L’accordo dell’ultimo minuto sulla Brexit ha dato regole specifiche al divorzio tra Regno Unito e Ue. Ma il quadro generale resta incompleto e lascia molte questioni irrisolte. Le discussioni tra le controparti continueranno ancora per molto tempo.

Un accordo sul filo di lana

Quando nel dicembre scorso Unione Europea e Regno Unito hanno firmato il cosiddetto “Brexit deal”, i mercati hanno tirato un sospiro di sollievo perché sul filo di lana si è evitato un rovinoso “No deal”, un nulla di fatto che, in mancanza di regole specifiche, avrebbe portato con il nuovo anno a una riconfigurazione caotica delle relazioni economiche tra le due parti.

Se l’accordo ha dato regole specifiche al divorzio tra Regno e Unione, il quadro resta comunque incompleto e lascia molte questioni irrisolte, sulle quali le controparti continueranno a confrontarsi per molto tempo.

Date l’intensità e la complessità dei rapporti economici intessuti per decenni tra il Regno Unito e gli altri membri dell’Unione Europea, il “Brexit deal” è un lungo documento che copre molteplici aspetti. Per ragioni di spazio, ci soffermiamo qui in modo selettivo su alcuni punti di generale rilevanza per le imprese. Chi fosse interessato a saperne di più può leggersi le 1.246 pagine dell’accordo, armandosi di una buona dose di determinazione e di pazienza (qui).

La questione delle “regole di origine”

Per quanto riguarda il commercio di beni, l’accordo garantisce che la maggior parte delle merci scambiate tra l’Ue e il Regno Unito non verrà colpita da nuovi dazi o restrizioni quantitative. Tuttavia, gli esportatori britannici ed europei dovranno affrontare una serie di ostacoli normativi o barriere non tariffarie, che renderanno più costoso e gravoso fare affari nei rispettivi mercati esteri.

La questione più delicata riguarda le cosiddette “regole di origine”, in base alle quali le aziende devono certificare l’origine locale delle loro esportazioni perché possano qualificarsi per l’accesso senza dazi. In particolare, ci saranno limiti sulla proporzione minima di valore aggiunto locale (britannico o europeo equivalentemente) che deve essere contenuto nelle merci assemblate a partire da componenti estere. Per esempio, nel settore automobilistico i veicoli a benzina o diesel dovranno essere realizzati con almeno il 55 per cento di contenuto locale per sfuggire ai dazi. Per favorire la transizione ecologica, i veicoli elettrici e ibridi potranno invece contenere fino al 60 per cento di valore aggiunto estero, ma la percentuale dovrà scendere al 55 per cento entro il 2026. Le batterie potranno contenere il 70 per cento di valore aggiunto estero, ma dovranno ridurlo nello stesso periodo di tempo al 50 per cento. Ulteriori restrizioni scaturiranno dalle procedure di controllo e certificazione, nella misura in cui l’assenza di un accordo di riconoscimento reciproco automatico implica che gli organismi di regolamentazione del Regno Unito non saranno in grado di certificare i prodotti per la vendita nell’Ue e viceversa.

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Per controllare il rispetto delle regole d’origine sulle merci in transito, vengono introdotti controlli doganali ai confini tra Regno Unito e Ue, anche se con l’impegno congiunto di seguire le migliori pratiche internazionali e di ridurre nel tempo il relativo onere burocratico. Tuttavia, per evitare che la reintroduzione di un confine sorvegliato tra Irlanda del Nord e Repubblica di Irlanda potesse provocare un ritorno agli scontri violenti del passato tra i sostenitori dell’unificazione irlandese e quelli della lealtà al Regno Unito, il confine doganale tra questo e l’Ue è stato posto tra l’isola di Irlanda e quella della Gran Bretagna, cioè all’interno del Regno stesso. Controlli doganali interni di questo tipo si trovano di solito solo in paesi in via di sviluppo.

Concorrenza leale

La convergenza su regole comuni di concorrenza leale (level playing field) è stata una delle questioni più complicate dei negoziati. Entrambe le parti si sono impegnate a mantenere i propri standard di trasparenza ambientale, sociale, fiscale e di difesa dei diritti dei lavoratori, al fine di evitare una concorrenza al ribasso volta a promuovere la competitività delle proprie imprese. Inoltre, le due parti si impegnano a non usare i soldi pubblici in modo surrettizio per dare un vantaggio alle proprie imprese. A entrambe le parti viene impedito di fornire una garanzia statale illimitata per coprire i debiti o le passività delle imprese. Mantenendosi in linea col diritto comunitario, il Regno Unito non potrà salvare un’impresa in fallimento senza un piano di ristrutturazione. Inoltre, Regno Unito e Ue dovranno rendere pubblici in modo trasparente tutti i sussidi che decidono di concedere.

Molte questioni restano dunque aperte e nuove questioni inattese probabilmente faranno capolino nei prossimi mesi e anni. Il processo di disintegrazione economica del Regno Unito dall’Unione Europea è solo all’inizio e molte delle sue regole sono ancora da scrivere.

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