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Quando salvare una banca non è aiuto di stato

La Corte di giustizia Ue ha stabilito che il soccorso del Fondo interbancario alle banche consorziate non contrasta con le norme europee, data la sua natura privata. Per chi non ha potuto usufruire di questo strumento si apre la strada del risarcimento.

Il caso Banca Tercas 

Con la sentenza del 2 marzo, la Corte di giustizia europea ha confermato la pronuncia con la quale il Tribunale aveva bocciato la decisione della Commissione relativa al salvataggio della Cassa di Risparmio di Teramo (Banca Tercas).

La questione era sorta perché la Commissione aveva ritenuto contrastante con le norme in materia di aiuto di stato il sostegno fornito dal Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) a Banca Tercas, per favorirne l’acquisizione da parte della Banca Popolare di Bari. La Corte ha ora definitivamente sancito che il soccorso del Fitd alle banche consorziate non contrasta con il corretto funzionamento del mercato interno, data la natura privata (oggetto della contestazione della Commissione) del Fondo e delle sue risorse.

La pronuncia della Corte di giustizia assume particolare importanza non solo per il nostro paese, ma per il sistema creditizio europeo. Infatti, amplia il ventaglio degli strumenti con cui è possibile gestire le eventuali crisi delle banche all’interno dell’Unione. Il ricorso ai sistemi di garanzia dei depositanti, senza che i loro interventi siano considerati come aiuto di stato, può costituire sicuramente uno strumento per la gestione delle situazioni di difficoltà delle banche con effetti minori, per investitori e risparmiatori, rispetto all’applicazione degli strumenti di ricapitalizzazione interna, previsti dalla direttiva europea sul risanamento e la risoluzione degli istituti creditizi (la cosiddetta Brrd), di cui ora si discute una revisione per superare le problematiche emerse nel suo primo periodo di attuazione.

Il rischio di una vittoria mutilata?

Per l’Italia la sentenza della Corte è sicuramente una vittoria: le consente, infatti, di rimettere definitivamente in campo uno strumento che in passato aveva avuto un ruolo importate nel contribuire a stabilizzare gli istituti di credito in difficoltà. Già dopo la sentenza del Tribunale, il Fitd era intervenuto a sostegno di Banca Fucino e Banca Carige nel 2019 e di Banca Popolare di Bari nel 2020. Ora la sentenza della Corte potrebbe permettere anche di riparare, almeno in parte, i danni prodotti dall’impossibilità di utilizzarlo negli anni della crisi del sistema finanziario. La pronuncia induce, infatti, a sperare nella possibilità di richiedere un risarcimento anche da parte di soci e investitori delle altre banche italiane che non è stato possibile salvare, a causa dell’iniziale decisione della Commissione su Tercas: in particolare, le famose “quattro banche” e le due banche venete.

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La decisione della Commissione divenne, infatti, un riferimento anche per le autorità italiane. Basti ricordare che, nel riconoscere la legittimità dei provvedimenti di risoluzione adottati dalla Banca d’Italia nei confronti della Cassa di Risparmio di Ferrara, il Tar del Lazio (sentenza n. 166 del 7 gennaio 2017) sottolineò come non fosse possibile ricorrere all’alternativa di ricapitalizzare la banca attraverso un intervento del Fitd, proprio rinviando alla posizione negativa assunta della Commissione europea “con riferimento alla vicenda della Banca Tercas”.

In linea teorica, quindi, la sentenza della Corte dà una prospettiva di rivalsa nei confronti dell’Unione europea da parte di chi fu soggetto alla decisione della Commissione. Secondo notizie di stampa, molti stanno affilando le armi e almeno una domanda di risarcimento del danno risulta essere già pendente.

È possibile, però, che la sentenza possa assumere i caratteri di una vittoria mutilata per i risparmiatori e gli investitori italiani colpiti dall’applicazione della disciplina europea sul risanamento e risoluzione degli istituti creditizi. Il Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea prevede (all’articolo 340) che l’Unione debba risarcire i danni causati dalle sue istituzioni o dai suoi funzionari. Ma non è così certo che i danneggiati riescano a ottenere qualche beneficio dal definitivo annullamento della decisione della Commissione: sotto il profilo giuridico risulta complicato sia procedere all’accertamento e alla quantificazione del danno effettivamente subito, sia individuare un rapporto di causalità diretta tra il provvedimento relativo al salvataggio di Banca Tercas e le modalità di gestione dei successivi dissesti bancari. Per di più, la posizione adottata dalla Commissione era tesa a impedire unicamente gli interventi effettuati dai sistemi di garanzia dei depositanti e non quelli effettuati da altri enti, pur con identiche finalità. Le istituzioni europee non hanno sollevato dubbi sulla compatibilità con la disciplina europea degli interventi eseguiti dallo Schema volontario di intervento, cioè da un’associazione non riconosciuta cui aderiscono le banche consorziate al Fitd, in via volontaria e su base contrattuale, e che opera nella sua sede, avvalendosi delle sue stesse strutture.

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Di fronte alle probabili richieste di risarcimento per i danni subiti da parte di risparmiatori, banche e stato italiano, l’Unione europea potrebbe tentare di difendersi appellandosi al fatto che il tipo di intervento bocciato dalla Commissione non era il solo al quale il sistema creditizio italiano avrebbe potuto fare ricorso, senza violare la normativa europea, per il salvataggio delle banche in difficoltà. Va anche ricordato che l’eventuale accoglimento delle richieste di risarcimento potrebbe comunque portare a non indennizzare tutti i danneggiati: l’articolo 56 dello Statuto della Corte stabilisce, infatti, che le domande risarcitorie nei confronti delle istituzioni europee si prescrivono in cinque anni a decorrere, al più tardi, dal momento in cui si realizza il danno.

L’esito delle possibili richieste di risarcimento sarà deciso dagli organi della giustizia europea. Però, il punto fermo posto dalla sentenza della Corte di giustizia europea indica che la Commissione avrebbe dovuto agire con maggiore prudenza nell’applicazione al sistema bancario della normativa sugli aiuti di stato, durante la più grave crisi economica e finanziaria dal dopoguerra.

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  1. Luciano Pontiroli

    Mi pare, innanzi tutto, che ogni eventuale pretesa di risarcimento da parte di chi lamenta un danno conseguente alla vicenda TERCAS sia prescritto, essendo decorsi più di cinque anni dal provvedimento della Commissione che ritenne trattarsi di aiuto di stato. Quanto ai casi più recenti, in particolare a quello riguardante Banca Marche, anche ammesso che non sia maturata la prescrizione, ferme le considerazioni proposte nell’articolo, resta la questione se un errore della Commissione Europea nell’interpretazione del diritto in materia di aiuti di stato costituisca colpa tale da potere imputare ad essa una responsabilità risarcitoria.

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