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La selezione naturale che aiuta la produttività

L’allocazione delle risorse verso le imprese più produttive può favorire la crescita della produttività aggregata. Nel caso italiano, il dibattito sulla sua rilevanza è ancora aperto. Le conclusioni cambiano se si considerano tutte le categorie di imprese. Attenzione però ai costi sociali.

Le componenti della produttività

In Italia, la produttività aggregata è stagnante dalla metà degli anni ‘90. Vi sono sicuramente molteplici fattori che concorrono a frenarne l’evoluzione. Da un lato, vi sono carenze nella produttività delle singole imprese. Dall’altro lato, sembra ridotta la capacità del sistema economico italiano di allocare risorse, come capitale e lavoro, verso le imprese più efficienti, favorendone la crescita. Il peso di questa seconda componente, detta efficienza allocativa, varia significativamente tra paesi avanzati e ha un peso rilevante nella produttività aggregata. È utile quindi capire quanto la produttività aggregata rifletta le scelte e le caratteristiche delle imprese o piuttosto il grado di efficienza allocativa. Soprattutto per orientare le scelte di politica economica: sostenere l’attività innovativa e l’adozione di nuove tecnologie o ancora rimuovere i vincoli alla crescita aziendale, le frizioni nei mercati dei fattori e dei prodotti che ostacolano la riallocazione dell’attività produttiva verso le imprese migliori.
Si stima che il livello di efficienza allocativa nel nostro paese è modesto in ottica comparata. Recenti studi hanno mostrato un suo prolungato peggioramento nel tempo, almeno fino allo scoppio della crisi finanziaria internazionale (dal 2008 avrebbe registrato un’inversione segnando un miglioramento). Questi studi però prendono in considerazione solo una parte delle imprese, ossia le società di capitali, tipicamente più grandi e produttive della media.

Un approccio più generale

In un recente contributo, che invece considera tutte le imprese attive, abbiamo riesaminato il caso italiano. L’efficienza allocativa sembra aver fornito un contribuito positivo alla seppur modesta dinamica della produttività del lavoro anche negli anni precedenti la crisi, all’interno di ciascun settore e indipendentemente dall’andamento del ciclo settoriale. E questo probabilmente come reazione alle pressioni competitive globali (figura 1). Già a partire dal biennio 2005-06, infatti, la crescita degli addetti risultava maggiore tra le imprese più produttive (figura 2), contribuendo a sostenere la produttività aggregata. Il peso dell’efficienza allocativa è aumentato ulteriormente dopo il 2009, anche se in questo caso i motivi sono da ricercare nei duri processi di selezione innescati dalla crisi finanziaria globale, che hanno determinato la scomparsa dal mercato delle imprese più deboli e meno produttive. La figura 2 mostra come, ad esempio, nel 2012-13 la crescita dell’occupazione sia stata positiva solo per le imprese più efficienti.
In un sistema produttivo come quello italiano, che si caratterizza per un’elevata frammentazione, è dunque importante allargare l’analisi alle società di persone e alle aziende individuali. Queste imprese in Italia rappresentano più dell’80 per cento del totale, assorbono oltre il 40 per cento dell’occupazione e generano circa il 25 per cento del valore aggiunto. Fra il 2005 e il 2013 la riduzione della quota di addetti impiegati presso queste imprese, pari a circa 4 punti percentuali (circa 270 mila persone), ha  determinato un miglioramento dell’efficienza allocativa sostenendo la dinamica della produttività aggregata. Quando replichiamo le nostre stime sulle sole società di capitali, il ruolo della riallocazione prima del 2007 si conferma modesto, se non negativo (figura 1). Dal 2008 invece il calo dell’attività ha riguardato anche le società di capitali meno produttive, cosicché la dinamica dei processi di riallocazione risulta meno dipendente dal tipo di società analizzate.
Le analisi sull’efficienza allocativa portano quindi a sottolineare l’urgenza di rimuovere quegli ostacoli che frenano l’allocazione degli input verso gli impieghi più produttivi. Ostacoli che riguardano il funzionamento dei mercati dei capitali e del lavoro, il ruolo del settore pubblico come acquirente di prodotti e servizi, e più in generale possibili distorsioni che penalizzano di più le imprese più produttive. Si tratta indubbiamente di fattori di estrema importanza e su cui è urgente intervenire. La nostra analisi mostra tuttavia come le conclusioni sul peso dell’efficienza allocativa sulla dinamica della produttività aggregata in Italia siano meno negative quando si guarda a tutte le imprese esistenti. Inoltre, essa evidenzia come il miglioramento sia in gran parte legato a processi di selezione che comportano la riduzione del numero di imprese e degli occupati. I costi potenzialmente associati a questi processi vanno ovviamente tenuti in considerazione per una valutazione complessiva degli effetti della riallocazione sul benessere di un paese.

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Figura 1. Il contributo dell’efficienza allocativa al livello di produttività aggregata in diversi campioni.

Fonte: elaborazioni su dati ASIA dell’universo delle imprese (e sotto-campioni da esso ricavabili). L’efficienza allocativa è misurata dalla covarianza fra la produttività d’impresa e la quota di addetti (Olley e Pakes, 1996). Ciascuna linea indica (l’evoluzione de) la quota della produttività aggregata spiegata dalla covarianza tra produttività del lavoro e dimensione di impresa. Questa è positiva e cresce tanto più l’occupazione si concentra presso le imprese maggiormente produttive.

Fonte: elaborazioni su dati ASIA dell’universo delle imprese (e sotto-campioni da esso ricavabili). L’efficienza allocativa è misurata dalla covarianza fra la produttività d’impresa e la quota di addetti (Olley e Pakes, 1996). Ciascuna linea indica (l’evoluzione de) la quota della produttività aggregata spiegata dalla covarianza tra produttività del lavoro e dimensione di impresa. Questa è positiva e cresce tanto più l’occupazione si concentra presso le imprese maggiormente produttive.

Figura 2. Tasso di crescita medio degli addetti, per percentile della distribuzione di produttività del lavoro

Fonte: elaborazioni su dati ASIA.

Fonte: elaborazioni su dati ASIA.

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Il Punto

  1. Che la produttività italiana sia in declino da parecchio tempo è elemento noto e ovvio ma la domanda è: quanto siamo peggiorati? I dati europei e mondiali possono dare una lettura ed una spiegazione del trend di fondo. La conferenza della Banca D’Italia, in memoria di Riccardo Faini, dal titolo “Italy’s lost productivity and how to geti t back” fornisce qualche spunto e dato interessante. Riassumendo:
    1) L’Italia ha registrato un trend discendente della produttività dovuto soprattutto al declino del settore manifatturiero
    2) Considerando i periodi 1974-1992, 1992-2007, 2007-2015 la produttività è scesa in tutti i paesi europei tranne che in Spagna dove nel periodo 2007-2015 è scresciuta rispetto al periodo precedente; anche i paesi no-euro come Uk e Danimarca hanno seguito tale trend mentre Finlandia, Svezia e Svizzera hanno avuto un 1992-2007 maggiore del periodo 1974-1992 ma minore del periodo 2007-2015 come avvenuto anche in Usa e Canada
    3) In Italia la produttività del lavoro dagli anni ’90 è scesa notevolmente
    Non può essere quindi l’euro ad aver determinato un calo forte della produttività ma forse tale crollo è imputabile principalmente a movimenti sulle valute ed il commercio dovuti alla globalizzazione ed alla tecnologia. Di sicuro l’euro ha creato un forte divario tra paesi più forti (nord Europa) e più deboli (Club Med) anche se poi le soluzioni per reagire e ripartire, invece di aspettare l’intervento salvifico della Bce o dell’Europa, si possono trovare all’interno come dimostrato dalla Spagna, data per spacciata qualche anno fa ed ora unico paese con produttività più alta nel periodo della crisi 2007-2015 rispetto al periodo precedente 1991-2007.

  2. Henri Schmit

    Bellissime analisi, inclusi gli allegati, ma quanto valgono senza misure precise per migliorare i parametri? Dove sono le expertise per definire quello (abbastanza ovvio) che c’è da fare?

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