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Il patriottismo del calcio? È a doppia faccia

I grandi tornei internazionali fanno crescere sentimenti patriottici attorno alle nazionali di calcio. Che però si rivelano spesso effimeri. Dipendono infatti dai risultati della squadra e quando sono negativi aumentano le frizioni all’interno dei paesi.

Uniti solo se si vince

United by football. United in the hearth of Europe”. È sotto questo slogan che si giocano, in Germania, gli Europei di calcio. Persone di ogni etnia, età, orientamento politico, appassionati e non, si ritrovano nei bar e nelle piazze, con gli occhi puntati sugli schermi, gridando a squarciagola per tifare la propria nazionale. Tutti insieme, united by football, appunto. D’altronde, parafrasando lo scrittore inglese Simon Kuper, è impossibile negare che i tornei di calcio internazionali creino un senso di unità e comunione altrimenti impossibile da concepire nella società moderna; senza dubbio tra le più alte manifestazioni di orgoglio e unità nazionale che un paese può avere in tempi di pace.

Tuttavia, le partite di calcio tra nazionali possono facilmente assumere caratteri tutt’altro che pacifici, e diventare invece la stilizzazione di una guerra (“una guerra senza gli spari”, come la definì George Orwell), tra paesi, ma anche dentro il paese. L’esperienza degli ultimi anni, e non solo, ci racconta come le gioiose feste patriottiche possano presto trasformarsi quando le cose vanno male, come nel caso di una sconfitta. E l’euforia che circonda questi eventi può sfociare rapidamente in episodi di violenza e reazioni xenofobe. Un caso esemplare l’abbiamo visto nella finale degli Europei 2020, quando l’errore ai rigori di tre giocatori neri della nazionale inglese, dopo un glorioso cammino che li aveva portati in finale tra l’entusiasmo di tutto il paese, è diventata la giustificazione per deplorevoli episodi di razzismo che si sono verificati nei giorni successivi alla sconfitta.

Un gioco pericoloso

Numerosi studi in campo sociale, economico e psicologico hanno provato a comprendere quali effetti sulla società può generare la partecipazione ai tornei di calcio internazionali. Se si guarda al rapporto fra diverse nazion(al)i, emerge che le partite di calcio possono essere un fattore che divide e allontana i paesi le cui squadre si incontrano in un torneo, portando a minor scambi commerciali, e addirittura, aumentando le possibilità di eventuali conflitti tra paesi.

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Se pensiamo alle dinamiche interne dei paesi, esistono studi che guardando alla coppa d’Africa hanno dimostrato invece che le vittorie della nazionale possono determinare una maggior identificazione con il paese e una attenuazione dei conflitti etnici, che rappresentano un ostacolo molto importante allo sviluppo del nuovo continente. Secondo questi risultati, il calcio può quindi essere pensato come un importante propulsore di coesione e unità, volto a ridurre la polarizzazione e il conflitto. È tuttavia un’interpretazione che sembra confliggere con il caso dei giocatori inglesi, o con altri eventi di casa nostra, come per esempio le polemiche su Mario Balotelli.

Nel complesso, gli studi scientifici sembrano affermare che il calcio può aumentare le frizioni tra diverse nazioni ma, allo stesso tempo, diminuire quelle all’interno di ogni singolo paese, migliorando la coesione sociale.

Lo studio

Per provare a ricomporre il puzzle, in uno studio pubblicato di recente, abbiamo ricostruito un quadro concettuale che prende in considerazione diversi risultati di una letteratura interdisciplinare (sociologia, psicologia, scienza politica ed economia). Il quadro che emerge è che lo spirito patriottico suscitato dalle partite di calcio dovrebbe essere interpretato non tanto come un’ideologia solida, quanto piuttosto come un sentimento molto labile. A seconda del risultato sportivo può facilmente trasformarsi in un nazionalismo etnico escludente, anziché in un sentimento patriottico unitario, sfociando in un aumento dei conflitti. Questi conflitti possono manifestarsi sia verso altri paesi sia verso persone dello stesso paese, che non sono riconosciute come cittadini a pieno titolo, per esempio gli immigrati.

A sostegno del quadro concettuale, sono stati presi in esame dati giornalieri sugli attacchi verso rifugiati e immigrati in Germania, lungo un periodo di cinque anni, dal 2013 al 2017, che includono successi e insuccessi nella nazionale tedesca allora guidata dal capitano Mesut Ozil, poi finito in un vortice di polemiche per le sue foto con il presidente turco Erdogan. Seguendo un approccio “controfattuale”, abbiamo messo a confronto i dati sugli attacchi agli immigrati nei giorni immediatamente antecedenti e successivi alla partita della nazionale, e abbiamo potuto osservare come il numero sia notevolmente superiore dopo una sconfitta, mentre cala leggermente dopo una vittoria. Questo ci dice che il nazionalismo sportivo può fungere, all’interno di un paese, sia da propulsore che da detonatore della coesione sociale.

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Quando vediamo i tifosi di calcio pitturarsi le bandiere sulle facce viene spontaneo pensare che il patriottismo dei mondiali sia qualcosa di banale, d’altronde è stata una convinzione tanto ferma quanto diffusa per lungo tempo. Tuttavia, l’evidenza ci mostra che quel sentimento è in realtà parte di un fenomeno molto più complesso e che le competizioni calcistiche internazionali possono generare, a volte, effetti indesiderati. D’altronde, la palla resta tonda e non si può (quasi) mai sapere con certezza da che lato cascherà.

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C’è voglia di rivincita nel turismo sportivo

  1. Savino

    La fame e la paura uniscono i popoli e,tra l’altro,fanno ottenere anche i risultati sportivi. Storicamente l’Italia ha vinto i mondiali nel 1934 e 1938, in presenza di regime e fame, mentre il successo del 1982 fu la prima occasione per molti per uscire di casa dopo citta’ sconvolte dal terrorismo interno.

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