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Reddito di cittadinanza tra mito e misura*

Il reddito di cittadinanza è stato molto criticato, spesso senza alcun riferimento a evidenze concrete. Ora un rapporto Inapp permette di tracciare un quadro più chiaro delle caratteristiche socioeconomiche delle famiglie che beneficiano della misura.

Chi percepisce il reddito di cittadinanza

Dalla lezione dei Nobel David Card e Alan Krueger contenuta nel saggio Myth and Measurement si ricava che sovente le politiche pubbliche sono accompagnate da luoghi comuni e narrazioni più o meno maliziose, non sostenute da evidenze. Ne è un esempio, in Italia, il reddito di cittadinanza, che si rivolge alla popolazione esposta ai rilevanti e crescenti fenomeni di povertà.

Nel Policy Brief Inapp sul reddito di cittadinanza (elaborato a partire dai dati dell’indagine Inapp-Plus realizzata tra marzo e luglio del 2021 su un campione di 45 mila interviste) stimiamo (figura 1) che siano 814 mila le famiglie che hanno cominciato a percepire il reddito di cittadinanza già da prima dell’emergenza Covid-19 e circa un milione quelle che hanno iniziato a beneficiarne durante la crisi sanitaria. La platea del Rdc – al lordo dei cessati – è di circa 1,8 milioni di famiglie (a+b). Molto prossimi ai requisiti di accesso sono 1,4 milioni di famiglie che “hanno già fatto richiesta, ma non è stata accolta” (c) e “1,6 milioni di famiglie che non hanno ancora fatto richiesta ma intendono farla a breve” (d). I tratti socioeconomici della platea potenziale sono molto simili alla platea dei beneficiari, rappresentando una sorta di gruppo di controllo.

Figura 1 – Famiglie beneficiarie di RdC da prima e durante il Covid19  e platea potenziale (distinti tra coloro cui non è stata accolta la domanda e chi intende farne richiesta), % asse sx, v.a. asse dx

Fonte: Indagine Inapp-Plus, 2021.

La composizione dei percettori di Rdc per condizione occupazionale mostra che il 30 per cento ha occupazioni standard e il 15 per cento contratti precari. Tuttavia, se nel periodo pre-pandemico era coinvolto nel Rdc il 38 per cento degli occupati, durante la crisi sanitaria i percettori occupati sono saliti al 52 per cento. Ovvero, la connotazione lavoristica del Rdc è andata accentuandosi parallelamente alla crescita dei working poor (De Minicis, Marucci), curvando sul lavoro una misura originariamente pensata per contrastare la povertà.

Le caratteristiche socioeconomiche

Vediamo le caratteristiche socioeconomiche delle diverse platee di beneficiari (figura 2). Il reddito di cittadinanza è stato richiesto prevalentemente da famiglie con redditi medio bassi, con maggiori difficoltà ad affrontare spese impreviste, famiglie monocomponenti e coppie con figli. Inoltre, i percettori di Rdc sono più presenti in termini relativi nelle famiglie monocomponenti, ma emerge una consistente domanda potenziale in quelle con due o più componenti. Allo stesso modo, nonostante i beneficiari siano più presenti nel Mezzogiorno, si evidenzia una domanda non soddisfatta anche nel Nord-Ovest e, ancor di più, nel Nord-Est. Rispetto alla questione territoriale, c’è un ampio dibattito sulla necessità di differenziare l’ammontare del Rdc in funzione al diverso potere d’acquisto. Quando il costo per l’abitazione diventa pressante (oltre il 25 per cento del reddito familiare), sale la domanda di Rdc. È anche interessante considerare i vincoli di bilancio familiare, da cui risulta come gli impegni di spesa fissi elevati (oltre il 25 per cento del reddito familiare) relativamente al costo della casa (affitti e mutui e spesa alimentare) riguardino proprio i nuclei percettori di Rdc e i beneficiari potenziali.

Il 35,4 per cento dei percettori del Rdc usufruisce solo dell’integrazione al reddito, il 31,3 per cento anche del contributo per l’affitto e il 19,3 per cento riceve l’integrazione al reddito e il contributo per il mutuo. Ed è proprio nel Nord-Est e nel Centro che si rileva un peso maggiore di chi beneficia del contributo per l’affitto.

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Per oltre il 77 per cento delle famiglie beneficiarie il reddito di cittadinanza è stato una risorsa indispensabile (figura 3): fondamentale per il 27 per cento ed essenziale per il 50 per cento. Livelli che, peraltro, scontano una forte sottostima dei più marginali.

Le proposte di lavoro

Il 50 per cento dei beneficiari ha ricevuto una proposta di lavoro dai centri per l’impiego, ma ben il 56 per cento non l’ha accettata. La figura 4 mostra i motivi del rifiuto: il 53,6 per cento indica l’attività non in linea con le competenze possedute, il 24,5 per cento non in linea con il proprio titolo di studio, mentre l’11,9 per cento lamenta una retribuzione troppo bassa. Solo il 7,9 per cento segnala la necessità di spostarsi come causa prevalente del rifiuto. Al di là della identificazione dell’offerta congrua – quanto mai difficile da definire -, il rifiuto per circa il 78 per cento  delle famiglie beneficiarie di Rdc dipende dalla modesta qualità delle opportunità ricevute.

Ma, il target del Rdc è stato raggiunto? Sì, ha effettivamente raggiunto i poveri, ma i poveri sono più dei percettori del Rdc e alcuni risultano esclusi o penalizzati dal disegno della misura (immigrati da meno di 10 anni, senza fissa dimora, anziani fragili). Dunque, non sono comprensibili lo stigma sociale e le narrazioni tossiche verso i percettori del Rdc. In continuità con Baldini e Gallo, Anpal e il la Commissione Saraceno anche le nostre analisi confermano la necessità della misura e suggeriscono una sua messa a punto.

Non di solo pane vive l’uomo

Il Rdc, una misura di sostegno al reddito simile a quelle presenti già da tempo in tutti i paesi europei, restituisce alle persone anche consapevolezza, dignità e prospettiva. I beneficiari lo percepiscono chiaramente: infatti il 64 per cento dichiara di avere maggior fiducia nelle istituzioni, il 63 per cento di aver avuto più tempo per la cura dei figli, il 61 per cento di aver migliorato la propria condizione economica. In più, il 58 per cento ha fatto volontariato, il 54 per cento percepisce un miglioramento nella salute psico-fisica e, in generale, uno su due dichiara di aver maggiore fiducia in sé stesso, nel futuro, nei rapporti con gli altri e nella classe politica.

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Sempre più evidente è la relazione tra disfunzioni distributive e necessità redistributive: la qualità del mercato del lavoro determina la quantità degli interventi di sostegno. Se si vorrà evitare che vadano ingrossandosi le file di richiedenti del Rdc si dovrà intervenire sul versante lavoro, aumentando le retribuzioni, rendendo più stabili le occupazioni, estendendo le tutele, contrastando il lavoro nero. E l’inflazione crescente non aiuta.

Occorre, dunque, ripristinare l’equilibrio e l’equità del sistema. In tal senso vanno lette le iniziative del governo spagnolo sul lavoro atipico e di quello tedesco sul salario minimo.

*Le opinioni espresse non rappresentano necessariamente quelle dell’Istituto di appartenenza.

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Il Punto

  1. Fabrizio Fabi

    Purtroppo, se si usano i dati “ufficiali” di reddito, si generano inevitabilmente forti dubbi…
    Per un sussidio ai più poveri, mi sembrerebbe assai più equa e meno burocratica la cosiddetta “tassazione negativa”, ovvero fornire, a tutti indistintamente, un tot mensile, finanziandolo con tassazione “positiva” sui livelli medio-alti (meglio se patrimoniali) .
    Resto comunque convinto che, come ripeteva mio padre (semplice ragioniere, con diploma preso alle scuole serali, lavorando): “La prima forma di solidarietà è dare alle persone la possibilità di lavorare”.

  2. Maurizio Bovi

    La parte sul perché del rifiuto è interessante. In essa emerge una forte resistenza a discostarsi dalle competenze/titolo_di_studio.
    Su ciò mi piacerebbe sapere quanto le offerte sono “lontane” dalle competenze/titolo_di_studio. Invero mi immagino, ma vorrei conferma, che competenze/titolo di studio siano mediamente basse e generiche. Anche da questa “inflessibilità” si potrebbero inferire informazioni sul vero livello di necessità del RdC percepito.
    Mi sembra che la seguente frase dell’articolo sia contraddittoria: “Al di là della identificazione dell’offerta congrua – quanto mai difficile da definire -, il rifiuto per circa il 78 per cento delle famiglie beneficiarie di Rdc dipende dalla modesta qualità delle opportunità ricevute.”
    Voglio dire: se l’offerta congrua è “quanto mai difficile da definire”, come potete far dipendere il rifiuto “dalla modesta qualità delle opportunità ricevute.”?

  3. bob

    “La prima forma di solidarietà è dare alle persone la possibilità di lavorare..”
    Aggiungo ” Oltre dare la possibilità all’impresa di assumere”

  4. Alfredo

    Ottimo articolo. Il reddito di cittadinanza continua ad essere osteggiato da chi guarda con diffidenza al fatto di elargire contributi a beneficio della fasce più a rischio, privilegiando magari ancora la fallimentare politica dei sussidi alle imprese. Come giustamente ricordato, è una misura che ha equivalenti in diversi paesi europei, in molti dei quali i servizi per l’impiego funzionano certamente meglio che nel nostro. E’ su questo versante che bisogna evidentemente porre maggiore attenzione, a cominciare dal rafforzamento dei centri per l’impiego.

    • Paola Mirco

      Nella mia esperienza di operatore di Servizi per il Lavoro ho potuto constatare che il Reddito di Cittadinanza ha effettivamente risollevato le condizioni socio economiche di tanti nuclei familiari in gravi difficoltà. Per quanto riguarda il rapporto con la domanda di lavoro, in particolare l’offerta congrua, per la maggior parte sono persone disposte ad accettare qualsiasi lavoro, anche per il fatto che sovente possiedono competenze limitate e di basso profilo. Sono al contempo persone in molti casi disposte a imparare e che vivono la possibilità di frequentare un corso di formazione come una grande opportunità.

  5. Rambler

    Noto ultimamente da parte di alcune forze politiche un accanimento nei confronti della povera gente, che trovo molto distante da quelli che dovrebbero essere i principi di solidarietà in un paese dove molti si sentono fortemente legati alle radici cristiane. Eppure, spesso, sono proprio questi ad accanirsi maggiormente: purtroppo quando di mezzo ci sono interessi economici o politici, spesso il resto passa in secondo piano. Eppure una soluzione semplice ci sarebbe: basterebbe creare delle condizioni lavorative dignitose, approvare un minimo salariale ed adeguare gli stipendi alle capacità personali, facendo contestualmente maggiori controlli sui furbetti del reddito di cittadinanza. Purtroppo nel nostro paese abbiamo in molti casi una classe che si definisce imprenditoriale ma che manca di una visione a lungo termine, e preferisce lasciar andare all’estero chi ha le competenze piuttosto che pagargli stipendi adeguati, al grido di “meglio un uovo oggi che una gallina domani”.

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