L’Eurozona non ha ancora un vero scudo anti-spread. Il nuovo strumento annunciato dalla Bce è avvolto nel mistero. Basterà la flessibilità nel riacquisto dei titoli? Intanto l’Omt è andato in soffitta.

Il mistero del nuovo scudo anti-spread

Nella riunione del 9 giugno, il Consiglio direttivo della Bce ha annunciato una strategia molto chiara in relazione all’aumento dei tassi di interesse, che verrà attuato a partire dalla prossima riunione di luglio, e alla fine del quantitative easing, con la conclusione degli acquisiti netti di attività finanziarie. Non altrettanto si può dire in relazione al nuovo strumento per contenere gli spread tra i tassi di interesse dei paesi membri dell’Eurozona. Nelle settimane scorse, erano circolate voci, alimentate dagli stessi alti esponenti della Bce, relative all’introduzione di un nuovo strumento di questo tipo. La Presidente Lagarde vi ha fatto cenno nella conferenza-stampa del 9 giugno. Tuttavia, la natura di questo strumento è avvolta nella totale incertezza. O meglio, stando alle informazioni attuali, esso consiste unicamente nella flessibilità che potrà essere esercitata nel rinnovo dei titoli in scadenza, acquistati con il programma pandemico (Pandemic Emergency Purchase Program – Pepp). Basterà? Non lo sappiamo: in questi casi, tutto dipende dalle aspettative del mercato, quindi dalla credibilità della Bce stessa. Una cosa è certa: annunci così vaghi non giovano alla credibilità della banca centrale, e il crollo dei mercati di borsa avvenuto il giorno dell’annuncio, unitamente all’ampliamento degli spread, lo dimostra.

Acquisti flessibili

La flessibilità nella distribuzione degli acquisti fatti con il programma Pepp non è di per sé una novità. Essa è stata introdotta fin dall’inizio del programma stesso: nel marzo 2020. Anzi, è stata usata in misura maggiore proprio nella fase iniziale della crisi pandemica, per contenere gli spread dei paesi ad alto debito (come il nostro) che erano entrati in tensione. Poi è stata utilizzata sempre meno. Come si vede nella figura, gli acquisti hanno mostrato una tendenza a convergere verso la distribuzione per paese che deriva dal cosiddetto principio delle “capital keys”: in pratica, in base alla dimensione dei paesi membri dell’Eurozona.

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Figura 1 – Deviazione cumulata dalle capital keys nel Pepp (punti percentuali)

Fonte: Banca d’Italia – Rapporto sulla stabilità finanziaria.

In prospettiva, bisognerà vedere in quale misura la Bce sarà disposta ad usare ancora questa flessibilità, quando andrà sul mercato ad acquistare titoli di importo equivalente a quelli in scadenza. Si tratta di importi notevoli: 1.700 miliardi in tutto. La Bce ha già annunciato che la politica di rinnovo di questi titoli (roll-over) andrà avanti fino alla fine del 2024. Non è però chiaro come verrà usata questa flessibilità e quale sarà la sua efficacia di fronte ad un eventuale attacco speculativo sul debito di un paese membro. Se, per esempio, vi fosse un attacco sul debito italiano, la Bce dovrà attendere che scadano titoli di altri paesi per acquistare Btp? Oppure sarà disposta ad anticipare l’acquisto di Btp per essere più tempestiva? Non lo sappiamo. Attendere che i mercati mettano alla prova la banca centrale per rivelare questi aspetti potrebbe essere pericoloso.

Il portafoglio-titoli detenuto dalla Bce, accumulato con gli acquisiti fatti con il Pepp, rappresenta comunque uno strumento prezioso nelle sue mani, al momento l’unico davvero disponibile per contenere gli spread. Questo dovrebbe far riflettere coloro che propongono di trasferire questi titoli ad altre istituzioni: una Agenzia del debito europeo di nuova costituzione o il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes). Oltre ai limiti già evidenziati in un altro articolo, queste proposte, se attuate, priverebbero la Bce di tale strumento.

Occorre anche considerare che da qui alla fine del 2024 scadranno 2.200 miliardi di prestiti fatti dalla Bce alle banche: le Targeted – Longer Term Refinancing Operations (T-Ltros). La restituzione di questi prestiti comporterà una riduzione del 25% della dimensione del bilancio dell’Eurosistema. Questo rende meno pressante l’esigenza di smaltire lo stock di titoli detenuti in portafoglio, visto che una notevole dose di “quantitative tightening” avverrà per il solo effetto dovuto alla scadenza delle T-Ltros.

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Che fine ha fatto l’Omt?

Infine, qualcuno potrebbe domandarsi: ma lo “scudo anti-spread” non era già stato introdotto nel 2012, in seguito alla fatidica frase di Mario Draghi (“whatever it takes”)? Che fine ha fatto il programma Outright Monetary Transactions (Omt) adottato nell’estate di quell’anno? Nessuno più ne parla, neppure la Bce stessa. Il motivo è semplice: nonostante il potente effetto di annuncio che ha accompagnato la sua introduzione, con una notevole riduzione dello spread Btp-Bund, esso è di fatto inutilizzabile. Perché sia attivato, occorre che il governo di un paese stipuli un accordo di assistenza finanziaria con il Mes, con tanto di programma di aggiustamento economico e fiscale connesso. A nessun governo piace sottoporsi a queste condizioni, infatti l’Omt non è mai stato usato. Occorre quindi rivedere questa condizionalità. Oppure inventarsi uno strumento nuovo. Ci arriveremo? Chissà. Attendiamo che la Bce faccia chiarezza.     

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