Il governo ha deciso un taglio del 4 per cento del cuneo fiscale, che si somma a misure precedenti. Lo sgravio permetterebbe di recuperare almeno parte del potere d’acquisto perso dai lavoratori per l’inflazione. Ma c’è da considerare il fiscal drag.
Cosa prevede il decreto Lavoro
Iniziamo con una tabella, per rendere più chiaro il ragionamento.
Tabella 1
Il 1° maggio 2023 con il decreto Lavoro il governo ha varato una diminuzione del cuneo fiscale del 4 per cento, valida da luglio a dicembre, che si aggiunge alla conferma della sua riduzione del 3 per cento per redditi (al lordo dei contributi dovuti dal lavoratore) fino a 25mila euro e del 2 per cento per redditi (al lordo dei contributi del lavoratore) fino a 35 mila euro. Il beneficio mensile netto nel primo e secondo semestre 2023 è indicato nella tabella (colonna 1 e 2).
Tre punti da sottolineare
Vogliamo sottolineare tre punti:
1) Il beneficio mensile netto dal taglio del cuneo in busta paga da luglio a dicembre è riportato in colonna 2 della tabella per vari livelli del reddito individuale di partenza, al lordo dei contributi dovuti dal lavoratore, la cosiddetta Ral (retribuzione annua lorda). Non è tutto merito del governo Meloni, che ha confermato e aumentato il provvedimento varato dal governo Draghi in due occasioni precedenti.
2) Siamo convinti che con il provvedimento per il momento temporaneo e semestrale, il governo si sia di fatto impegnato a rendere strutturale l’intervento per i prossimi anni, altrimenti i lavoratori avrebbero a gennaio 2024 una perdita netta in busta paga. Bisognerà almeno confermare il beneficio totale ottenuto nel 2023 che è costituito da quello mensile medio delle colonne 1 e 2. Si ottengono variazioni che vanno da 40 a 66 euro mensili (ovviamente minori del beneficio “potenziato” dei mesi da luglio a dicembre, che va da 56 a 93 euro al mese). Se non il molto più costoso sgravio di luglio-dicembre 2023 (in questo caso non vi sarebbe alcuna riduzione della busta paga nel gennaio 2024), sarà opportuno confermare almeno il beneficio medio 2023 (che comunque comporterà una riduzione dello sconto contributivo e quindi della busta paga mensile nel passaggio da dicembre 2023 a gennaio 2024).
3) Il beneficio netto del lavoratore è molto minore delle cifre sbandierate dal governo. La parte di cuneo fiscale che ricade sul lavoratore è data dai contributi a suo carico e dall’Irpef che paga sul salario al netto dei contributi. Ovviamente, se il governo decide di diminuire i contributi dovuti dal lavoratore, aumenta il reddito imponibile ai fini Irpef e quindi l’imposta che il lavoratore deve pagare. La riduzione netta del cuneo è data dalla differenza tra lo sgravio contributivo e l’incremento di Irpef conseguente.
L’importanza di questo fenomeno è evidente in colonna 4. Supponiamo che il governo confermi lo sconto contributivo del 2023 nei prossimi anni. La maggiore Irpef dovuta allo sconto contributivo va da 14 a 49 euro mensili (si inizia a parlare di maggior Irpef per redditi superiori a 13.900 euro perché prima si è incapienti). Magari il governo continuerà a vantare benefici per i lavoratori al lordo dell’Irpef vicini ai 100 euro, quelli di cui si parla oggi, ma in effetti l’imposta si mangia più di un terzo di quel beneficio e porta a un incremento netto di reddito di circa 63 euro per redditi pari a 35 mila euro (colonna 3).
Solo sterilizzando tutto l’incremento di Irpef sarebbe possibile avere un beneficio netto che arrivi a circa 100 euro mensili. Ma se la conferma nel 2024 dei benefici medi del 2023 costa circa 8,5 miliardi, ciò significherebbe aggiungerne almeno altri 3. In realtà, il governo probabilmente confermerà per tutto il 2024 il beneficio mensile potenziato di luglio-dicembre 2023 (per non ridurre la busta paga di gennaio 2024), che costerebbe circa 12,5 miliardi; a questi bisognerebbe poi aggiungere qualche miliardo per sterilizzare almeno l’incremento dell’Irpef dovuto al fiscal drag (in colonna 5 il fiscal drag è gran parte dell’aumento dell’Irpef).
Il recupero del potere d’acquisto
Lo sgravio contributivo di fatto permetterebbe di recuperare almeno parte del potere d’acquisto perso dai lavoratori a causa dell’alta inflazione verificatasi nell’ultimo anno e mezzo. Quindi, la diminuzione del cuneo fiscale non produce altro che un incremento del reddito nominale, che è necessario proteggere sterilizzando quella parte di aumento dell’Irpef che farebbe sì che il reddito netto aumentasse meno dello sgravio contributivo. Altrimenti, si perderebbe parte del recupero dell’inflazione che lo sgravio si propone di ottenere e saremmo di fronte al fenomeno del fiscal drag.
A differenza degli 80 euro di Renzi (e i 100 di Gualtieri) e dell’una tantum di 200 e poi 100 di Draghi che erano già al netto delle imposte, la diminuzione del cuneo fiscale agisce attraverso la riduzione dei contributi a carico del lavoratore, che è in parte recuperata attraverso l’incremento dell’Irpef. Tuttavia, se non si sterilizza almeno parte dell’aumento dell’Irpef, una volta pagate le imposte, si ottiene una percentuale di reddito netto inferiore alla quota di sgravio contributivo. Ad esempio, se l’obiettivo dello sgravio fiscale è recuperare il 7 per cento del potere d’acquisto dei lavoratori, se non si sterilizza il fiscal drag, non lo si raggiungerà, poiché l’incremento dei salari netti sarà inferiore al 7 per cento. Il fiscal drag c’è solo per i salari, perché dipende dal fatto che la tassazione è progressiva e non proporzionale, com’è invece per i profitti e le rendite. Infatti, se il proprietario di una casa aumenta il proprio affitto del 7 per cento per recuperare l’inflazione, dopo aver pagato la cedolare secca del 21 per cento, otterrà un incremento del canone netto esattamente pari al 7 per cento.
Il tema è particolarmente rilevante in un periodo di alta inflazione come quello attuale. La diminuzione del cuneo permette infatti il recupero almeno di parte del potere d’acquisto perso, ma di fatto il fiscal drag ne annulla una quota.
L’analisi dell’impatto del provvedimento sul cuneo fiscale mette poi a nudo una situazione in cui siamo arrivati a raschiare il fondo del barile. Ormai i redditi bassi non solo non pagano più Irpef, ma non pagano quasi più i contributi. È urgente una riflessione più complessiva sulle fonti del gettito, nella delega fiscale sarebbe doverosa.
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Nicola
Credo non sia appropriato chiamarla cuneo fiscale quando dovrebbe denominarsi cuneo contributivo .
La diminuzione contributiva comporta , per effetto compensazione , alla diminuzione del montante contributivo che a sua volta comprime la futura rendita vitalizia . Rendita che stante l’attuale normativa ( aspettativa di vita, trasformatori , metodi di calcolco ) crea problematiche di sopravvivenza .
Agire sul cuneo fiscale (propriamente erariale ), ed in particolare mantendo le aliquote ed aggiornando gli scaglioni dall:erosione da inflazione , il reddito liquido spendibile sarebbe maggiore . Ma il recupero, in termini reali , del potere di acquisto attuato dai tradizionali rinnovi contrattuali comporterebbe l’aumento del costo dei fattori dell’:impresa e quindi con assenza di vantaggio competitivo rispetto altre economie . Necessitando di crescita del PIL in un contesto globale intenzionato di tornare alla normalizzazione , l’assorbimento della perdita di potere di acquisito se trasitasse , oltre all’innalzamento degli scaglioni ( di cui sopra ) anche per la diminuzione delle aliquote , gioberebbe anche in termini macroeconomici .
Leo
Gentili , vi invito a parlare di chi dovesse avere una busta paga di 2693 euro mensili. Nemmeno il primo bonus Renzi era così punitivo.
Direte, fossero questi i problemi!
Ok, ma voglio solo che se ne parli.
Marcello
Ai molti difetti di questo provvedimento aggiungerei che gli sgravi non agiscono tramite aliquote marginali su scaglioni di reddito, come l’IRPEF, ma mediante aliquote medie sull’intero reddito. In questo modo, chi si trova poco sopra le due fasce di reddito previste (25 e 35 mila euro) percepirà un reddito netto inferiore a quello di chi ha un lordo inferiore alle due soglie. Per esempio, chi guadagna da 35 a circa 38 mila euro lordi sarà scavalcato da chi ne guadagna tra 34 e 35 mila. Neanche un governo maoista avrebbe adottato un provvedimento che schiaccia le differenze di reddito in questo modo. Al di là della irrazionalità di una misura che sembra fatta apposta per penalizzare il famoso “merito”, questo salto di aliquota riduce la propensione a lavorare e guadagnare di più di circa un milione di contribuenti. Complimenti a chi ha elaborato questa idiozia.
Jacopo Tramontano
“Ormai i redditi bassi non solo non pagano più Irpef, ma non pagano quasi più i contributi.” Mi sembra una frase un po’ dispregiativa, spieghereste meglio cosa intendete?
Pier
Buongiorno,
Ricevo uno stipendio mensile di poco superiore ai 2693€ mensili. È possibile ridurre imponibile versando su un fondo pensione una quota deducibile, in modo da rientrare tra i beneficiare di questa riduzione del cuneo?
In poche parole, se abbasso l’imponibile Irpef con versamento su fondo pensione, posso rientrare nello sgravio di chi sta sotto i 35000 lordi annui?
Grazie
Pier