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Sul lavoro straniero tra il dire e il fare c’è di mezzo la burocrazia

L’ingresso in Italia di lavoratori stranieri è regolato da un percorso burocratico lungo e complesso, incompatibile con le esigenze dell’economia. Il problema riguarda in particolare agricoltura e turismo, che hanno bisogno di manodopera stagionale.

Il percorso a ostacoli degli ingressi per lavoro

Nei giorni scorsi hanno fatto scalpore le dichiarazioni del Ministro del Turismo (Massimo Garavaglia, Lega), secondo cui, per far fronte al fabbisogno di manodopera stagionale, bisognerebbe aumentare le quote previste dai “decreti flussi”. In altri termini, accogliere più lavoratori stranieri.

A dire il vero, come ricordato in un precedente articolo, il decreto flussi 2021 (Dpcm del 21 dicembre 2021) aveva già raddoppiato le quote previste per il 2022 (69.700, di cui oltre 40 mila stagionali) rispetto a quelle degli anni precedenti (30.850 negli ultimi sei).

È risaputo peraltro che molti dei beneficiari del decreto sono in realtà già presenti in Italia, irregolarmente, per cui il decreto opera di fatto come una “sanatoria” mascherata.

Probabilmente il numero stabilito per il 2022 non è ancora sufficiente, dato che, sempre secondo il Ministro, nel comparto turistico “mancano 350 mila lavoratori”. Ma il problema non è solo il numero: la volontà politica, sancita dal decreto, si scontra infatti con la macchina burocratica italiana.

La finestra per la presentazione delle domande si è chiusa il 17 marzo. Il criterio di valutazione si basa esclusivamente sulla data (anzi, l’ora) di presentazione, secondo l’ormai consueto – e cinico – meccanismo del “click day”.

A quel punto scattano le verifiche da parte di questura, prefettura e Ispettorato del lavoro (sia sul lavoratore che sul datore di lavoro) e il datore viene convocato in prefettura. Lo stesso sito del Ministero del Lavoro ammette che la convocazione avviene “entro 60 giorni dalla presentazione della domanda secondo la legge, dopo molto più tempo nella prassi”.

La fase successiva prevede che il lavoratore straniero debba fare richiesta del visto agli uffici consolari del suo paese di provenienza. Il consolato comunica allo straniero la proposta di contratto di soggiorno per lavoro e rilascia, entro 30 giorni dalla richiesta, il visto d’ingresso e l’indicazione del codice fiscale. Una volta ottenuto il visto, il lavoratore può entrare in Italia.

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Entro 8 giorni lavorativi dall’ingresso in Italia, il lavoratore straniero si reca presso lo Sportello unico competente che, verificata la documentazione, consegna al lavoratore il certificato di attribuzione del codice fiscale. Il lavoratore straniero sottoscrive il contratto di soggiorno per lavoro, senza apporre modifiche o condizioni, che viene conservato presso lo Sportello medesimo. Lo Sportello unico provvede altresì a far sottoscrivere al lavoratore straniero il modulo di richiesta del permesso di soggiorno che viene inviato alla questura competente tramite l’inoltro di un apposito kit presso l’ufficio postale.

Un vero e proprio percorso “a ostacoli” per persone che, peraltro, non conoscono la lingua e le normative italiane.

Calcolando quindi almeno tre mesi dalla data di chiusura della finestra, è evidente che, dei quasi 70 mila ingressi previsti per il 2022, finora nessuno ha messo piede in Italia. E che, presumibilmente, gli ingressi inizieranno non prima del mese di luglio.

Tempi ovviamente non compatibili con le esigenze del sistema economico, specialmente nel turismo e in agricoltura.

Un precedente poco incoraggiante

A proposito di “sanatoria”, la campagna Ero Straniero ha da poco pubblicato il monitoraggio sullo stato di avanzamento delle domande di regolarizzazione presentate nell’ambito della procedura prevista dal decreto “Rilancio” (decreto legge 19.5.2020 n. 34).

Delle 207 mila domande presentate dal datore di lavoro (comma 1) in agricoltura e nel lavoro domestico, dopo quasi due anni, gli uffici competenti ne hanno esaminato appena il 50 per cento.

Situazione alquanto strana per un provvedimento “di emergenza”, giustificato dal fatto che, a causa delle restrizioni dovute alla pandemia, nel 2020 si denunciava una carenza di manodopera in due settori essenziali come l’agricoltura e l’assistenza domestica.

Come si vede chiaramente dai dati delle 14 città metropolitane, il problema riguarda prevalentemente le grandi città: Roma, Milano e Napoli – che poi sono poi le città che hanno ricevuto più domande – registrano uno stato di avanzamento inferiore al 20 per cento.

Questi dati consentono alcune riflessioni. Innanzitutto, appare incomprensibile che il legislatore non abbia saputo prevedere che i tempi amministrativi sarebbero stati incompatibili con quelli dell’economia. Era davvero impossibile stabilire un iter più rapido almeno per gli stagionali, in modo da consentire loro l’ingresso prima dell’estate?

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E se la procedura di emersione ha riscontrato più difficoltà nelle grandi città, non era possibile potenziare il personale di quegli uffici o smistare parte delle domande presso altre prefetture?

Queste criticità hanno effetti diretti sul mercato del lavoro e sul sistema economico. È chiaro che un percorso così tortuoso e complesso finisce inevitabilmente per favorire il ricorso al lavoro irregolare, come l’esperienza degli ultimi decenni dimostra.

Le proposte per riformare le procedure di ingresso per lavoro non mancano, per esempio introducendo lo “sponsor” o il “permesso per ricerca occupazione”. In ogni caso, oltre ai propositi dei provvedimenti, andrà valutata attentamente la loro fattibilità effettiva, per evitare che i buoni intenti si scontrino con la macchina amministrativa.

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  1. carlo nizzero - Treviso

    Grazie a EdP e CT per l’articolo molto ben documentato e attualissimo, come d’uso.
    Ricordo “sul campo” Enrico in anni migliori; ben meritava di farsi strada.
    Leggo “appare incomprensibile che il legislatore non abbia saputo prevedere che i tempi amministrativi sarebbero stati incompatibili con quelli dell’economia. “ Il problema non fu solo la cecità previsionale (spesso esistente) del Legislatore, ma la lotta politica (?) in sede legislativa, come documentato sulle cronache di due anni fa, oggi parzialmente ricorrenti su altri argomenti in versione tragica: l’opposizione del M5S e la passività del PD nei riguardi del provvedimento in oggetto, all’interno del c.d. Decreto Rilancio. La “Burocrazia”, più o meno influenzata dalla “Politica”, ci ha messo poi del suo con abbondanza. Il tutto fu aggravato dal fatto che la proponente fosse Teresa Bellanova, competente del settore come ex Bracciante ed ex Sindacalista CGIL dei Braccianti e, alla data, Ministra dell’Agricoltura “in quota” Italia Viva.
    https://www.corriere.it/politica/20_maggio_06/coronavirus-migranti-ministra-bellanova-no-regolarizzazione-rifletto-dimissioni-8803462c-8f68-11ea-bb7f-d3d655d2211a.shtml Forza & Coraggio

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