Scomparso a fine marzo, Daniel Kahneman ha elaborato teorie comportamentali rigorose e convincenti, che hanno sancito definitivamente il legame tra economia e psicologia. Il suo approccio metodologico si è affermato anche in altre scienze sociali.
Il legame tra psicologia ed economia
“Per aver integrato i risultati della ricerca psicologica nella scienza economica (…) contribuendo alla fondazione di un nuovo ambito di ricerca che dimostra come le decisione umane possano sistematicamente divergere da quanto predetto dalle teorie economiche tradizionali”: con queste parole il Comitato Nobel motivava l’attribuzione del prestigioso premio per l’economia nel 2002 a Daniel Kahneman, professore di psicologia dell’Università di Princeton, deceduto lo scorso 27 marzo all’età di novant’anni.
Sebbene non sia stato il primo studioso con una formazione in psicologia a ricevere il massimo riconoscimento scientifico in ambito economico (Herbert Simon fu insignito dello stesso premio nel 1978), bisogna riconoscere a Kahneman il merito di aver sancito definitivamente l’indissolubile sodalizio tra le due scienze sociali nell’analizzare e comprendere il modo in cui gli individui compiono, spesso in maniera errata, le loro scelte quotidiane di natura economica. L’eclettica e acuta curiosità scientifica, abbinata a un rigoroso utilizzo degli strumenti teorici e analitici hanno consentito a Kahneman di sviluppare contributi fondamentali per gli economisti, quali la teoria del prospetto nell’ambito delle scelte in condizioni di incertezza e l’architettura della cognizione. Ancora, i suoi studi sono stati cruciali nella definizione e consolidamento di efficaci metodologie empiriche per la corretta misurazione delle determinanti sociopsicologiche del benessere soggettivo.
Al di là degli specifici temi trattati, l’aspetto rivoluzionario del pensiero di Kahneman va ricercato soprattutto nella brillante strategia divulgativa, fortemente interdisciplinare, nonché nel suo innovativo (quantomeno in economia) approccio metodologico.
Nelle pagine delle sue opere, Kahneman ci invita ad ampliare la prospettiva d’analisi alla dimensione psicologica e comportamentale delle scelte economiche, attraverso un linguaggio “non invasivo” e accessibile alle altre scienze sociali. Ad esempio, nello spiegare i motivi per i quali spesso ci troviamo a compiere scelte irragionevoli, non ha bisogno di negare l’ipotesi di “razionalità” su cui si fonda l’approccio microeconomico moderno. Nel presentare l’architettura della cognizione nel suo celebre libro Pensieri lenti e veloci, teorizza che una scelta economica irragionevole sia la naturale conseguenza dal fatto che, nell’interazione tra il sistema 2 – l’anima razionale-deduttiva del nostro processo decisionale – e il sistema 1 – la componente più emotiva, istintiva, guidata da semplici euristiche di comportamento –, il primo venga spesso anticipato e sopraffatto dal secondo. In quest’ottica, tutti quegli elementi fino ad allora considerati irrazionali dagli economisti ortodossi costituiscono oggetto di studio in quanto isolabili e sistematizzabili, persino all’interno della teoria tradizionale delle scelte economiche. Grazie a Kahneman, l’agente economico diventa umano e, parafrasando il titolo di un’opera di Dan Ariely, “prevedibilmente irrazionale.”
L’importanza della teoria del prospetto
Passando all’aspetto metodologico, va riconosciuta a Kahneman la capacità di elaborare teorie comportamentali rigorose e convincenti, contrapponendo all’approccio ipotetico-deduttivo tradizionalmente adottato dagli economisti, quello empirico-induttivo. Tra i lavori di Kahneman, la teoria del prospetto, elaborata con Amos Tversky (collega prematuramente scomparso nel 1996, ma presente come coautore postumo in quasi tutti i suoi articoli scientifici) rappresenta senza ombra di dubbio il suo contributo di maggior impatto nella letteratura economica, fornendo un approccio alternativo alla tradizionale, ma sempre più empiricamente debole, teoria dell’utilità attesa.
Sono quattro le ipotesi psicologiche alla base della teoria del prospetto: i. la funzione peso in base alla quale gli agenti economici sarebbero portati a sovrastimare da un punto di vista psicologico la probabilità di accadimento di eventi altamente improbabili e, viceversa, a sottostimare quella di eventi pressocché certi; ii. la valutazione dei possibili esiti (in primo luogo, quelli monetari) di un evento aleatorio come guadagni o perdite in base a un “valore di riferimento” spesso soggettivamente definito dall’agente economico; iii. la propensione a compiere una scelta rischiosa – che sarebbe elevata nel dominio delle perdite e ridotta in quello dei guadagni; iv. l’avversione alle perdite, ossia la tendenza a sopravvalutare le perdite e, quindi, a reagire a esse in misura sproporzionata. La ragionevolezza di queste ipotesi psicologiche rappresenta la chiave del successo della teoria del prospetto. Tuttavia, la loro origine non va ricercata in sofisticate riflessioni di natura teorica, ma nel susseguirsi di numerosi studi sperimentali che, nel corso di tre decenni, hanno empiricamente sancito la presenza di fattori comportamentali nelle scelte economiche in condizioni di incertezza.
Per rendere l’idea del contributo di questo scienziato alla teoria economica possiamo letteralmente parlare di una economia del “dopo Kahneman”, incentrata sull’osservazione empirica dei comportamenti assunti da agenti economici caratterizzati da un chiaro profilo psicologico. È grazie ai suoi studi che l’elaborazione di teorie a partire dall’osservazione empirica di fenomeni comportamentali si è affermata e diffusa come valido approccio metodologico non solo in economia, ma anche nelle altre scienze sociali.
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B&B
Chiunque effettui operazioni di investimento, in qualsiasi campo, impegna sempre emotività e razionalità.
Il risultato è sempre soggettivo, contestuale e storicizzato.
Marco Depolo
Certamente emotività e razionalità coesistono. Ma la conclusione da trarre – come hanno magistralmente mostrato Kahneman e altri – non è che tutto è “soggettivo” (e dunque soggetto a variazioni imprevedibili).
Sembra invece più conforme alle evidernze assumere che un risultato c.d. “soggettivo” sia probabilisticamente prevedibile sulla base di modelli generali del comportamento, da un lato, e della capacità di descrivere e spiegare l’influenza dei contesti in cui quel comportamento si esplica, dall’altro.