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L’altra faccia del Covid-19

La diffusione del coronavirus in Italia sembra ora sotto controllo. Si può allora pensare alle conseguenze indirette della pandemia su altre gravi patologie. E alle soluzioni che si sperimentano in alcune regioni, a partire dalla telemedicina.

Epidemia sotto controllo

Nonostante alcuni focolai che si accendono sul territorio nazionale e l’ormai famoso indice R(t) superiore all’unità in alcune regioni, l’evoluzione della curva dei casi di Covid-19 mostra che la diffusione della pandemia è sotto controllo, in questo momento, nel nostro paese. Senza quindi abbassare la guardia, evitando di farsi trovare ancora impreparati in autunno (quando, in base all’opinione diffusa degli esperti, il coronavirus potrebbe riprendere vigore), è bene cominciare a riflettere sull’andamento di altri fenomeni correlati alla pandemia. E provare a capire come farvi fronte.

La domanda di servizi

Dal lato della domanda, accanto alla richiesta esplosiva di ricoveri e cure portata dall’epidemia, ci si attende un aumento di almeno tre tipologie di servizi: i) a breve termine, un aumento della domanda di quelli legati ai ricoveri per prestazioni urgenti che sono stati rinviati a causa delle restrizioni imposte dal Covid-19, si pensi in particolare alle malattie cardiocircolatorie e alle malattie oncologiche; ii) a breve-medio termine, un aumento della domanda di servizi legato alla discontinuità nelle cure per i malati cronici, la cui condizione potrebbe essere peggiorata per il rinvio dei controlli. Di nuovo, si pensi alle malattie oncologiche, ma anche al diabete e alle patologie connesse; iii) a più lungo termine, possiamo ipotizzare un aumento della domanda di servizi per i danni alla salute causati dalla recessione, in particolare per quanto riguarda la salute mentale.

Mentre per il Covid-19 i bollettini sono stati (e saranno) giornalieri, sarà molto più complicato mappare in modo sistematico l’evoluzione di questi tre fenomeni. Per il momento, abbiamo solo qualche timido dato. Per esempio, agli inizi di giugno, la Fondazione Aiom stimava tra 24 mila e 30 mila diagnosi mancate di tumori maligni, tra 200 e 300 mila controlli periodici saltati e 600 mila interventi chirurgici rinviati. Secondo le stime di Altems-Ucsc, sono stati quasi 900 mila i ricoveri programmati “persi” rispetto allo stesso periodo del 2018, per un valore di oltre 3,3 miliardi di euro. Si è ridotto anche l’accesso al pronto soccorso, non solo per i codici bianchi e verdi (un miglioramento sul fronte dell’appropriatezza), ma anche per sindrome coronarica acuta.

Queste mancate cure sembrano avere avuto un effetto sulla mortalità. Già ai primi di maggio, Istituto superiore di sanità e Istat stimavano che esistesse una importante quota di mortalità indiretta associabile al Covid-19 (11.600 morti contro i 13.700 direttamente imputabili al virus nel primo trimestre del 2020) composta da decessi non diagnosticati Covid, decessi da disfunzioni generate dal virus in persone non diagnosticate e, infine, dalla crisi del sistema ospedaliero e dal timore di recarsi in ospedale.

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La brusca frenata dell’accesso ai servizi non ha risparmiato neanche i pazienti con patologie rare: il 52 per cento dei pazienti ha rinunciato o interrotto il proprio percorso terapeutico, nella metà dei casi seguendo il consiglio del medico. Questi pazienti hanno riportato anche problemi di continuità terapeutica (54 per cento), mancanza di assistenza sanitaria e sociale (31 per cento), momentanea carenza di farmaci o ausili sanitari e trasporti (16 per cento). Preoccupa infine la marcata riduzione dell’accesso alle vaccinazioni. Per esempio, nell’area di Roma si è registrata, durante il lockdown, una riduzione compresa tra il 15 e il 19 per cento, nonostante i servizi delle Asl fossero rimasti attivi in tutto il periodo. Il calo degli accessi ha colpito tanto le vaccinazioni infantili quanto quelle antinfluenzali. Il trend ha caratterizzato tutto il mondo durante la fase più acuta di diffusione del virus, tanto che recentemente l’Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato un warning sul tema. Inutile dire che bisognerà presto recuperare in vista della riapertura delle scuole e del possibile obbligo di vaccinazione antiinfluenzale per gli over 65 che alcune regioni stanno programmando.

Dalla parte dell’offerta

Accanto alla domanda, c’è però da considerare anche l’offerta di servizi. Se una recente circolare del ministero della Salute definisce i criteri per la riorganizzazione dei servizi di terapia intensiva, si prospetta ora la necessità di recuperare il tempo perduto per le patologie non-Covid, garantendo un accesso alle cure ai pazienti che non hanno potuto essere assistiti durante il lockdown; e lo si dovrà fare con una capacità produttiva ridotta dalle norme anti-contagio stabilite dal ministero. Secondo le previsioni di alcuni centri di ricerca, in un anno, le visite cardiologiche si ridurranno del 54 per cento rispetto all’anno precedente, quelle dermatologiche del 50 per cento, le gastroenterologiche del 39, le oculistiche del 23, le ortopediche del 32 per cento. Non ci si attende una riduzione drastica dell’attività oncologica, ma bisognerà fare i conti con le conseguenze della battuta di arresto prevista per le attività di diagnosi (meno 37 per cento in media), con inevitabili conseguenze sulla mortalità. Anche i tempi di attesa sono destinati ad aumentare, come già alcuni cittadini hanno sperimentato. Dermatologia, colonscopia e gastroenterologia rischiano di essere le specialità più colpite, arrivando a superare i 200 giorni d’attesa, mentre l’ostetricia è la specialità per cui ci si aspetta l’aggravio minore (“solo” 5 giorni in più). Forse la reazione sarà un maggiore accesso al privato, ma anche le strutture private sono tenute a osservare le stesse norme anti-contagio.

Nuove soluzioni

Si può provare a fare qualcosa? Ferma restando la separazione dei percorsi tra pazienti Covid e non, fortemente sostenuta dal ministro Roberto Speranza nei cinque punti per la ripartenza, è il momento giusto per rendere effettive soluzioni organizzative la cui attuazione è stata per lungo tempo rimandata e per istituzionalizzare le sperimentazioni organizzative che hanno avuto successo in fase di lockdown. Tornano allora alla ribalta concetti come domiciliarizzazione dei servizi e telemedicina. Ad aprile il governo ha stanziato 235 milioni per il potenziamento della telemedicina nell’ambito della medicina generale, ma già a marzo alcune realtà ospedaliere si erano organizzate per la condivisione di buone pratiche e strumenti necessari a potenziare il suo uso in oncologia attraverso piattaforme di uso comune e a costo zero. Le pratiche di telemedicina, applicabili alla metà delle visite di controllo in oncologia possono aumentare da 5 a 7 (o a 9 se si è dotati di una doppia postazione) il numero di visite erogabili in un giorno tenendo conto delle misure di sanificazione degli ambienti ora necessarie.

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Dal canto loro, numerose regioni hanno messo a punto strategie per fronteggiare la nuova crisi. Le soluzioni sono diverse e vanno dall’estensione degli orari di visita in ospedale al ricorso regolare alla telemedicina. Per esempio, nel Lazio si punta sulle televisite, sull’introduzione di criteri di priorità dei pazienti in base al rischio e sull’estensione degli orari di apertura delle strutture nelle fasce orarie serali e nel fine settimana, mentre a Bolzano viene aumentato il ticket sulle prime visite ed estesa la gamma delle categorie esenti. In alcune regioni, tra cui la Lombardia, le strutture sono chiamate a predisporre un piano d’azione da sottoporre all’Ats (agenzia di tutela della salute) competente: questi comportamenti diversi accentueranno le diseguaglianze tra regioni.

Al di là delle conseguenze negative sui pazienti, la riduzione dei volumi di ricovero avrà poi un impatto dal punto di vista finanziario, soprattutto per gli ospedali pubblici di maggiori dimensioni, finanziati a tariffa, e per gli ospedali privati.

Il tema è già diventato cruciale negli Stati Uniti, dove il governo federale ha stanziato 100 miliardi di dollari tramite il Cares Act per far fronte alle difficoltà finanziarie degli ospedali causate dal Covid-19. Da noi, si tratta solo di aspettare le semestrali, che dovrebbero arrivare fra poco, per avere una prima idea di quello che servirà e per avviare una riflessione non ideologica sull’accesso ai fondi del Mes (Meccanismo europeo di stabilità).

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  1. Savino

    Questa scienza medica ha totalmente fallito, ha perso credibilità e deve solo chiedere scusa a tutta la popolazione per le sofferenze trascurate su altre patologie e sulle conseguenze psicologiche e sociali. Il vero distanziamento è tra una scienza medica che ha visto solo il virus, su cui ha speculato contraddittorie conclusioni, ed i pazienti che ormai sono disorientati ed hanno perso ogni fiducia.

  2. stefano

    Le regioni contnuano a voler adottare ognuna una sua soluzione ai loro problemi di gestione della salute dei loro cittadini , ma se pensiamo alla gestione delle informazioni sanitaire il modello può essere uno solo , nazionale , ed affiancato da na serie di strumenti che facilitano l’accesso alle informazioni e orientano la decisione clinica :prendiamo atto che i vari sistemi informativi regionali sono obsoleti da ogni punto di vista e chiediamo aiuto a chi gestisce le informazioni per mestiere . Accanto a questo prendiamo atto che la politica delle tariffe va completamente riprogettata , così come occorre introdurre nella valutazione delle aziende anche criteri non monetari . e aiutiamo i cittadini con patologie croniche a gestirsi meglio

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