Anche negli Stati Uniti la pandemia cambia l’attitudine verso la sicurezza sociale. L’esposizione oggettiva o percepita al Covid-19 fa aumentare il sostegno ai programmi pubblici di assistenza sanitaria e protezione sociale. I risultati di uno studio.
Le risposte Usa alla crisi da Covid-19
Il Covid-19 ha cambiato radicalmente la situazione personale di milioni di persone. Recenti studi suggeriscono che la pandemia ha colpito in modo particolarmente duro le fasce della popolazione più vulnerabili. Ad esempio, negli Stati Uniti l’incremento della disoccupazione (che ha registrato il tasso più alto della storia moderna) è stato significativamente più forte tra coloro che non sono in possesso di un’istruzione universitaria. E poiché l’assicurazione sanitaria viene comunemente garantita dal datore di lavoro, gli alti livelli di disoccupazione hanno portato a sostanziali riduzioni della copertura sanitaria di molte famiglie proprio in un momento particolarmente critico.
I programmi di assistenza pubblica statunitensi in linea generale non sono disegnati in modo tale da fungere da stabilizzatori automatici e hanno pertanto offerto un grado di protezione più basso (vedi Robert Moffitt e James Ziliak) rispetto ai paesi europei, dove i sistemi sanitari pubblici, combinati con le ambiziose azioni intraprese dall’Unione europea, hanno aiutato a mitigare la crisi.
Le caratteristiche peculiari della crisi hanno portato molti governi europei a introdurre rapidamente misure temporanee per cercare di contenerne i costi (il decreto “cura Italia” ne è un esempio). Anche gli Stati Uniti hanno esteso in via provvisoria i programmi di sussidio alla disoccupazione e di sostegno a quelli sulla sicurezza alimentare, ma ciononostante persiste un sostanziale limite del sistema di sicurezza sociale. Nasce da qui il recente dibattito accademico (per approfondire si vedano ad esempio Marianne Bitler, Hilary Hoynes e Diane Whitmore Schanzenbach; Josh Bivens e Ben Zipperer) che si inserisce in una discussione di più largo respiro.
Il merito e la necessità di riforme che garantiscano una copertura sanitaria più ampia e, più in generale, una maggiore tutela delle fasce di reddito medio-basso è infatti uno dei temi più discussi nel dibattito pubblico statunitense degli ultimi anni. Oggi è al centro della campagna elettorale per le presidenziali e trova sempre maggior spazio sui media (si veda ad esempio David Brooks).
Come cambiano le preferenze per i programmi di protezione sociale
Un nostro studio testa la possibilità che l’esposizione al Covid-19 abbia influenzato le preferenze dei cittadini statunitensi riguardo ai programmi di protezione sociale. Abbiamo svolto un’indagine su un campione rappresentativo di 2.516 cittadini Usa membri del panel Understanding America Study registrando il loro livello di sostegno all’espansione degli investimenti pubblici per aumentare la copertura sanitaria, la protezione del reddito dei disoccupati e, più in generale, la spesa pubblica. Abbiamo associato le loro risposte a diverse misure di esposizione alle conseguenze del Covid-19, che includono tanto misure oggettive, come il numero di decessi o contagi per coronavirus nella contea di residenza e le variazioni locali del tasso di disoccupazione, quanto misure soggettive, come la percezione della probabilità di esposizione alla malattia e della possibilità di subire danni economici.
Dall’analisi dei dati emerge che gli individui più esposti alle conseguenze reali o percepite del Covid-19 sono in genere più favorevoli all’allargamento di (breve e) lungo termine dei programmi di sicurezza sociale e, più in generale, a una maggiore spesa pubblica. Naturalmente, una certa associazione tra il supporto per politiche di questo tipo e l’esposizione al Covid-19 potrebbe essere dovuta ad altri fattori concorrenti. Eppure, i risultati evidenziano che le associazioni persistono controllando per le preferenze politiche precedenti alla pandemia e per le caratteristiche demografiche degli intervistati.
I nostri risultati suggeriscono che i cittadini stanno considerando le conseguenze del Covid-19 e stanno rivalutando le loro preferenze relative ai programmi di sicurezza sociale. Ovviamente, una riforma di queste politiche richiede anche di individuare i mezzi di finanziamento necessari per la loro realizzazione. La nostra analisi non evidenzia una disponibilità a pagare più tasse per finanziare l’espansione dei programmi di sicurezza sociale, ma sembra emergere una maggiore tolleranza per il finanziamento attraverso deficit.
Se la pandemia ha spostato le preferenze degli americani verso un sistema di sicurezza sociale più simile a quelli europei, è allora utile analizzare l’esperienza di questi paesi durante la crisi. Anche gli stati europei hanno dovuto affrontare tensioni e compromessi (vedi Gianmarco Daniele, Andrea Martinangeli, Francesco Passarelli, Willem Sas e Lisa Windsteiger). Per esempio, analogamente a quanto mostrato dal nostro studio, Dirk Foremny, Pilar Sorribas-Navarro e Judit Vall Castelló documentano il sostegno degli spagnoli per uno spostamento della spesa pubblica verso l’assistenza sanitaria, senza però che vi corrisponda una volontà di contribuire ulteriormente al suo finanziamento.
Una maggiore tolleranza per la spesa in deficit potrebbe suggerire la ricerca di un modo per attenuare lo shock negativo dovuto alla pandemia spostandolo in parte sulle generazioni future. D’altronde, la mancanza di volontà della generazione attuale di contribuire direttamente con tasse più alte al finanziamento delle politiche di welfare potrebbe rivelarsi problematica per la loro sostenibilità. Probabilmente, oggi è il momento migliore per sottolineare che le tasse sono il nostro contributo a una società equa e ben funzionante.
Le conseguenze disastrose della pandemia hanno portato a riflettere sui programmi di protezione sociale. Ora, forse, riceveranno l’attenzione e il sostegno necessari per una loro riforma che permetta di affrontare meglio le prossime sfide sociali.
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Professore Associato di Business Economics e Public Policy (BEPP) a Wharton e Faculty Research Fellow al National Bureau of Economic Research. Ha completato i suoi studi universitari e il suo dottorato di ricerca in economia presso la Cornell University, dove ha anche lavorato come professore associato prima del suo periodo a BEPP. Alex si occupa di economia comportamentale, concentrandosi sul design delle politiche quando gli individui rispondono agli incentivi in modo distorto. Le applicazioni di questo lavoro includono i sistemi fiscali, i meccanismi di assegnazione scolastica e i contratti di incentivazione, portando il Professor Rees-Jones a lavorare regolarmente con i professionisti sulla valutazione e l'ottimizzazione delle politiche che progettano.
Assistant Professor di scienze politiche presso l’University of Exeter - Business School e ricercatore affiliato al Tax Administration Research Centre (TARC). La sua ricerca si colloca nel campo dell'economia politica comparata e indaga il variegato rapporto tra i cittadini ei loro stati. Più recentemente, si è concentrato sulla tassazione e sul comportamento fiscale in Europa e in America.
Ramon y Cajal Fellow all’Univ. Autonoma di Barcellona (UAB) ed affiliato a Barcelona Graduate School of Economics (BGSE), Barcelona Institute of Economics (IEB) e MOVE. Amedeo si è dottorato in economia alla Toulouse School of Economics (2008) e all’università Bicocca (2009). Precedentemente, ha ottenuto la laurea in economia e commercio all’università di Torino (2002) ed il master in economia all’università Bocconi (2003). Amedeo si è interessato principalmente all'interdipendenza simultanea tra aziende, policy maker e votanti/consumatori. Nella sua ricerca combina strumenti e copre temi tipici dell'economia pubblica, dell'economia politica, delle scienze politiche e dell'organizzazione industriale. La sua attuale ricerca comprende tre linee principali: una relativa all'economia politica del federalismo, un'altra sui diversi aspetti dell'economia pubblica e delle politiche fiscali e, infine, una sugli aspetti di economia industriale legati alle nuove tecnologie.
Post-Doctoral Research Fellow al Tax Administration Research Centre (TARC), University of Exeter - Business School e ricercatore affiliato al Barcelona Institute of Economics (IEB). Precedentemente ha ricoperto diverse posizioni alla Barcelona Graduate School of Economics (BGSE), Università Autonoma di Barcellona (UAB), IEB e Università Bocconi. Dopo gli studi all’Università Bocconi, Luca si è dottorato in economia (cum laude) alla School of Economics dell’Università di Barcellona. I suoi principali interessi di ricerca si rivolgono all’economia pubblica e in particolare riguardano l'economia della tassazione, l'analisi dei sistemi tributari e delle politiche di amministrazione fiscale, l’economia politica del federalismo, e la microeconomia applicata.
Savino
Sanità nazionale, organizzazione sanitaria nei pronto soccorsi e sul territorio, nuova gestione della medicina di base, sanità domiciliare, mobilità urbana pubblica e per i pendolari delle zone interne, urbanistica delle aree metropolitane e dei borghi con relativo riferimento al concetto di città diffuse per evitare l’isolamento periferico, tempistica delle prestazioni lavorative, contrattualizzazione di lavori autonomi ambigui, conciliazione tra tempi di lavoro e di vita, invecchiamento della popolazione e questione demografica, pensionamenti troppo precoci, precarietà lavorativa, precarietà giovanile, eccesso di sicurezze per i seniores a discapito del resto della collettività, eccesso di incrostazioni corporative nel mondo del lavoro e delle professioni, questioni infrastrutturali materiali e immateriali, istruzione e formazione come elemento di equità sociale. Queste ed altre le esigenze di welfare e benessere. L’imponibile fiscale deve essere il patrimonio, lo stock di beni che un individuo possiede, profondamente iniquo continuare a far fare la dichiarazione dei redditi, cioè far scattare le imposte sul flusso di danaro che sorge dall’utilizzo dei fattori produttivi, sia per i dipendenti che per gli autonomi.