Il termine per l’approvazione della legge di bilancio è stato rispettato a spese del controllo del Parlamento. Forse a preoccupare i mercati finanziari più dell’esercizio provvisorio sono altre difficoltà del paese.
Iniziata ancor più tardi che negli anni scorsi a causa delle elezioni anticipate, la sessione di bilancio si è chiusa anche questa volta poco prima della fine dell’anno. La legge di bilancio per il 2023, approvata in via definitiva dal Senato il 29 dicembre, è stata infatti firmata dal Presidente della Repubblica e pubblicata nella Gazzetta ufficiale (legge n. 197 del 2022).
Tra le forze politiche presenti nel Parlamento vi è, come sempre, varietà di opinioni sui contenuti della nuova legge di bilancio relativamente alla distribuzione delle risorse finanziarie disponibili tra i vari programmi di spesa, segnatamente per quanto concerne la sanità pubblica. Vi è consenso, invece, su un aspetto procedurale, cioè sulla necessità di approvare la legge di bilancio entro il 31 dicembre, così da evitare – come molti dicono – lo “spettro” dell’esercizio provvisorio del bilancio. Lo si deve evitare, secondo questa diffusa opinione, per due motivi. Innanzitutto, la Costituzione stabilisce un preciso termine, quello del 31 dicembre, solo per l’approvazione della legge di bilancio, per cui esso dev’essere rispettato. Inoltre, l’inosservanza di quel termine rischierebbe di diffondere nel mercato finanziario la sfiducia nei confronti dell’Italia, della sua capacità di gestire i conti pubblici.
Tuttavia, ci si può chiedere se il ricorso all’esercizio provvisorio sia davvero la cosa peggiore che possa capitare. Innanzitutto, occorre tenere conto, oltre che delle funzioni che l’ordinamento attribuisce alla legge di bilancio (determinare l’equilibrio complessivo della finanza pubblica e distribuire le risorse tra i vari programmi di spesa e gli uffici pubblici responsabili della loro realizzazione), del rapporto che la Costituzione instaura tra il governo e il Parlamento. Lo Statuto Albertino, come le altre costituzioni ottocentesche, attribuiva al Parlamento un ruolo di controllo, da cui la riconduzione del voto parlamentare, in alcuni casi, alla “funzione ispettiva”. La Costituzione – invece – all’articolo 81 assegna al Parlamento un ampio potere in cui è inclusa non solo la facoltà di dare o negare l’approvazione del bilancio, ma anche quella di emendarlo, sia pure all’interno delle grandezze predeterminate coerentemente con gli obiettivi concordati in sede europea.
Rispetto a questo chiaro dispositivo costituzionale rappresenta una deviazione la prassi, in uso da più di venti anni, di approvare la legge di bilancio con il voto di fiducia sul maxi-emendamento governativo su un unico articolo, proprio per ottenerne il varo entro il 31 dicembre, oltre tutto con un monocameralismo di fatto. Dunque, concepire il 31 dicembre come una sorta di termine invalicabile comporta un’indebita limitazione del potere parlamentare di approvare il bilancio, perché alle assemblee elettive si concedono pochi giorni per prendere conoscenza della legge di bilancio, se non qualche ora, come accadde al Senato nel 2019, uno dei momenti più bassi della nostra storia parlamentare, cui non a caso seguì la richiesta d’intervento da parte della Corte costituzionale.
Anche allora se la Corte non ritenne di dover constatare la violazione delle prerogative parlamentari, espresse un duro giudizio, che merita di essere ricordato: “Le peculiarità dell’andamento dei lavori al Senato in fase di approvazione della legge di bilancio dello Stato per il 2019 rispetto al passato, anche recente, si sostanzia[no] nel fatto che il testo finale contenuto nel maxi-emendamento 1.9000 ha modificato in larga misura il disegno di legge su cui le Camere avevano lavorato fino a quel momento, senza che su tale contenuto la Commissione Bilancio avesse avuto modo di svolgere alcun esame di merito, in sede referente”.
In secondo luogo, è a dir poco discutibile l’idea che il termine del 31 dicembre sia invalicabile. È la Costituzione stessa, sempre all’articolo 81, a prevedere e disciplinare l’esercizio provvisorio del bilancio, con il duplice vincolo che sia approvato con legge e che non duri più di quattro mesi. Dunque, esso non è in contrasto con il nostro regime parlamentare. Lo confermano i precedenti, visto che l’esercizio provvisorio del bilancio è stato utilizzato più di trenta volte prima del 1985, addirittura ogni anno tra il 1948 e il 1968. Si dirà che quell’esperienza non è da ripetere, che è un bene che essa non sia stata ripetuta dopo gli ultimi due casi, nel 1986 e nel 1988. Ma, da un lato, si è visto che il rispetto del termine è stato imposto a spese della discussione parlamentare e, non di rado, d’una ordinata determinazione delle entrate e delle spese, per esempio con allegati tardivamente perfezionati.
Dall’altro lato, vi è da chiedersi se ciò che spaventa davvero i mercati finanziari è l’eventuale inosservanza del termine o l’elevato debito pubblico, al quale si uniscono un alto livello di evasione fiscale sul versante delle entrate e, su quello delle spese, la persistente difficoltà di realizzare gli investimenti nelle infrastrutture materiali. Il rischio è che l’aumento record del Pil nel 2022, dovuto alle attese positive legate all’impatto del PNRR e alla buona gestione del governo precedente, risulti un fuoco di paglia, che la crescita torni a essere mediocre come negli anni precedenti.
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Maurizio Cortesi
Sono d’accordo. Piacerebbe vedere una maggiore preoccupazione sia da parte del governo sia da parte del parlamento a rispettare i vincoli di bilancio di cui l’art. 81 parla, ma a quanto pare questo articolo sembra considerato estraneo alla famosa costituzione del mitico ’48. Del resto vi accenna mai il Presidente della Repubblica nei suoi messaggi di fine anno?
Firmin
Io mi chiederei piuttosto che senso ha un bilancio pubblico ANNUALE se la maggior parte delle spese e delle azioni di uno stato hanno carattere pluriennale. Il pareggio di bilancio dei conti di ogni singolo anno, improvvisamente inserito nella nostra costituzione, incoraggia entrate e spese congiunturali, piuttosto che interventi strutturali, che comportano avanzi o disavanzi solo sul lungo periodo. Se le cose stanno così, l’esercizio provvisorio è l’ultimo dei problemi della finanza pubblica e della politica economica.
paolo
Comunque l’esercizio provvisorio è il primo e principale nemico degli investimenti pubblici, dal momento che quando vi si finisce, si può solo agire sulle spese correnti in base allo storico dell’anno precedente e non si possono programmare nuovi investimenti.