Il problema strutturale delle imprese italiane non è tanto la mancanza di credito, quanto la carenza di capitali. Il settore assicurativo ha i capitali e spesso anche le competenze necessarie per la valutazione della qualità dei crediti societari. Perché non favorire un suo maggiore intervento?
IL PROBLEMA DELLE IMPRESE
La crisi che attanaglia il paese è la più profonda e la più lunga dalla fine della seconda guerra mondiale in poi. Le politiche restrittive di bilancio e la crisi di fiducia derivante dai rischi dell’area euro sono state tra le cause scatenanti, ma non c’è dubbio che le crescenti difficoltà di accesso al credito da parte delle imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni, ha dapprima aggravato la crisi e ora ne rende più lunga e difficile l’uscita. Non è dunque sorprendente che si moltiplichino le proposte tese a render più facile l’accesso al credito alle imprese, come elemento fondamentale di una strategia di ripresa economica. Per esempio, in sede italiana come europea si discute in modo sempre più intenso di riattivare il mercato delle cartolizzazioni, liberando i bilanci delle banche dai crediti più rischiosi, o di sviluppare fondi di credito a sostegno delle imprese.
Nel breve periodo, è possibile che l’utilizzo di queste strategie sia inevitabile, nonostante i ben noti rischi associati alle asset backed securization. Ma è opportuno sottolineare che il problema strutturale delle imprese italiane, più che la mancanza di credito, è la carenza di capitali. Dunque, ogni sforzo anche nel breve periodo deve essere destinato a superare questo problema.
CAPITAL CRUNCH
I numeri e le tabelle che seguono, riprese dalla Banca d’Italia, illustrano bene il problema. Negli ultimi quindici anni il rapporto tra debiti finanziari e valore aggiunto delle imprese italiane è passato dal 100 al 180 per cento. Anche il loro leverage (pari al rapporto tra i debiti finanziari e la somma di questi ultimi e del patrimonio netto) ha sfiorato un massimo storico del 50 per cento. Le imprese più piccole sono le più indebitate con una leva che supera abbondantemente il 60 per cento. Anche in una prospettiva europea emerge come le imprese italiane abbiano una struttura finanziaria più orientata al debito, soprattutto bancario, e risultino poco patrimonializzate.
In una situazione già compromessa, la lunga e prolungata recessione ha amplificato i problemi, riducendo la redditività delle imprese e aumentandone gli oneri finanziari. Il margine operativo lordo (Mol) delle imprese in rapporto al valore aggiunto è sceso al 32 per cento, con cali ancora più vistosi per quelle di minori dimensioni e più legate al mercato domestico, intaccandone la capacità di autofinanziamento e in molti casi anche il patrimonio. Le imprese italiane, soprattutto di piccole dimensioni, appaiono sempre più indebitate e incapaci di servire il debito. Da qui l’esplosione delle procedure fallimentari, concordati di ogni genere e chiusure. In queste condizioni, il de-leveraging è per certi aspetti fisiologico.
COME NE USCIAMO
Nel medio-lungo periodo, la soluzione può essere trovata solo sviluppando tutti i modi possibili per far affluire capitale di rischio alle imprese. Per esempio, nel solco delle politiche già iniziate dal Governo Monti, rafforzando gli incentivi fiscali già introdotti all’accumulazione di capitali (come l’Ace) e sviluppando ulteriormente tutti i meccanismi che consentano al risparmio di arrivare direttamente alle imprese, saltando l’intermediazione bancaria (come i mini bond, le obbligazioni societarie, i fondi di private equity, e così via)(1).
Ma queste sono soluzioni di medio-lungo periodo; resta sempre il problema di come affrontare l’emergenza. Il principale strumento finanziario proposto, le cartolarizzazioni, hanno il problema di servire a poco se la qualità degli asset sottostanti non è buona: l’esperienza dei mutui sub-prime insegna. Non a caso gli Abs (assets back securities), che sono già stanziabili presso la Bce (seppure nella forma pro solvendo, in cui le banche si pongono a garanzia del rischio di credito), ricevono tipicamente un hair-cut altissimo, a testimonianza della rischiosità percepita dagli operatori su questi strumenti. (2) Alla radice delle difficoltà, c’è anche il problema della corretta valutazione del rischio da parte degli operatori che dovrebbero acquistare le tranche di credito dalle banche.
UNA PROPOSTA ALTERNATIVA
Se il problema di fondo è la carenza di capitali, piuttosto che di credito, è necessario immaginare soluzioni che anche nel breve periodo consentano di utilizzare il capitale che già esiste. Ad esempio, si potrebbe prefigurare un maggior intervento del settore assicurativo, che non solo possiede i capitali, ma che in molti casi ha anche le competenze necessarie per la valutazione della qualità dei crediti societari. In Italia, la Sace, una controllata dalla Cassa depositi e prestiti che tradizionalmente assicura i crediti esteri, potrebbe dare un importante contributo, assicurando anche i crediti concessi dalle banche, in linea con quanto fanno analoghe agenzie nei paesi europei. E in effetti, esistono già esperienze internazionali, e a livello di singole regioni italiane, che mostrano come programmi di garanzie al credito per le piccole e medie imprese generino effetti positivi sia a livello di disponibilità del credito che del suo costo. E questo senza provocare grossi problemi di azzardo morale, cioè senza generare un maggior numero di default. (3)
Una condizione perché questi interventi funzionino è che la Banca d’Italia accetti di considerare le garanzie assicurative al pari di quelle bancarie. Ciò consentirebbe di ridurre gli assorbimenti di capitale imposti alle banche per la concessione dei prestiti. A sua volta, il maggior capitale permetterebbe alle banche di aumentare il volume dei prestiti alle imprese. Si otterrebbe cioè lo stesso obiettivo perseguito con le cartolarizzazioni, introducendo però minori rischi nel sistema.
(1) Il rapporto curato dal forum “Idee per la crescita”, scaricabile dal sito www.ideeperlacrescita.it, discute in dettaglio numerose proposte in questa direzione.
(2) A questo proposito vale la pena ricordare che persino la Fed, quando mise in opera il programma Talf (Term Asset-Backed Securities Loan Facility), acquistò in pro-soluto solo le trance migliori dei portafogli Abs, lasciando alle banche il rischio più junior.
(3) Alessio D’Ignazio and Carlo Menon, (2013), “The causal effect of credit guarantees for SMEs: evidence from Italy”, Banca d’Italia Temi di Discussione, n. 900. Si veda anche Hancock, D., Peek, J. and Wilcox, J. (2007), “The repercussions on small banks and small business of bank capital and loan guarantees”, Working Paper 07-22, Wharton University.
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Piero
Ok nel medio e lungo periodo, ma nel breve o brevissimo o nell’emergenza la soluzione c’è, ma non vi è il coraggio di adottarla, non penso che la Sace possa risolvere il problema, abbiamo due istituti che possono essere utilizzati a questo scopo, fino a che le banche tornino a fare il loro mestiere, il Mediocredito centrale e la cassa depositi e prestiti.
Il Mediocredito deve concedere le garanzie con la procedura semplificata fino al 30% del fatturato della pmi, l’unico requisito il bilancio in utile e l’obbligo dell’impresa di non ridurre l’occupazione per almeno due anni; garanzie che possono essere utilizzate sia per i fidi a breve che nel medio periodo.
La cassa depositi e prestiti deve concedere mutui ipotecari su beni dell’impresa o di terzi, sempre con la condizione del bilancio in utile e l’obbligo dl mantenimento dell’occupazione per due anni.
Naturalmente non bastano i 400 mln stanziati per il Mediocredito con il provvedimento salva Italia del 2011, queste devono essere misure veloci, l’istruttoria deve essere max di 5 giorni, il problema sono i fondi, ricordo che nel provvedimento salva itala di Monti ( che io ho chiamato salva banche) fu concessa la garanzia statale sul collaterale concesso dalle banche in garanzia alla Bce per ottenere i prestiti all’ 1%, nello stesso provvedimento si aumento anche la garanzia del Mediocredito per le pmi da 1,5 a 2,5 mln, ma tutto fu legato ad un decreto attuativo che è stato emanato dopo un anno. Non dobbiamo
Giovanni Natella
Il tema è il capitale umano, non quello finanziario! Non capisco l’interpretazione dei dati, perchè si vede che non è variata la leva, ma che è stato distrutto il Valore Aggiunto. Scommetto che c’è una correlazione positiva tra la disintegrazione del VA e l’uso insano di stagisti e il deflusso di cervelli.
Lo si nota nel primo grafico… la linea rossa che si impenna, e in 14 passa da meno di 10 a 180 significa che è il valore aggiunto distrutto. Perchè nello stesso grafico si vede che l’indebitamento è oscillato timidamente di qualche punto (tra l’altro la struttura rimane quasi immutata, sono i debiti con le banche che mutano). E poi… anche se il problema fosse il capitale sociale, sfido qualsiasi investitore a mettere i soldi in aziende che non portano valore aggiunto. Sembra veramente di essere monotematici, ma i grandi temi sono sempre gli stessi: l’innovazione e il capitale umano.
Giesse
Ben argomentata l’analisi (resta la riserva del mal costume tutto italiano con imprenditori che sovente indebitavano l’azienda per “capitalizzare ” i propri conti correnti) ed interessante la proposta. Domando e mi domando fino a che punto sia corretto ipotizzare un intervento di SACE sui crediti aziendali, quando questi ultimi, per molte imprese, sono verso la Pubblica Amministrazione. Potrebbe SACE non garantirli? No, perché SACE, de facto al 70% del MEF, non potrebbe rinnegare se stessa. Perché quindi a questo punto non permettere alle banche di ridurre l’assorbimento di capitale per crediti scontati a clienti con debitore la PA? Il primo impatto sarebbe immediato e libererebbe immediatamente capitale.
Giampaolo Paoletti
la sottocapitalizzazione e l’indebitamento delle aziende è un cronico problema delle aziende italiane che nasce dalla mancanza di cultura economica dell’imprenditore degli equilibri economico-patrimoniali; se ciò era giustificabile negli anni del boom economico non lo è oggi; poi se gli esempi dei grandi capitani coraggiosi sono quelli di fare i capitalisti con i soldi degli altri …..
Confucio
con un total tax rate al 68% quando va bene e debiti da fare presso le banche per pagare le tasse quando va male spiegatemi come fa una PMI ad accrescere il capitale, investire, fare R&D e remunerare i soci almeno con uno medio stipendio impiegatizio.
se il fisco idrovora prosciuga le risorse miracoli non se ne fanno e nemmeno nozze con i fichi secchi.
tutto il resto è letteratura.
Sarastro
L’assunto per il quale le imprese di assicurazione abbiano generalmente le competenze necessarie per valutare il merito di credito di un’azienda è tutto da dimostrare.