Con la pandemia il risparmio delle famiglie è cresciuto notevolmente. Ma non per tutte nella stessa misura: a risparmiare di più sono state quelle con redditi alti. Si spiega così il lento recupero dei consumi. L’inflazione ha poi fatto il resto.
L’aumento dei risparmi
Durante la crisi del Covid-19, si è registrato uno straordinario aumento del tasso di risparmio. I consumi delle famiglie italiane sono stati la componente della domanda interna più colpita dalla pandemia. L’aumento dell’inflazione, dalla seconda metà del 2021, ha poi portato a un calo del potere d’acquisto delle famiglie.
In un nostro recente lavoro ci siamo chiesti in quale misura i risparmi extra accumulati durante la pandemia dalle famiglie italiane potessero sostenere la ripresa dei consumi.
Diversi contributi, tra gli altri Ocse (2021) e Fmi (2021), hanno sostenuto che gli extra-risparmi accumulati dalle famiglie avrebbero rappresentato il volano della ripresa della domanda aggregata. Tuttavia, le evidenze derivanti da alcune indagini indicano che solo una quantità minima si è tradotta in maggiori consumi. Sia negli Stati Uniti che nell’area dell’euro, i dati mostrano infatti che il risparmio si è distribuito in modo diseguale. Le famiglie che hanno risparmiato di più durante la pandemia sono quelle caratterizzate da una minore propensione al consumo e da minori vincoli di liquidità. Inoltre, nonostante gli interventi a sostegno del reddito messi in atto, gli effetti economici della crisi hanno colpito soprattutto le famiglie a basso reddito.
La situazione in Italia
In Italia nel corso del 2020 i risparmi sono aumentati notevolmente, portando il tasso di risparmio annuo al 15,6 per cento dall’8 per certo del 2019. Per quantificare l’ammontare del risparmio extra abbiamo definito uno scenario controfattuale in cui il tasso di risparmio e di crescita del reddito disponibile delle famiglie sono posti uguali alla loro media nel decennio precedente la pandemia. La differenza tra i risparmi osservati e quelli derivanti dallo scenario controfattuale può essere considerata come una proxy degli extra-risparmi: cumulativamente ammonterebbero a 140,5 miliardi di euro (7,9 per cento del Pil) dal 2020 al terzo trimestre 2022 (figura 1).
Figura 1 – Risparmi effettivi e risparmi controfattuali, milioni di euro
Le risorse risparmiate dalle famiglie sono quindi ingenti, ma è incerto in che misura abbiano stimolato la ripresa dei consumi privati: il motivo principale è legato al fatto che il risparmio è distribuito in modo diseguale tra le classi di reddito. Secondo i dati dell’Indagine sul reddito e sulla ricchezza diffusa da Banca d’Italia (2022), il divario si è ampliato con lo shock pandemico. Rispetto all’indagine condotta nel 2016, infatti, nel 2020 si registra un aumento del tasso di risparmio nel 5° quintile di reddito e una diminuzione nel 1° quintile (figura 2).
Figura 2 – Tasso di risparmio per quintili di reddito equivalente
Dunque, chi ha risparmiato durante la pandemia si colloca nella parte alta della distribuzione e ha beneficiato anche di guadagni dovuti all’aumento del prezzo delle azioni. Di conseguenza, l’impatto dell’extra-risparmio sui consumi privati nel corso della ripresa è incerto, perché la maggior parte delle risorse è concentrata principalmente tra le famiglie il cui consumo è maggiormente indirizzato verso i servizi; la propensione al consumo totale risulta tuttavia minore ed è generalmente accompagnata da maggiori disponibilità finanziarie.
La ripresa dell’inflazione
Ai nostri fini è rilevante anche la crescita dell’inflazione dal 2021. Nella maggior parte dei paesi europei, l’aumento dei prezzi inizialmente limitato ai beni energetici, si è successivamente esteso, generando effetti asimmetrici tra le famiglie.
Secondo i dati Istat, la quota di consumi di beni energetici, rappresentata dalle barre nella figura 3 (asse sx), diminuisce dal primo all’ultimo quintile: famiglie appartenenti al 1° quintile destinano una quota maggiore della loro spesa complessiva a energia elettrica, gas e carburanti, mentre le famiglie più ricche, appartenenti al 5° quintile, spendono relativamente meno in beni energetici. Combinando queste quote con la corrispondente variazione media annua dell’Ipca, indicata dai punti in figura (asse dx) risulta che le famiglie nel 1° quintile sono esposte a un’inflazione più elevata sui beni energetici (figura 3).
Figura 3 – Quote di spesa equivalente ed esposizione all’inflazione per ogni quintile di spesa, beni energetici
Lo stesso vale per i beni alimentari, per cui il tasso di inflazione registrato da ogni quinto di spesa, misurato dal pallino in figura 4 (asse dx), cresce all’aumentare della quota di spesa in beni alimentari per ogni quinto di spesa equivalente (figura 4).
Figura 4 – Quote di spesa equivalente ed esposizione all’inflazione per ogni quintile di spesa, beni alimentari
Complessivamente, l’impatto dell’inflazione è risultato differenziato tra i gruppi di famiglie. I dati Istat confermano la presenza di un crescente divario di inflazione tra il primo quintile e l’ultimo. La divergenza, amplificatasi dalla seconda metà del 2021, ha raggiunto il picco di 8,7 punti percentuali a novembre 2022.
Per concludere, lo shock pandemico ha prodotto una maggiore polarizzazione dei risparmi, penalizzando le famiglie del primo quintile della distribuzione del reddito, caratterizzate da una maggiore propensione al consumo. L’inflazione ha ulteriormente ampliato il divario distributivo. I consumi delle famiglie italiane a fine 2022 restano ancora al disotto dei livelli pre-Covid, soprattutto per il contributo negativo della componente dei servizi. Contestualmente, la propensione al risparmio risulta mediamente più elevata rispetto al 4° trimestre 2019. Vale la pena ricordare che l’erosione del potere d’acquisto, indotta dall’elevata inflazione, è stata mitigata da alcune misure messe in atto dal governo, come i bonus sociali per le utenze elettriche e gas, il contenimento delle bollette energetiche e la riduzione delle accise sui carburanti, evitando così una contrazione più ampia dei redditi.
* Le posizioni espresse in questo articolo riflettono le opinioni degli autori e non necessariamente quelle delle amministrazioni di provenienza.
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Firmin
Gli autori non lo dicono (o non possono dirlo per motivi istituzionali), ma questo splendido articolo è una pietra tombale sulle farneticazioni secondo le quali gli aumenti di reddito si diffonderebbero dai ricchi verso i poveri (grazie al famoso trickle down) e non viceversa. Infatti l’accumulo forzato di risparmio durante la pandemia, avendo riguardato soprattutto le famiglie più ricche, non ha avuto alcun effetto sui consumi e sui redditi delle classi medio-basse dal 2021 in poi. Questo dovrebbe far riflettere sui probabili effetti negativi su crescita e distribuzione di una tassazione meno progressiva, che lascerà più risorse proprio ai più ricchi, ovvero a chi spende relativamente meno. Ho un unico suggerimento per gli autori: dovrebbero indagare se l’aumento dei risparmi durante la pandemia ha riguardato soprattutto i dipendenti stabili e qualificati (che hanno continuato a percepire retribuzioni quasi identiche anche durante la crisi), mentre imprenditori e professionisti, seppure ad alto reddito, hanno comunque risentito del blocco delle attività. Se le cose stanno davvero così, pandemia e inflazione avrebbero colpito a cuore il tessuto delle piccole imprese e dei loro dipendenti.
Guido Gennaccar
Attenzione, se si considera il risparmio in termini di reddito disponibile, a fine 2022 siamo scesi al 5,3% e probabilmente nel 2023 scenderemo sotto il 5%. Pochi risparmi, pochi consumi, tanti rischi recessione (stagflazione).