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Nuova vita per i distretti*

I distretti italiani hanno registrato un miglioramento dopo la doppia recessione del 2008-2012. Il vantaggio di produttività delle imprese distrettuali medie e grandi è pressoché raddoppiato, raggiungendo i livelli medi conseguiti dalle piccole aziende.

I distretti industriali come modello di sviluppo economico locale

I primi studi sui distretti industriali vengono tradizionalmente ricondotti al lavoro dell’economista inglese Alfred Marshall, che individuò nella presenza di un ricco tessuto di piccoli operatori, caratterizzati da una forte specializzazione produttiva e localizzati in un’area geograficamente circoscritta, uno dei possibili fattori della crescita economica di lungo periodo. La concentrazione territoriale favorirebbe il reperimento e la disponibilità di input produttivi di maggiore qualità, l’efficienza nelle relazioni commerciali tra imprese a monte e a valle della filiera, l’accumulo e il trasferimento di conoscenze sulle tecnologie produttive impiegate. Analisi successive, condotte da altri economisti (Giacomo Becattini e Francesco Musotti, Luigi Federico Signorini), hanno messo in evidenza il ruolo dei distretti industriali italiani nel sostenere lo sviluppo economico della cosiddetta “terza Italia” e, in generale, la crescita di tutto il paese dagli anni Settanta agli anni Novanta.

A partire dalla seconda metà degli anni Novanta la globalizzazione (con il conseguente ampliamento dei mercati di riferimento e l’estensione internazionale delle catene del valore) e l’accelerazione dell’innovazione tecnologica hanno messo in discussione i vantaggi del modello distrettuale. Si è affermato un modello di sistema produttivo incentrato su aziende di grandi dimensioni, strutturalmente più attrezzate per sostenere i rilevanti costi fissi delle attività di ricerca e sviluppo, dell’internazionalizzazione e più in grado di trarre vantaggio dall’ampliamento delle catene di fornitura. Alcuni studi empirici hanno documentato le crescenti difficoltà incontrate dalle imprese localizzate nei distretti nel mantenere i vantaggi di produttività riscontrati in passato. Nello stesso periodo, tuttavia, i distretti industriali hanno sperimentato rilevanti cambiamenti strutturali, con un’accresciuta partecipazione alle catene globali del valore e un ruolo sempre più rilevante delle aziende di maggiore dimensione.

Le dinamiche recenti

In un recente lavoro di ricerca abbiamo fornito nuove evidenze sulla dinamica della produttività delle imprese manifatturiere dei distretti nel confronto con il resto del paese (escludendo le grandi aree urbane), coprendo un ampio arco temporale, che abbraccia la grande recessione e i periodi che l’hanno immediatamente preceduta e seguita.

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I risultati delle nostre analisi mostrano che le imprese distrettuali, a parità di settore, dimensione e area geografica, hanno continuato a essere più produttive, in termini di valore aggiunto per addetto, rispetto a quelle non distrettuali. Negli anni successivi al periodo di crisi, la produttività delle imprese distrettuali è cresciuta di più rispetto al resto dell’economia, interrompendo quindi le dinamiche di declino che le avevano caratterizzate dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso. La performance è risultata particolarmente positiva per le imprese di medie e grandi dimensioni operanti anche in settori diversi da quello di specializzazione distrettuale. Sono emersi anche miglioramenti nella dotazione di capitale umano, storicamente bassa nei distretti industriali; il grado di istruzione conseguito dai dipendenti delle imprese distrettuali ha infatti raggiunto quello medio delle aree di confronto.

Nel complesso si tratta di evidenze che mostrano che la specializzazione nel comparto core del distretto rimane premiante, in termini di produttività, per le piccole imprese, in particolare nei settori tradizionali. Per le imprese di dimensioni maggiori, i guadagni relativi in termini di produttività, migliorati significativamente negli ultimi anni, sono meno associati a sinergie dirette con il comparto di specializzazione e, come suggerito dalla letteratura più recente, più dipendenti da fattori di competitività interni all’azienda o legati a contesti geografici più ampi del distretto di localizzazione.

I risultati del lavoro pongono le basi per ulteriori approfondimenti della relazione tra mutamento strutturale e performance dei distretti, al fine di verificare in che misura stiamo assistendo all’effettivo radicarsi di un nuovo modello di distretto, dove le esternalità di conoscenza e le economie di relazione tipicamente associate alla concentrazione spaziale delle piccole e medie imprese, si coniugano in maniera proficua e duratura con i vantaggi della partecipazione delle aziende, soprattutto di quelle di maggiori dimensioni, alle catene globali del valore.

*Le opinioni espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente agli autori e non impegnano in alcun modo la responsabilità della Banca d’Italia.

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  1. bob

    diciamo pure che la scellerata politica degli ultimi 40 anni ha fatto dimenticare il concetto di distretto. Per molti pseudo politici, dirigenti etc. Giacomo Becattini era un emerito sconosciuto. Adesso perdonatemi si scopre “l’acqua calda” .
    Chi meglio di un distretto poteva affrontare la globalizzazione? Chi meglio di un distretto poteva essere fornitore ma anche concorrente di grandi gruppi multinazionali?
    Concettualmente il distretto non è altro che un insieme di soggetti capaci di gestire un intero processo produttivo. E’ mancata la capacità di gestire un patrimonio del genere una delle cause principali.

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