La legge delega sull’assegno unico universale per i figli ha alcuni limiti. Una proposta alternativa lo renderebbe invece realmente unico e universale. Ne beneficerebbe il 30 per cento più povero della popolazione, con chiari effetti redistributivi.
Una proposta alternativa per l’assegno unico
Nel nostro precedente intervento abbiamo illustrato le considerazioni che ci spingono a immaginare uno scenario di riforma in parte diverso da quello proposto, con margini interpretativi, nella legge delega per l’assegno unico per i figli.
Nel rapporto annuale Inps 2020 è stato presentato uno scenario di riforma compatibile con gran parte dei criteri del nascente Auuf, ma con assegno effettivamente unico – che assorbe quindi interamente le detrazioni familiari e l’assegno al nucleo familiare – ed effettivamente universale – senza cioè l’ambiguo requisito di “essere soggetto al pagamento dell’imposta sul reddito” (che non chiarisce se si vogliono escludere i non percettori o gli incapienti).
In questa proposta, inoltre, l’assegno è parametrato a un reddito equivalente, una sorta di reddito pro-capite corretto per le economie di scala familiari, misura spesso utilizzata per determinare i diversi livelli di benessere economico o lo stato di bisogno. Tale reddito sarebbe naturalmente onnicomprensivo, includendo anche redditi “normali” da patrimonio a valori di mercato e ogni altra tipologia di reddito da lavoro o da impresa.
A queste caratteristiche se ne aggiungono altre.
La prima è che il rafforzamento del sostegno per i figli minori o studenti, nell’ambito di un nuovo assegno che assorbe totalmente detrazioni familiari e Anf, sia più elevato di quello per il coniuge a carico e altri familiari. Ciò deriva dalla considerazione che le famiglie monoreddito fruiscono di benefici non evidenti, ma sostanziali. Questi consistono nel non dover sostenere i costi che una famiglia bi-reddito affronta per servizi familiari, grazie allo sfruttamento di attività intra-familiari che abitualmente sono rese possibili dal maggior tempo libero del coniuge inoccupato. Un assegno più basso varrebbe anche come stimolo per l’ingresso nel mercato del lavoro e per l’aumento del tasso di occupazione femminile.
Un secondo aspetto (diverso da quanto previsto dalla delega e già richiamato da Francesco Figari e Carlo Fiorio) è l’opportunità di considerare il nuovo assegno nel calcolo del reddito di cittadinanza. Se pensiamo al Rdc come un reddito di ultima istanza, sarà logico calcolarlo per differenza rispetto a ogni altra fonte, nuovo assegno familiare compreso. Sul piano delle risorse da destinare alla riforma, questo aspetto implicherebbe una riduzione di quelle destinate al Rdc, con una conseguente attenuazione del costo complessivo per il sistema e una migliore coerenza allocativa.
Infine, eliminando definitivamente le detrazioni familiari si otterrebbe il contenimento di quei meccanismi che generano aliquote marginali effettive a volte elevate e molto variabili, una parte significativa delle quali deriva proprio dalla vigente detrazione per il coniuge a carico.
L’impianto dello scenario proposto
Di seguito, ecco i principali dettagli dello scenario immaginato, quale una delle possibili attuazioni dei criteri enunciati (maggiori informazioni si trovano nell’audizione parlamentare del 20 ottobre 2020).
1) Definizione di un assegno universalistico (Asn, assegno di sostegno al nucleo) per i familiari a carico, definiti tali se sotto i 4 mila euro annui di reddito.
2) Il nuovo assegno può essere coperto (almeno in parte) da un’estensione del contributo alla cassa unica degli assegni familiari (Cuaf) a tutti i redditi con la stessa aliquota vigente (0,68 per cento). Trattandosi di contributo, gli autonomi lo verserebbero sulla base del minimale imponibile vigente (circa 16mila euro).
3) Reddito equivalente come parametro per l’entità dell’assegno: sarebbero considerati tutti i redditi della famiglia, anche quelli fiscalmente esenti, come peraltro già avviene per il calcolo del reddito di cittadinanza. Il reddito immobiliare (anche figurativo, compresa la residenza) sarebbe determinato ricorrendo anche ai valori dell’Osservatorio sul mercato immobiliare dell’Agenzia delle entrate. Il reddito forfetario da patrimonio sarebbe il 5 per cento.
4) La scala di equivalenza che contribuisce a definire il reddito equivalente, quindi le economie di scala familiari, sarebbe ispirata a quella utilizzata dall’Istat (1 +0,7 +0,65 +0,6 +0,55 +0,5 +0,45 per ogni altro, con una maggiorazione di 0,5 per ciascun disabile).
5) L’assegno base pro-capite sarebbe differenziato tra: 3 mila euro annui per figli minorenni a carico e, diversamente dagli attuali Anf e dalla specifica indicazione della delega, per i figli studenti fino ai 24 anni, più tutti i componenti eventualmente disabili in famiglia, e 1. 200 euro per ciascun altro componente a carico (coniuge compreso). L’assegno sarebbe poi decrescente, per definire quello spettante, in base al reddito equivalente definito su base familiare: la spettanza si ridurrebbe con regolarità da 2 mila fino a 40 mila euro equivalenti, soglia oltre la quale l’assegno si annullerebbe, con un’aliquota marginale implicita modesta, costante e dipendente dall’entità dell’assegno potenziale. Un nucleo con due coniugi e due figli, ad esempio, fruirebbe del nuovo assegno fino a un reddito familiare di 118mila euro annui, con aliquota marginale attorno al 3,7 per cento.
Gli effetti
Gli effetti sarebbero non meno significativi dell’Auuf che sembra emergere dalla delega approvata. Il costo netto aggregato della riforma dipenderebbe in misura cruciale dalla previsione del contributo Cuaf esteso, per circa 5 miliardi di gettito, comprensivo della quota derivante dall’estensione, o dalla sua fiscalizzazione completa (in questo caso con una leggera riduzione del costo del lavoro). Qualora fosse previsto il nuovo Cuaf, le risorse pubbliche necessarie per la riforma sarebbero circa 3,7 miliardi annui, corrispondenti all’aumento aggregato di reddito disponibile delle famiglie e alla riduzione di circa 550 milioni di reddito di cittadinanza.
Per un’osservazione di tipo redistributivo, si riporta in figura 1 una rappresentazione degli impatti attesi dalla riforma in termini di incidenza (prima e dopo la riforma) del sistema imposte e benefici. Il sistema imposte e benefici cui ci riferiamo tiene conto di contributi sociali, Irpef e relative addizionali, imposte sostitutive comprese quelle su redditi e patrimoni finanziari, Imu, assegni familiari e principali bonus, reddito di cittadinanza.
Come si può osservare l’impatto è chiaramente redistributivo e a beneficio (in aggregato) del 30 per cento più povero della popolazione. L’impatto sui soli nuclei familiari con carichi sarebbe di conseguenza più forte.
* Le opinioni espresse sono esclusivamente personali e non coinvolgono l’Istituzione di afferenza.
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Enrico D'Elia
Non sarebbe più semplice attribuire a ciascun neonato una “dote” di patrimonio (p.es. in titoli di stato vincolati) e di reddito (sotto forma di un assegno annuale) che verrebbero versati ai genitori fino alla maggiore età e che diminuissero col tempo dopo la fine del percorso di formazione, prevedendo dei correttivi in caso di fragilità? Il tutto potrebbe essere trattato fiscalmente come qualsiasi patrimonio e reddito dei percettori (ossia dei genitori fino alla maggiore età). A questa “dote” si potrebbe aggiungere un reddito di cittadinanza in caso di necessità. Non deve essere difficile calcolare la dote in modo da non superare il costo dell’attuale sistema. Il tutto lasciando il pace le dichiarazioni anagrafiche e le scelte di vita personali sulla composizione, i legami giuridici e la residenza dei membri della “famiglia”.
Carmelo
L’affermazione dello “stimolo all’ingresso nel mercato del lavoro” di una neo mamma è pura fantasia, certo auspicabile in un mondo perfetto. La macchinosità dei calcoli è la stringente burocrazia non creano il terreno adatto alla messa al mondo di una nuova vita. Immaginate una coppia che debba scegliere se e quanti figli avere se può essere stimolata da questi “incentivi”
Alberto Lusiani
Considero radicalmente sbagliato prevedere benefici che si azzerano col reddito, come proposto qui per l’assegno unico per i figli. Questa operazione corrisponde matematicamente esattamente ad una detrazione unica per tutti i redditi, piu’ un aumento di imposizione marginale (3.7% qui) unicamente per i redditi fino al reddito per cui il beneficio si azzera, poi per redditi ancora superiori l’imposizione marginale diminuisce, andando addirittura contro la Costituzione. E’ banale eliminare questa scorrettezza dando esattamente lo stesso beneficio a tutti e poi – se lo si desidera – aumentando le aliquote di scaglione, ma per tutti i redditi, non solo per quelli fino al reddito di azzeramento del beneficio.