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Auto europea al bivio. E l’Italia decide che direzione prendere

Se la nuova Commissione abbandonerà il Green Deal saranno traditi gli obiettivi ambientali. Ma sarà un danno anche per la parte più innovativa dell’industria dell’auto, già avviata verso l’abbandono dei carburanti fossili. Perché l’Italia ha un ruolo.

Le emissioni delle auto

In Europa il settore dei trasporti è responsabile di un quarto delle emissioni complessive di CO2 di origine antropica. Secondo l’Eea (European Environment Agency) circa il 60 per cento proviene dalle auto. In più, il settore è l’unico che ha visto aumentare le sue emissioni nel corso degli ultimi anni. Per questo, alcuni paesi chiave dell’industria, come l’Unione europea e, negli Stati Uniti, la California o il Massachusetts, hanno intrapreso una strada che porterà al phase-out (graduale uscita di scena) dei motori a combustione interna entro il 2035.

Ragioni di semplice buon senso dovrebbero vedere le forze politiche unite nel tentativo in extremis di contrastare il contributo antropico al cambiamento climatico e all’inquinamento. Viceversa, il contrapporsi di interessi economici collegati all’attuazione del Green Deal europeo produce un dibattito combattuto a forza di slogan, che lascia i cittadini frastornati e spesso vittime di disinformazione.

Le conseguenze della decarbonizzazione

In particolare, la contrapposizione riguarda tre questioni: quale sia la migliore strada tecnologica per la decarbonizzazione, gli effetti della transizione sull’occupazione e la perdita di competitività verso gli Usa e i paesi asiatici.

Sul primo punto, le evidenze scientifiche non lasciano dubbi sul vantaggio dell’elettrificazione (ossia delle auto a batteria, Bev) per la mobilità privata. Sulla sua diffusione, presente e futura, ci sono meno certezze. Tuttavia, dall’osservazione delle dinamiche di costo del prodotto e di incremento delle performance, della sua attuale penetrazione sul mercato (in linea con le aspettative rispetto al ciclo di vita del prodotto) e considerando gli investimenti già effettuati dall’industria, ci sono ragioni per aspettarsi che i produttori di auto spingeranno questa tecnologia e che, con la naturale diminuzione di costi e prezzi, ne aumenterà la diffusione e con essa la dotazione di infrastrutture di ricarica.

La graduale diffusione delle auto elettriche solleva problemi di natura occupazionale nei comparti collegati alla produzione del motore a scoppio. Però le auto a combustione (che includono anche le auto “ibride” in tutte le loro varianti) saranno prodotte per altri undici anni e il phase-out in Europa al 2035 è noto da almeno cinque. Quindici anni sono un lasso di tempo lungo, in cui, anche grazie ai piani della Commissione Ue, le conseguenze negative sull’occupazione possono essere mitigate. Peraltro, sono spesso frutto di dinamiche dell’industria che poco hanno a che fare con la trasformazione tecnologica. Ad esempio, l’unico studio sull’impatto dell’elettrificazione sull’occupazione in Italia realizzato da istituzioni pubbliche mostra che (1) le attuali crisi aziendali nel campo della fornitura derivano dalla riduzione delle commesse da parte di Stellantis e dalla riduzione della produzione/commesse verso l’area tedesca e francese; (2) i fornitori effettivamente impegnati in componenti che tenderanno a scomparire sono circa cento (su oltre 2.200 censiti) con occupati intorno alle 15 mila unità; (3) il saldo netto tra perdita di occupati e incremento in caso di conversione all’elettrico sarebbe positivo. Molte delle imprese a rischio, inoltre, hanno già iniziato un percorso di diversificazione e ri-conversione. Stesse dinamiche si vedono in Europa dove, peraltro, l’elettrificazione del parco circolante e gli investimenti in fabbriche di batterie e auto elettriche sono molto più avanti che in Italia.

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I costi della transizione

Il terzo tema riguarda la sostenibilità economica della transizione nella competizione con gli Usa e i paesi asiatici e le ricadute sul benessere economico dei cittadini europei. Ciò, sia per la temuta dipendenza dalla Cina per materie prime e componenti e sia per la potenziale invasione di prodotti esteri in Europa.

Il primo è un argomento non nuovo per l’Europa che ha una storica dipendenza da materie prime e componenti in molteplici settori industriali. L’elettrificazione presenta luci e ombre. Aiuta l’Europa a uscire dal sistema geo-politico che ruota intorno a petrolio e gas, ma crea nuovi fronti di potenziali rischi economici, ambientali e sociali (ad esempio, nelle nuove catene di approvvigionamento delle materie per le batterie). Ma, come mostrano i recenti meeting Cop, la direzione verso la decarbonizzazione e l’abbandono delle fonti fossili è segnato. Parimenti, le sfide per la sostenibilità delle catene di approvvigionamento non sono più critiche di quelle già collegate all’estrazione di gas e petrolio. Inoltre, il passaggio all’elettrico, facendo leva sull’uso di fonti rinnovabili, alimenta un processo di “democratizzazione” della produzione di energia elettrica, affrancando i cittadini (si pensi alle comunità energetiche) e gli stati europei dalla dipendenza da paesi produttori di petrolio e gas e da grandi investimenti infrastrutturali nelle mani di pochi e potenti colossi economici. In altre parole, oltre a contribuire agli obiettivi di decarbonizzazione, l’elettrificazione dei veicoli rappresenta una opportunità politica per l’Europa e per paesi come l’Italia che sono importatori netti di energia.

Quanto alla potenziale invasione dell’Europa di produttori e prodotti cinesi, è erroneamente attribuita al phase-out del motore a scoppio (le auto cinesi più vendute sono a combustione interna), mentre andrebbe ascritta al posizionamento di mercato e al ritardo dei produttori europei sull’elettrico. Avrebbero avuto tutti i mezzi per produrre auto a combustione interna economiche e poco inquinanti ma, con poche eccezioni, hanno puntato sull’alto di gamma. Allo stesso modo, quasi tutti i produttori europei, pur essendo dotati della tecnologia per competere sull’elettrificazione, hanno lasciato che i colleghi Usa e asiatici sviluppassero auto elettriche senza opporre alcuna controffensiva di prodotto significativa. Questo ha contribuito a creare un divario competitivo a svantaggio dell’Europa e una carenza in termini di offerta di prodotto complessiva (molte auto a trazione ibrida con motore a combustione interna e poche auto elettriche, tutte molto costose). L’elettrificazione apre, quindi, una finestra di opportunità per investimenti da parte dei produttori asiatici e nordamericani in nuovi stabilimenti di auto elettriche in Europa e per l’arrivo in Europa di nuovi prodotti tecnologicamente avanzati. Entrambe queste spinte vanno a vantaggio di lavoratori, i cui salari sono in caduta libera, e di consumatori a basso reddito, finora vittime di listini esorbitanti sia sui prodotti a combustione interna sia elettrica della maggior parte delle case automobilistiche europee, mai profittevoli come negli ultimi anni.

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In conclusione, è indubbio che l’Europa si trovi in una situazione inedita e critica. È stata storicamente all’avanguardia dell’innovazione in un settore strategico come l’auto. Nonostante la dipendenza dalle materie prime, ciò è stato possibile grazie a ingenti investimenti in ricerca pubblica e privata, che hanno spesso anticipato i grandi temi ambientali e indirizzato le scelte di altri paesi. La novità dell’ultimo decennio è che, per la prima volta dal secondo dopoguerra, l’Europa ha perso la leadership tecnologica, soprattutto verso i paesi asiatici. E ciò non dipende principalmente dalle scelte del legislatore europeo che, per molti versi, hanno contribuito a limitare il ritardo.

Il ruolo dell’Italia

In questo processo, l’Italia ha giocato un ruolo in controtendenza. sia perché quello che era il suo unico produttore di auto – Fca e ora Stellantis – ha ritardato gli investimenti in innovazione di prodotto, sia per il posizionamento politico assunto dall’Italia in Europa sui temi ambientali che riguardano l’auto. Nelle ultime votazioni sul Green Deal l’Italia ha fatto parte di un gruppo di paesi che grazie al meccanismo della “blocking minority” al Consiglio dell’Unione europea ha condizionato la legislazione nella direzione di rallentare o azzerare il contrasto all’inquinamento dovuto al trasporto su strada (si veda il caso eclatante dell’Euro 7).

Se il nuovo Parlamento e la nuova Commissione metteranno in discussione le scelte fatte nel Green Deal, oltre al tradimento degli obiettivi legati alla priorità ambientale, si rischia un salto nel vuoto dal punto di vista industriale ed economico in una condizione in cui i segmenti dell’industria dell’auto più votati all’innovazione hanno già avviato da anni la trasformazione in vista del phase-out. Ciò rende le prossime elezioni europee un momento di svolta cruciale. L’Italia – in bilico tra essere parte della maggioranza dei paesi europei motore dell’innovazione o parte di un gruppo di paesi senza un progetto di sviluppo sostenibile – avrà così un ruolo tutt’altro che marginale nel difficile percorso che l’Europa dovrà compiere per colmare il divario competitivo e riprendersi il ruolo di leader del progresso ambientale, economico e sociale.

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  1. Savino

    Sostenibilità è pensare al portafoglio delle persone e al fatto che la popolazione invecchia ed invecchierà ancora. Sostenibilità è incrementare i mezzi pubblici, non rendere indispensabile comprare l’auto. Sostenibilità è ausiliare davvero il privato verso l’auto elettrica e non terminare in 9 ore l’incentivazione per le furberie aziendali che ci marciano in bilancio grazie alle quote di ammortamento in tot anni e alle agevolazioni IVA (il singolo cittadino privato non può fare tutto questo).

    • alessandro cargasacchi

      Si potrebbe mica vedere l’Europa che investe sull’adozione dell’elettrico nel trasporto pubblico molto di più di quanto già faccia? In questo settore molto importante la volontà politica potrebbe fare premio e trainare anche l’automotive privato.

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