano se sia opportuno o meno affidare il futuro dei propri figli ai baroni universitari. Coi concorsi interni truccati, l’inefficacia delle relazioni università-mondo del lavoro, le tasse troppo alte, il rischio di anni persi (perchè riscattare dopo la laurea e non prevedere altre forme di contribuzione previdenziale? Non è un lavoro quello di studiare?), il welfare universitario troppo magro (in termini di borse di studio e alloggi), i precedenti di giovani ricercatori lasciati fuggire all’estero per fare spazio ai figli di papà è ragionevole, quando si parla di università, voltarsi verso altri lidi più concreti.

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