Con la pandemia non c’è stato il crollo del commercio internazionale ipotizzato da molti. Per rendere i commerci meno vulnerabili alle crisi va aumentata la diversificazione dei fornitori di beni intermedi, eliminando alcune barriere non tariffarie.
Una rapida ripresa del commercio internazionale
Erano in molti ad aspettarsi che gli shock a domanda e offerta generati dalla pandemia avrebbero portato a un collasso drammatico e duraturo del commercio internazionale. Al contrario, la dinamica flussi commerciali fra paesi si è rivelata “resiliente”: dopo un crollo vicino al 20 per cento nei primi mesi del 2020 – in contemporanea con l’imposizione dei lockdown — il volume delle importazioni internazionali è tornato ai livelli pre-pandemia già durante l’ultimo trimestre di quell’anno.
La rapida ripresa del commercio internazionale è stata guidata dal ritorno del commercio dei beni, che già a fine 2020 aveva raggiunto volumi superiori a quelli pre-pandemia. Di contro, negli ultimi mesi del 2021 il commercio nei vari settori dei servizi (come il turismo) era ancora molto al di sotto dei livelli osservati prima del Covid-19 (Figura 1).
Diversi fattori direttamente collegati alla pandemia contribuiscono a spiegare questi sviluppi. In particolare, i dati suggeriscono che la crescita delle importazioni dei beni durante il 2020 sia stata più elevata di quanto suggerito da un semplice modello in cui l’import dipende dalla domanda interna e dai prezzi relativi delle importazioni rispetto ai beni domestici. Il fenomeno è accentuato nei paesi dove la pandemia ha avuto conseguenze più evidenti, in termini sia di casi di Covid-19 che di intensità dei lockdown. Ciò può essere spiegato da una più alta domanda di beni di consumo, in parte dettata dalla pandemia, che ha imposto una contrazione del consumo di alcuni servizi non più accessibili (come viaggi o ristorazione), più alti risparmi e politiche fiscali espansive, e dalla necessità di importare nuovi beni (per esempio, apparecchiature mediche).
Inoltre, i lockdown hanno generato importanti ricadute internazionali. I paesi i cui partner commerciali hanno adottato misure più restrittive hanno registrato un calo maggiore delle importazioni. Le nostre stime suggeriscono che tali spillover spiegano quasi il 60 per cento del declino globale delle importazioni osservato fra gennaio e maggio 2020. L’impatto dei lockdown si è fatto sentire in modo più forte nelle industrie più integrate nelle catene globali del valore e, in generale, in quelle più a valle in termini di processi produttivi, come l’elettronica e il settore automobilistico. E nei paesi che hanno una minore capacità di ricorrere al lavoro da remoto.
Tuttavia, gli effetti si sono rivelati di breve durata: la ricaduta dei lockdown sui flussi di commercio internazionale diminuisce a maggio 2020 e diventa nulla già nel corso dell’estate (Figura 2). Ciò suggerisce che le catene globali del valore sono riuscite ad adattarsi in fretta alle nuove condizioni imposte dalla pandemia.
Figura 2 – Gli spillover internazionali dei lockdown
Aumentare la diversificazione
Ciononostante, i problemi produttivi causati dalla pandemia e i conseguenti maggiori costi e ritardi nel commercio di alcuni beni essenziali hanno portato alcuni governi, inclusa l’amministrazione statunitense, a proporre politiche di “reshoring” (produrre una maggiore quantità di beni intermedi all’interno del proprio paese) come soluzione al problema. La nostra analisi per il World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale suggerisce che tali proposte non rappresentano una risposta adeguata. Al contrario, i paesi possono rendere le proprie economie meno sensibili a shock internazionali incrementando la diversificazione dei loro input tra partner commerciali e non riducendola. Strategie di più ampia diversificazione dell’acquisto di beni intermedi sono un’assicurazione contro il rischio di shock (eventi naturali, instabilità politica, guerre) che possono colpire i paesi fornitori. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, per esempio, ha messo in luce i costi di strategie di approvvigionamento energetico particolarmente concentrate geograficamente.
I dati sui beni più integrati nelle catene globali del valore suggeriscono che le reti di produzione globali si sono adattate rapidamente alla pandemia. Per esempio, a metà 2020 (quando i paesi europei iniziavano a imporre pesanti restrizioni), quelli asiatici, i primi colpiti dall’onda Covid, ma anche i primi a contenerla in modo efficace, avevano visto crescere le loro quote di mercato nelle esportazioni di questi beni di 4,6 punti percentuali verso l’Europa e di 2,3 punti percentuali verso il Nord America. Una crescita veloce e importante se comparata ai dati storici, ma non persistente. Infatti, nell’anno seguente le quote asiatiche verso l’Europa sono scese di 1,5 punti percentuali e quelle verso il Nord America di 1,7 punti percentuali.
Nonostante la buona tenuta delle catene globali del valore, alcune industrie, come quella dell’automobile, hanno dovuto fare i conti con significative supply disruptions, mettendo in evidenza il bisogno di migliorare la loro resilienza. Nel nostro studio, analizziamo due opzioni: aumentare la diversificazione degli input produttivi fra paesi fornitori e favorire l’adozione di tecnologie che rendano gli input produttivi più sostituibili tra di loro, per esempio, rendendoli più standardizzati. Non a caso, General Motors ha annunciato l’intenzione di ridurre del 95 per cento il numero dei chip unici, limitando l’uso a soli tre gruppi di microcontrollori. Gli effetti di una maggiore diversificazione geografica e di un maggior grado di sostituibilità degli input intermedi sono valutati utilizzando un modello multisettoriale e multipaese e simulando gli effetti di uno shock a un importante paese produttore di beni intermedi in differenti scenari. L’analisi mostra che c’è ampio spazio per aumentare la diversificazione, riducendo la quota di beni intermedi prodotti domesticamente. Aumentare la quota di input acquistati all’estero riduce di circa la metà l’effetto negativo sulla crescita economica dello shock simulato nel modello. Analogamente, una maggiore sostituibilità riduce considerevolmente i costi economici degli shock che colpiscono i paesi produttori di beni intermedi.
In termini di politiche economiche, il rapporto evidenzia la necessità di continuare a investire per promuovere le vaccinazioni, la capacità di testing e le terapie, al fine di contenere la pandemia e limitarne gli effetti sull’attività economica e sul commercio. In secondo luogo, gli effetti dei lockdown, così come quelli di altri shock, sulle catene globali del valore, possono essere attenuati da maggiori investimenti in infrastrutture, sia quelle fisiche (come i porti), che quelle digitali (per esempio, aumentando la capacità di imprese e lavoratori di ricorrere al teleworking). Infine, una maggiore diversificazione può essere favorita da una riduzione dei costi del commercio, in particolare attraverso minori barriere non tariffarie (sussidi, quote, regole di origine). Benché come (e quanto) diversificare l’acquisto dei beni intermedi e il grado di sostituibilità degli input siano in ultima analisi scelte delle imprese, crediamo che ci sia comunque spazio per politiche pubbliche volte a favorire una maggiore internazionalizzazione. Per esempio, attraverso la creazione e la comunicazione di più ampie informazioni sulle varie componenti delle catene globali del valore, per permettere una migliore conoscenza e gestione dei rischi.
*Le opinioni espresse in questo articolo sono strettamente personali e non rappresentano necessariamente le opinioni del Fondo monetario internazionale, del suo Executive Board o del suo management.
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Savino
E’ la domanda che governa il mercato; senza la domanda e senza il potere d’acquisto conseguente ad un flusso reddituale aggregato l’esistenza o meno di un luogo fisico o virtuale di scambio è indifferente.