Per affrontare la quarta ondata di Covid, il governo ha deciso una sorta di lockdown mirato per i non vaccinati e l’obbligo vaccinale per chi ha più di 50 anni. Una simulazione permette di valutarne l’efficacia nel ridurre i ricoveri in terapia intensiva.
La stretta del governo
Nei giorni in cui l’epidemia da Covid-19 ha ripreso vigore, il governo ha introdotto l’obbligo vaccinale dai 50 anni in su (da febbraio) e ha ampliato il numero delle attività accessibili solo con Green pass rafforzato, una sorta di lockdown mirato per i non vaccinati.
In realtà, il problema da risolvere in questa quarta ondata non sembra tanto quello della crescita dei contagi, visto che i virologi sono concordi nell’affermare che l’ultima variante, la Omicron, seppure più contagiosa, sia meno letale delle precedenti, quanto quello dell’occupazione dei posti in ricovero ordinario negli ospedali e soprattutto di quelli in terapia intensiva. Infatti, se in termini percentuali meno persone necessitano del ricovero in TI rispetto al periodo pre-vaccino, sono i numeri assoluti a preoccupare il governo di fronte a una prevista crescita sostenuta dei contagi.
Cosa dicono i numeri
Se ci si basa sui dati ufficiali dei quali possiamo disporre, cosa si può dire circa l’efficacia dei provvedimenti di lockdown mirato e di un obbligo vaccinale generalizzato rispetto all’occupazione delle terapie intensive? Se si considerano vaccinati (V) tutti coloro che hanno completato un ciclo vaccinale (minimo 2 dosi) e non vaccinati (NV) gli altri, dai dati della tabella dell’ultimo rapporto dell’Istituto superiore di sanità (pubblicato il 21 dicembre) si ricava una percentuale totale di V intorno all’84 per cento, contro il 16 per cento di NV su una popolazione totale di NV=5.4099.440 persone over 12.
Analogamente, per quanto riguarda le terapie intensive, su un numero totale pari a 1.379 persone ricoverate tra il 5 novembre e il 5 dicembre 2021, la percentuale di V è del 34 per cento, mentre quella di NV è del 66 per cento. Per inciso, questi dati non si discostano molto da quelli forniti dalla Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso), che nel suo report del 22 dicembre ravvisa, nei 21 ospedali campione, una percentuale di ricoveri nelle terapie intensive pari al 70 per cento di non vaccinati, contro un 30 per cento di vaccinati.
Basandoci dunque sui dati del report Iss (quelli Fiaso sarebbero stati ancora più favorevoli al vaccino e per questo non li abbiamo presi in considerazione), se n è il numero di pazienti ricoverati in TI e N la popolazione totale over 12, il rapporto tra la percentuale Pnv dei pazienti NV (Pnv=n·0,66/N·0,16) e quella Pv dei pazienti V (Pv=n·0,34/N·0,84) fornisce, come già riportato in questo precedente contributo, il numero di NV destinati a finire in TI per ogni V. Il rapporto 0,66*0,84/(0,16*0,34)=10,2 dimostra che per ogni dieci non vaccinati che vanno in terapia intensiva, ne arriva solo uno vaccinato.
Provvedimenti che svuotano le terapie intensive
A questo punto, a puro titolo esemplificativo, consideriamo il numero di pazienti affetti da Covid-19 entrati in terapia intensiva il giorno 30 dicembre: erano 134. Se si prendono per buoni i dati Iss, bisogna banalmente presumere che circa 46 (il 34 per cento di 134) fossero V mentre più o meno 88 (il 66 per cento di 134) fossero NV.
Nel caso in cui i pazienti NV fossero stati messi in condizione di non contrarre il Covid, limitando al massimo le loro interazioni sociali (mediante un lockdown selettivo che avrebbe comunque evidenti ripercussioni economiche, oltre che psicologiche), avremmo avuto solo il 34 per cento di pazienti in terapia intensiva rispetto al totale registrato. Se avessimo invece vaccinato tutti i NV (obbligo vaccinale generalizzato) potremmo presumere (con buona probabilità) che gli 88 pazienti NV si sarebbero ridotti a 9 (il vaccino protegge dieci volte di più). Anziché 134 pazienti, quindi, avremmo avuto un numero di circa 55 pazienti in terapia intensiva (i 46 pazienti V più 1/10 degli 88 pazienti NV): il 59 per cento in meno. Ipotizzando percentuali di vaccinati e non vaccinati non troppo dissimili nel tempo da quelle riportate per i ricoveri in terapia intensiva dal rapporto Iss (confermate in qualche modo dai dati Fiaso), è ragionevole presumere che l’occupazione delle terapie intensive beneficerebbe di una notevole riduzione sia in caso di lockdown selettivo dei non vaccinati che in caso di introduzione di obbligo vaccinale generalizzato. Per esempio, dalla percentuale di occupazione delle terapie intensive del 13 per cento (dati Agenas) al 30 dicembre si scenderebbe intorno al 5 per cento.
Anche se queste percentuali sono destinate inevitabilmente a salire parallelamente al numero dei contagi, i dati sembrano confermare che isolare selettivamente i non vaccinati evitando che contraggano la malattia oppure introdurre l’obbligo vaccinale potrebbero diminuire notevolmente l’impatto del Covid sulle terapie intensive degli ospedali. Appare soprattutto questo l’obiettivo da conseguire in considerazione di una probabile presenza endemica futura del Sars-CoV-2, con la quale saremo presumibilmente costretti a convivere per un tempo per ora indeterminabile.
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