Alla Cop26 si è molto discusso di “transizione energetica”. Ma gli obiettivi di efficienza energetica sono conciliabili con il profitto d’impresa? Un’analisi empirica su aziende manifatturiere di paesi in via di sviluppo sembra suggerire di sì.

Un’analisi globale a livello d’impresa

Di efficienza energetica si è discusso molto alla XXVI Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (nota come Cop26). Rappresenta uno dei temi prioritari a livello globale ed è esplicitamente presente fra gli obiettivi dell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile. In tali consessi, la comunità internazionale si interroga, a vari livelli, su quali politiche adottare concretamente per incentivare le imprese a migliorare l’efficienza energetica delle proprie produzioni. Sullo sfondo, vi è l’idea che sia necessario imporre impegni più vincolanti per i paesi coinvolti e per le imprese, e che ciò sia in contraddizione con le prospettive di crescita economica, specialmente nei contesti più fragili e in via di sviluppo.

Riportiamo qui i risultati di un nostro studio, in corso di pubblicazione, sulla correlazione esistente fra efficienza energetica e produttività – a livello di impresa – condotto per la prima volta per un ampio campione di imprese manifatturiere, in gran parte localizzate nei paesi in via di sviluppo, per il periodo che va dal 2006 al 2018.

Grazie al lavoro di raccolta ed elaborazione dei dati svolto dagli esperti della Banca Mondiale, abbiamo attualmente a disposizione un set di dati panel a livello d’impresa comprendenti informazioni sulla spesa energetica, la produttività e le caratteristiche principali delle imprese analizzate (per un totale di circa 39 mila osservazioni relative a 111 paesi, si veda la tabella 1). Inoltre, sfruttando la componente longitudinale dei dati, possiamo depurare la relazione empirica oggetto di analisi da eventuali caratteristiche non osservabili (cosiddetti fattori confondenti) a livello d’impresa, settore o paese.  

I risultati dell’analisi empirica dimostrano che esiste, in media, una relazione stabile positiva fra efficienza energetica e produttività d’impresa a livello globale, al netto degli usuali controlli e utilizzando tecniche di analisi alternative. Un aspetto fondamentale da tenere in conto è la possibilità che esista un rapporto di causalità inversa (ossia che la maggiore produttività
influenzi l’efficienza energetica delle imprese). La nostra analisi empirica tiene conto di questo problema adottando delle variabili strumentali,
ossia delle variabili correlate all’efficienza energetica ma non alla produttività come per esempio il numero di ore di effettivo utilizzo dei
macchinari all’interno del processo produttivo.

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Elementi di eterogeneità nella relazione si manifestano, come atteso, con riferimento alla classe dimensionale (l’effetto è maggiore per le imprese più piccole che registrano, in media, una maggiore intensità energetica), al settore (anche in questo caso l’effetto è maggiore per i settori a più alta intensità energetica, come ad esempio il settore metallurgico) e alla localizzazione geografica delle imprese (vedi figura 1).

Figura 1 – La relazione fra efficienza energetica e produttività del lavoro (coefficienti stimati per area geografica)



Nota: L’efficienza energetica è calcolata come l’inverso del rapporto fra la spesa energetica e il totale delle vendite, entrambi su base annua. La produttività del lavoro è calcolata come il logaritmo naturale del rapporto fra le vendite totali (a dollari costanti) e la forza lavoro complessiva (comprendente sia i lavoratori a carattere permanente sia quelli a carattere temporanea). Le aree geografiche utilizzate sono: AFR: Africa subsahariana; EAP: Asia orientale e Pacifico; ECA: Europa e Asia centrale; LAC: America Latina e Caraibi; MNA: Medio Oriente e Nord Africa; SAR: regione dell’Asia meridionale.
Fonte: elaborazione degli autori.

La validità della cosiddetta “Porter Hypothesis”

I risultati sono coerenti con la cosiddetta “Porter Hypothesis”, secondo cui l’adozione di normative ambientali più stringenti promuove l’adozione di tecniche innovative capaci di migliorare le performance economiche delle imprese, controbilanciandone i relativi costi. Ciò conferma, concettualmente ed empiricamente, che le politiche di efficientamento energetico non sono incompatibili con la crescita, ma ne rappresentano, al contrario, una delle possibili determinanti. In quest’ottica, è importante sottolineare che tale relazione rappresenta una regolarità empirica, che non dipende dalle tecniche produttive adottate, dal livello di qualificazione dei lavoratori impiegati o dal tipo di regolamentazione dei diversi contesti istituzionali di riferimento. Semplicemente, le imprese più efficienti dal punto di vista dei consumi energetici sono tendenzialmente anche le più produttive economicamente.

Nuove basi per il dibattito

Riteniamo che il dibattito attualmente in corso presso gli organismi internazionali debba essere improntato su una maggiore consapevolezza del legame positivo fra efficienza energetica e produttività d’impresa, sgombrando il campo dall’equivoco di fondo di pensare che i due obiettivi, transizione energetica e crescita economica, siano in contraddizione fra loro. Ciò agevolerebbe indubbiamente il dialogo sociale e permetterebbe di affrontare il tema della “transizione energetica” attraverso forme di collaborazione fra pubblico e privato e fra paesi a diverso livello di sviluppo, senza le quali non si possono raggiungere obiettivi concreti di sostenibilità e sviluppo condiviso.  

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