Il Pnrr prevede risorse per la sicurezza sismica nei luoghi di culto. La protezione del nostro patrimonio culturale è una priorità per il nostro paese. Ma vanno coinvolti anche i privati, contemplando pure il ricorso al mercato finanziario.
Nel Pnrr interventi per i beni culturali
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, nella Misura 2 “Sicurezza sismica: Recovery Art Conservation Project”, prevede che vengano destinati 800 milioni di euro alla sicurezza sismica nei luoghi di culto e al restauro del patrimonio del Fondo edifici di culto (Fec). A ciò si aggiunge la creazione del Centro per il controllo e il monitoraggio dei beni culturali e la destinazione di cinque depositi temporanei alla protezione dei beni culturali mobili in caso di calamità naturali, attraverso la riconversione delle centrali nucleari dismesse ed ex strutture militari.
Si tratta di un grosso passo in avanti verso la ricerca di risoluzione del problema della vulnerabilità del nostro patrimonio culturale, di cui le chiese costituiscono una parte rilevante. Basti pensare, a titolo di esempio, a due importanti eventi sismici del recente passato: il terremoto del 1997 che distrusse la basilica di San Francesco ad Assisi e il terremoto del 2009 che danneggiò la cattedrale dell’Aquila.
Le priorità
Ben vengano, dunque, queste risorse economiche, ma nel futuro si può sperare in più estesi interventi in almeno tre direzioni.
Prima di tutto, gli investimenti sulla prevenzione antisismica potrebbero essere allargati ad altre tipologie di beni culturali: l’Italia è un paese famoso per il suo patrimonio, che è uno dei più grandi al mondo: oltre 3.400 musei; 2.100 siti archeologici; 24 parchi nazionali; 23 aree marine e 55 siti culturali del patrimonio mondiale dell’Unesco. Nello specifico, dei 55 siti culturali italiani riconosciuti dell’Unesco, cinque sono siti naturali, otto sono paesaggi culturali e quarantadue sono siti contraddistinti dalla presenza di patrimonio mobile.
Per tale ragione, la protezione dell’intero patrimonio deve essere considerata come una priorità per il nostro paese. Data l’importanza e la numerosità dei beni di cui si compone, è quanto mai opportuna l’individuazione di una politica ampia, che punti alla tutela e alla conservazione di beni dall’inestimabile valore estetico, storico, sociale, spirituale e simbolico. Sono infatti la testimonianza della nostra storia e della nostra identità e come tali necessitano di apposite strategie di intervento che possano salvaguardarli per le prossime generazioni.
In secondo luogo, il rischio sismico è solo uno dei tanti a cui il nostro patrimonio culturale è sottoposto, molti altri sono legati al crescente effetto dei cambiamenti climatici. Già nel 2007, il Parlamento europeo, in uno studio intitolato “La protezione del patrimonio culturale dalle calamità naturali” dava un ben più ampia definizione del tema: “Talvolta, le inondazioni, i terremoti, gli incendi, i cedimenti causati da fattori ambientali o altri effetti climatici a lungo termine simili provocano danni irreparabili al patrimonio culturale o distruggono completamente intere aree considerate un patrimonio culturale, inclusi beni mobili e immobili”.
A partire da tale considerazione, applicare interventi che abbiano come unico scopo quello di minimizzare il rischio sismico si potrebbe rivelare una politica miope. Il nostro paese, infatti, risulta esposto anche ad altre forme di eventi, in primo luogo frane e alluvioni, come testimoniato dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), che periodicamente redige report e mappe che analizzano l’esposizione dell’Italia verso eventi di questo tipo.
Il coinvolgimento dei privati
Un terzo miglioramento potrebbe essere quello di incentivare l’adozione di strumenti assicurativi con un virtuoso coinvolgimento del settore privato.
Un esempio in questo senso è l’intesa stipulata dalla Cei, la Conferenza episcopale italiana. Tramite la sottoscrizione di un accordo privato con una compagnia assicurativa, l’intero patrimonio culturale rappresentato dalle 25.598 chiese parrocchiali presenti sul territorio nazionale è ora tutelato da un apposito contratto assicurativo per danni da eventi catastrofali. L’accordo testimonia che il coinvolgimento del privato rappresenta senza alcun dubbio un’opportunità nell’ottica di definire una strategia di contrasto e di gestione del rischio efficace ed efficiente.
Forme di partenariato pubblico-privato appaiono pertanto come scenari che devono essere considerati. Alla luce dei fondi destinati alla tutela del patrimonio culturale, è quanto mai opportuno affiancare a tali forme di investimento anche tutele finanziarie, individuabili nella stipulazione di appositi contratti assicurativi (come nel caso Cei) o nell’emissione di obbligazioni. Attraverso il ricorso al mercato finanziario, infatti, si possono individuare risorse importanti per realizzare interventi quanto mai necessari nonché risorse utili alla copertura dell’investimento effettuato.
La grande vulnerabilità del nostro territorio – e di conseguenza del patrimonio che su di esso si erge – necessita quindi non solo del coinvolgimento di enti istituzionali, chiamati alla definizione di apposite politiche e strategie di mitigazione del rischio e di adattamento, ma anche del settore privato. Solo attraverso l’ampliamento dei soggetti coinvolti e l’apertura verso una prospettiva più ampia che contempli il ricorso al mercato finanziario, si potranno nel futuro conseguire importanti risultati di lungo periodo per rendere il nostro patrimonio culturale più resiliente.
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Francesco De Masi, nato a Lecce nel 1993, è un dottorando in “Economia, Management e Metodi Quantitativi” presso il Dipartimento di Scienze dell’Economia dell’Università del Salento e dottorando presso la Scuola Superiore Isufi. Diplomato con Lode presso il Liceo Scientifico Statale “C. De Giorgi” di Lecce, corso di bilinguismo, ha conseguito il titolo di Laurea Triennale con Lode in Economia Aziendale nel luglio 2015 presso l’Università del Salento e il titolo di Laurea Magistrale con Lode in Management Aziendale nel luglio 2017 presso l’Università del Salento. Nell’ottobre 2016 ha conseguito con il massimo dei voti il Diploma di I livello presso la Scuola Superiore Isufi e nel marzo 2018 il Diploma di II livello con il massimo dei voti.
È autore di pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali nell’ambito delle assicurazioni per la copertura dei danni da disastri naturali. Ha partecipato a numerose attività seminariali e conferenze afferenti il proprio ambito di ricerca.
Professore Associato di Politica Economica presso il Dipartimento di Scienze dell'Economia - Università del Salento. Ha inoltre incarichi di insegnamento presso l’Università Carlo Cattaneo – LIUC di Castellanza. Svolge ricerca nell’ambito dell’analisi economica del diritto, in particolare sui sistemi di regolazione in campo ambientale, e sui mercati assicurativo e bancario. Su questi temi ha pubblicato numerosi articoli su riviste nazionali e internazionali tra gli ultimi: “The Impact of Court Errors on Liability Sharing and Safety Regulation for Environmental/Industrial Accidents” con M. Boyer sulla International Review of Law and Economics.
Firmin
Francamente non capisco il vantaggio di una assicurazione sui beni culturali e ambientali. Qualsiasi schema assicurativo non riduce il rischi (anzi può aumentarli per il morale hazard) ma distribuisce semplicemente il costo della ricostruzione nel tempo e tra gli individui. Trattandosi di beni comuni, lo stesso risultato si otterrebbe con un mix di imposte e debito sovrano, risparmiando tutti i costi di intermediazione. Se bastasse una polizza a salvaguardare il patrimonio culturale, allora potremmo anche sbaraccare le forze armate sostituendole con una congrua assicurazione contro le guerre.
Enrico
una volta di pi vedo articoli che chiedono di investire i fondi pnrr. E´ lo stesso approccio che si e´ sempre tenuto: tutto importante (per carita), tutto da finanziare. Risultato? Diluizione delle risorse a livello tale da non avere effetti.