L’inflazione avrà un impatto significativo sulle uscite per pensioni delle casse di previdenza dei professionisti. Per ora, non si intravedono situazioni di squilibrio. Ma se il fenomeno si protrarrà, potrebbe essere necessario un aumento dei contributi.
Non solo pensionati Inps
A gennaio 2023 l’Istat ha comunicato il dato definitivo dell’inflazione per l’anno 2022: l’aumento dell’Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi) è stato dell’8,1 per cento. Per le pensioni che vengono corrisposte dall’Inps, la legge finanziaria ha previsto un meccanismo di applicazione dell’adeguamento all’inflazione che, al fine di attenuarne l’impatto, ha stabilito una rivalutazione non a scaglioni di reddito, ma per fasce di importo e in percentuale decrescente: il 100 per cento della perequazione viene riconosciuto solo a chi percepisce un trattamento complessivo non superiore a quattro volte il minimo.
Il sistema pensionistico italiano è duale: accanto all’Inps si colloca, infatti, l’universo degli enti di previdenza dei professionisti privati (se ne contano venti) che assicurano la tutela previdenziale e assistenziale ai professionisti iscritti in Albi (avvocati, dottori commercialisti, ingeneri e architetti, medici, farmacisti, e così via). Nonostante la forma giuridica privata assunta da tutti gli enti, le loro funzioni conservano una rilevanza pubblica, per cui accanto all’obbligo di erogare le prestazioni istituzionali – previdenziali e assistenziali – hanno il potere di riscuotere dagli iscritti la contribuzione obbligatoria, che costituisce la loro unica fonte di finanziamento.
Si tratta di una realtà numericamente più contenuta rispetto alla collettività di iscritti e pensionati che rientra nell’ambito delle diverse gestioni Inps, ma non trascurabile, anche alla luce dell’entità dei patrimoni amministrati: nel 2021 gli iscritti alle casse erano 1.705.807 mentre alla fine dello scorso anno il patrimonio complessivo ha sfiorato i 108 miliardi di euro. Quanto all’uscita per pensioni, il numero di prestazioni erogate è di poco superiore alle 460 mila per una spesa complessiva pari a 7,7 miliardi di euro.
Compiti delle casse e controlli dello stato
Pur con un buon livello di patrimonializzazione, l’ultimo rapporto dell’AdEPP (Associazione degli enti di previdenziali privati) segnala per il periodo 2020-2021 una contrazione del 3 per cento (con un calo da 37.085 euro a 35.989 euro) del reddito medio di tutte le categorie professionali, con entrate mediamente più basse per le donne e le fasce di età più giovani.
Per questo particolare settore della spesa sociale, il legislatore ha previsto vincoli stringenti e un controllo costante da parte dello stato, attraverso il ministero del Lavoro e quello dell’Economia, cui si aggiunge il controllo generale di gestione della Corte dei conti, il controllo della Covip che svolge le funzioni di vigilanza sugli investimenti delle risorse finanziarie e sulla composizione del patrimonio degli enti previdenziali e infine la Commissione parlamentare di controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale – la quale, tra l’altro, deve segnalare ai ministeri vigilanti la situazione di disavanzo economico–finanziaria di cui sia venuta a conoscenza nella sua attività. È prevista anche la revisione contabile indipendente.
Ogni tre anni, gli enti devono elaborare il bilancio tecnico attuariale che contiene la proiezione della situazione economico-finanziaria della cassa per un minimo di trenta anni, con la possibilità di estendere le previsioni a un massimo di cinquanta anni. In questo arco temporale deve essere possibile riscontrare la stabilità della gestione, dunque, la presenza di un saldo positivo tra entrate e uscite ma, soprattutto, la positività del saldo previdenziale, ossia del rapporto tra entrate contributive e uscite per pensioni. Gli enti di previdenza sono tenuti a verificare annualmente che le risultanze dei bilanci di esercizio siano in linea con le risultanze tecnico-finanziarie.
Nel caso in cui venga riscontrato un disavanzo nei rendiconti annuali (dunque, dal tenore della legge, non sembra sia sufficiente un solo anno di squilibrio), e questa situazione venga confermata nella proiezione di lungo periodo del bilancio tecnico, devono essere adottati provvedimenti di riequilibrio. Sotto questo profilo, gli enti godono di autonomia regolamentare, garantita dalla legge, che consente di intervenire sui requisiti per il pensionamento e sui meccanismi di determinazione e prelievo della contribuzione obbligatoria. Tuttavia, nelle situazioni più gravi e reiterate, si può giungere alla nomina ministeriale di un commissario con il compito di adottare tutti i provvedimenti necessari a ristabilire l’equilibrio economico-finanziario.
Quale ulteriore misura di stabilità il legislatore ha previsto che in base alle risultanze del bilancio di esercizio, il patrimonio netto di ciascun ente debba essere pari ad almeno cinque annualità delle pensioni erogate nell’anno.
Equilibrio del sistema e risposta all’inflazione
Nel corso del 2021 sono stati redatti i bilanci tecnici per il periodo fino al 31 dicembre 2020: da un esame delle proiezioni attuariali degli enti di maggior peso non emerge, almeno nel medio-lungo periodo, alcuna situazione di squilibrio.
Quasi tutti gli enti di previdenza riconoscono l’adeguamento all’inflazione (generalmente l’indice Foi) per le pensioni che corrispondono. I meccanismi non sono omogenei: in alcuni casi l’adeguamento è in misura piena, in altri per scaglioni di reddito di pensione, in altri ancora con aliquota secca in base all’importo del trattamento erogato. Del tutto peculiare è il complesso criterio utilizzato da Inarcassa (ingegneri e architetti), che determina la variazione da applicare nell’anno sulla base del confronto tra valori medi riferiti a due periodi diversi: nel 2023, l’indice di rivalutazione sarà pari al 4,5 per cento, consentendo alla cassa di diluire l’effetto.
È prevedibile che l’inflazione avrà un impatto significativo sull’uscita per pensioni delle casse, ma il livello robusto dei patrimoni, nonostante l’andamento non favorevole dei mercati nel 2022, consentirà di sostenere le uscite. Nel caso in cui il fenomeno si stabilizzasse su livelli elevati anche per i prossimi anni e soprattutto se si avviasse una spirale recessiva con effetto sul livello dei redditi dei professionisti, non è escluso che alcune casse potrebbero essere costrette quanto meno ad aumentare le aliquote di prelievo, se non ad adottare riforme strutturali. E se si optasse per il metodo di calcolo contributivo, questo potrebbe comportare, anche se non nel breve periodo, un incremento dei trattamenti di pensione. Perché gli enti di previdenza dei professionisti non beneficiano di finanziamenti pubblici, ma devono le loro entrate unicamente ai contributi obbligatori versati dagli iscritti.
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Gerardo Coppola
Un pò inquietante l’articolo. Negli ultimi anni le casse previdenziali hanno investito pesantemente in azioni della Banca d’Italia per centinaia e centinaia di milioni di euro.La redditività di questi asset in epoca di tassi di interesse negativi è stata pari al 5-6 per cento l’anno. Una vera manna dal cielo! Basta consultare il sito della BI per conoscere la lista dei soggetti in questione.