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In Italia torna di moda il nucleare?

Il rincaro del prezzo del gas naturale ha riaperto la discussione sul nucleare. Le scelte dovrebbero però essere guidate dalle reali esigenze del sistema di fronte alla transizione energetica, non dal tornaconto elettorale o dalla volatilità dei prezzi.

Breve storia dell’energia nucleare in Italia

Il 9 maggio 2023 è stata una giornata significativa per il futuro del sistema energetico italiano: la Camera dei deputati ha approvato una mozione che impegna il governo, “al fine di accelerare il processo di decarbonizzazione”, a “valutare l’opportunità di inserire nel mix energetico nazionale anche il nucleare quale fonte alternativa e pulita per la produzione di energia”. Dopo oltre 30 anni dalla dismissione dell’ultima centrale nucleare e due referendum dagli esiti plebiscitari, si torna a discutere di un tema che in Italia sembrava definitivamente abbandonato: l’energia nucleare. Per capire il presente, occorre ripercorrere brevemente la travagliata storia di questa tecnologia in Italia.

La storia ha inizio tra il 1963 e il 1964, quando con un certo anticipo sulla grande espansione della capacità nucleare nel mondo, entrarono in funzione nel nostro paese tre impianti, a Sessa Aurunca (provincia di Caserta), Latina e Trino (Vercelli). Gli ultimi due rappresentarono delle assolute eccellenze per l’epoca: al momento dell’entrata in funzione si trattava rispettivamente dell’impianto più potente d’Europa (Latina, 210 MWe) e del mondo (Trino, 270 MWe), e portarono l’Italia a essere il terzo produttore al mondo dopo Stati Uniti e Regno Unito nel 1966 (con una quota vicina al 4 per cento della produzione elettrica nazionale). Nel 1970 cominciò poi la costruzione della quarta e ultima centrale realizzata sul suolo italiano, a Caorso (Piacenza), entrata in funzione nel 1981. Sulla scia di questo successo, e della crisi petrolifera del 1973 (nel giro di pochi mesi il prezzo del barile passò dai 25 ai 60 dollari), che colpì duramente il nostro sistema (il 59 per cento dell’elettricità al tempo proveniva da olii combustibili), fu inserito nel Piano energetico nazionale del 1975 un programma per la costruzione di dieci centrali per un totale di 20 mila MW di potenza installata.

Il programma non vide mai la luce: gli incidenti nucleari di Three Mile Island nel 1979 e di Cernobyl nel 1986 raffreddarono l’entusiasmo di opinione pubblica e classe politica, fino a portare ai referendum del 1987, in seguito ai quali tutti gli impianti furono spenti e la discussione fu congelata per altri 20 anni. A riaprirla fu una nuova impennata nei prezzi dei combustibili fossili (nel 2008 il barile toccava il massimo storico oltre i 170 dollari) che spinse il governo a introdurre nella Sen (Strategia energetica nazionale) del 2008 un riferimento alla riapertura del programma nucleare. La decisione suscitò non poche polemiche, e già nel 2010 fu proposto e approvato un referendum per bloccare il piano. Un nuovo incidente (Fukushima, marzo 2011) a pochi mesi dal voto referendario (giugno 2011) mise di fatto una pietra tombale sulla possibilità di portare avanti il programma nucleare, che fu difatti stroncato dagli elettori con una maggioranza schiacciante (94 per cento), ponendo fine a tutte le discussioni sul tema, fino a oggi.

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Quali circostanze lo hanno riportato alla ribalta, considerando che nessuno dei documenti fondamentali di pianificazione energetica o ambientale (su tutti: Sen, Pniec, Pnrr) pubblicati nell’ultimo lustro (con l’avvallo di governi di colori diversi) ne fa cenno? La storia tende a ripetersi, e nel 2022 con l’avvento di una nuova crisi energetica, accompagnata da una crescita del prezzo dei combustibili fossili, si è tornato a parlare di energia nucleare anche in Italia. Proviamo a ricostruire come gli eventi degli ultimi 18 mesi hanno portato a questo esito.

Come la guerra in Ucraina ha riportato il nucleare nella discussione politica

Il 24 febbraio 2022 il primo fornitore energetico dell’Unione europea invade un paese confinante e sempre più vicino alla sfera d’influenza di quest’ultima. Nei mesi successivi la riduzione delle forniture di gas diventa un’arma di pressione politica in mano agli invasori. L’intero continente – Italia in testa, che di gas fa largo uso – si trova a fronteggiare lo spettro di un’insufficienza dell’approvvigionamento energetico. Agosto 2022: il prezzo spot del gas naturale sul Ttf tocca i 220 €/MWh e in Italia il Pun (prezzo “di borsa” dell’elettricità) arriva a 870 €/MWh, livelli quasi dieci volte superiori alle medie storiche, non sostenibili per il sistema. Siamo in campagna elettorale e nei programmi degli schieramenti compaiono diverse ricette contro il rincaro dei prezzi dell’energia che mette in ginocchio imprese e famiglie, alcune fanno riferimento alla riapertura di un programma nucleare italiano.

Occorre precisare che un’eventuale decisione in questo senso, anche qualora si traducesse rapidamente nella decisione di realizzare nuove centrali, avrebbe risvolti sul sistema energetico solo nel lungo periodo, dato che l’entrata in funzione di una centrale richiede come minimo dieci anni. Per risolvere una crisi energetica che ha i suoi effetti nell’immediato, la soluzione non può venire dal nucleare, ma da un mix di azioni: la diversificazione dei fornitori di gas, la generazione rinnovabile e l’efficientamento dei consumi. Ciononostante, l’errore di fondo dietro ai programmi politici, unito alla convenienza elettorale di proporre una “nuova” fonte nel mix energetico, hanno avuto l’effetto di riaprire la discussione sul tema.

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Gli operatori energetici italiani tornano a pensare al nucleare

La crisi energetica non ha messo in discussione unicamente le agende energetiche dei partiti italiani, ma anche e soprattutto le scelte strategiche dei grandi operatori nazionali, nelle quali il nucleare è tornato a fare capolino.

In marzo Enel ha stretto una partnership con Newcleo per la cooperazione su reattori di IV generazione, mentre Edison, insieme alla capogruppo Edf, Ansaldo Energia e Ansaldo Nucleare, ha firmato una lettera d’intenti volta a rafforzare la collaborazione per lo sviluppo di nuovo nucleare in tutta Europa e in prospettiva in Italia. Eni, infine, partecipa a diversi progetti sperimentali sul lato della fusione, il più avanzato dei quali (Cfs-Commonwealth Fusion Systems) prevede di mettere in funzione il primo reattore pilota nel 2025.

Quale futuro ci attende?

Così come in passato, un periodo prolungato di prezzi elevati nei combustibili fossili ha riportato in auge il dibattito sull’energia nucleare, ma ancora non è chiaro cosa ci attende nei prossimi mesi e anni. Le recenti scelte degli operatori dimostrano che l’interesse, così come le competenze, nel nostro paese ancora esistono (o si possono recuperare velocemente). Affinché il neonato dibattito non si trasformi in un fuoco di paglia, come già avvenuto in passato, occorre identificare precisamente il ruolo che la tecnologia nucleare potrebbe avere in un sistema elettrico che punta molto forte sulle fonti rinnovabili e il conseguente (eventuale) fabbisogno impiantistico. Solo in questo modo sarà possibile ancorare a un ragionamento solido e scientifico una scelta così importante e strategica per il futuro del nostro paese, così da slegarla dai suoi elementi ideologici, dal suo ritorno elettorale e dalla volatilità dei mercati energetici, e mettere in prima fila le esigenze del sistema, alle prese con la sfida epocale della completa decarbonizzazione.

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12 commenti

  1. Savino

    Ci dovremmo prima chiarire le idee sugli stili di vita che intendiamo intraprendere in futuro. Se vogliamo che il futuro sia la lentezza allora vanno bene le energie green. Se, invece, vogliamo la doccia calda immediatamente e il Wi-Fi sempre connesso dovremo pensare ad ogni tipo di energia. Anche la generazione di Greta deve chiarirsi le idee: o la difesa strenua dell’ambiente o l’aria condizionata, il boiler, i termosifoni, lo smartphone e la smart TV.

  2. pieffe

    A parte ogni altra considerazione (costi, scorie, smantellamento), il ricorso alle centrali nucleari a fissione pone il problema del combustibile, l’uranio, che non è nemmeno abbondante.

  3. Paolo

    Credo che sia necessario distinguere tra partnership di imprese che investono in ricerca e sviluppo (ed è giusto farlo anche sull’energia nucleare: magari potremmo risolverne alcuni dei problemi e scoprire che è utile all’interno del mix, anche fra decenni: sole e vento sono gratuiti e rinnovabili, non così le terre rare che occorrono per realizzare gli impianti che li sfruttano), e strategia industriale del paese, che per i prossimi anni non può basarsi nè sul vecchio nucleare pluri-incidentato e inaccettabile alle popolazioni, nè tantomeno su quello ancora di là da venire della IV generazione e dei mini-reattori.

  4. FF

    Era ora!

  5. bob

    “entrarono in funzione nel nostro paese tre impianti, a Sessa Aurunca (provincia di Caserta), Latina e Trino (Vercelli)…più Caorso. La quinta fu costruita sul Lago Brasimone territorio Castiglion dei Pepoli Appennino Bolognese smantellata subito dopo il referendum

  6. Gian

    Mi sembra un articolo parziale e piuttosto schierato.
    Per cominciare: si una eventuale riapertura di un programma nucleare avrebbe effetti sul lungo termine (se non ci mettiamo a investire seriamente su questa tecnologia, cosa che ridurrebbe in parte i tempi), ma è esattamente quello di cui abbiamo bisogno. Il breve periodo e la demagogia con cui sono stati fatti i referendum hanno portato a un “”””mix energetico”””” fortemente spostato sui combustibili fossili (in cui rientra anche il gas) i quali producono anche loro scorie che NON vengono minimamente trattate e che hanno causato e stanno causano tantissime vittime dirette per Tw/h, in effetti molti ordini di grandezza di più di quelle causate da tutte le centrali nucleari esistenti ed esistite (Chernobyl e Fukushima comprese, Three Mile Island non ha fatto vittime). E parliamo invece di continuare a bruciare continuando a dipendere da altri paesi senza investire su una tecnologia che ci porterebbe verso una possibile indipendenza energetica e verso una transizione energetica pulita ed efficiente? Mi sembra la classica tipica mentalità italiana del “ce ne occuperemo mai”.
    Inoltre le scorie nucleari, oltre a venire già prodotte da scarti industriali, ricerca e tecnologie mediche sono quelle attualmente meglio trattate e che si saprebbe già come stoccare in sicurezza. Tra l’altro una centrale nucleare produce milioni di volte meno scorie di una a carbone o a gas.
    Come se non bastasse: è stato calcolato che anche con le attuali tecnologie, le rinnovabili non basteranno mai a coprire il fabbisogno energetico italiano, senza contare che i pannelli solari e le pale eoliche non crescono sugli alberi. Quindi la questione non è SE impiegare il nucleare, ma QUANDO, unito alle rinnovabili.
    Infine le scorie potranno essere riciclate con il nucleare di quarta generazione.
    Io mi metterei nell’ ordine di idee già ora, se non vogliamo come al solito essere sempre gli ultimi in ritardo su qualsiasi cosa.

  7. bob

    ..aggiungo che per la particolare conformazione geografica dell’ Italia una catena montuosa in testa (Alpi) una catena dorsale fino alla Sicilia ( Appennini) il Paese potrebbe coprire con una accorta politica il 90% dall’energia idroelettrica.
    Le città, gli agglomerati produttivi sono al 90% ai piedi di queste due catene.
    Oggi con ” salti” di un metro e mezzo di dislivello ci sono turbine capaci di produrre energia senza fare grandi danni all’ambiente ( le centrali realizzate fine ‘800 inizi ‘900 ne sono un esempio bellissimo).
    Rispetto a bruciare oli pesanti e carbone preferisco il nucleare.
    Ma la problematica del nucleare in Itali è stata chiusa dal risultato di un referendum in pratica a mia zia analfabeta di 90 anni è stato chiesto cosa era migliore…abbiamo esercitato una forma alta di democrazia ma una precaria se e non attendibile analisi tecnica

  8. Abc

    Guardare al nucleare come scelta per abbassare emissioni e costi nel breve periodo è assolutamente fuori fuoco, è come dire di volersi iscrivere all’università per comprarsi la macchina il mese dopo: soluzione nel lungo termine migliore ma assolutamente inadeguata se si guarda al futuro più prossimo.
    Gli obiettivi di lungo termine del nucleare sono:
    a. fornire grandi quantità di energia decarbonizzata per sostituire le fonti fossili attualmente imperanti, insieme alle rinnovabili
    b. stabilizzare la rete elettrica fornendo grandi quantità di energia senza le variazioni stagionali, giornaliere e orarie tipiche delle rinnovabili, e senza la necessità di quantità di batterie o accumuli che ancora non sappiamo come e con che costi realizzare
    c. fornire energia a prezzo fisso e, di nuovo, stabile che renda competitive le industrie (vedi il prezzo dell’energia imprevedibile in Germania e il recente calo della produzione industriale, dovuto anche agli alti costi dell’energia)
    d. fornire grandi quantità di energia pulita anche per decarbonizzare settori che oggi non esistono o sono marginali, ma che un domani saranno sempre di più e porteranno ad un drastico aumento della richiesta di energia elettrica, come il settore della mobilità, quello del riscaldamento degli edifici e quello dell’industria pesante carbon intensive (acciaio, cemento, ecc)
    e. eventualmente, se proprio non sapessimo cosa farne di tutta quell’energia, utilizzarla per processi di carbon capture e produzione di idrogeno per i settori ‘hard to abate’, entrambe tecnologie necessarie secondo l’IPCC per invertire l’innalzamento delle temperature.

    Pensare che sia troppo tardi per fare qualcosa è paradossale: in primis perché anche i grandi impianti rinnovabili necessitano di tempi molto lunghi per l’autorizzazione e la realizzazione (ne sono piene le cronache), in secondo luogo perché se avessimo iniziato a costruire all’epoca dell’ultimo referendum oggi staremmo godendo dei frutti di quella scelta lungimirante (con un tempismo perfetto rispetto alla crisi energetica!) e infine perché il cambiamento climatico non ha una data di scadenza, dunque quanto più si riesce a fare per invertire la rotta e tanto meglio.

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