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Quella dipendenza dai dati scelta dalla Bce

È l’incertezza del quadro economico e geopolitico che ha spinto la Bce a optareper decisioni sui tassi di interesse prese di volta in volta, sulla base dei dati. Ma la completa rinuncia al controllo delle aspettative di inflazione suscita perplessità.

Com’è cambiata la politica monetaria in tre anni

“Il Consiglio direttivo continuerà a seguire un approccio basato sui dati e riunione per riunione per determinare il livello e la durata adeguati della restrizione monetaria. In particolare, le decisioni sui tassi di interesse si baseranno sulla valutazione delle prospettive di inflazione alla luce dei dati economici e finanziari in arrivo, della dinamica dell’inflazione di fondo e della forza di trasmissione della politica monetaria. Il Consiglio direttivo non si impegna preventivamente a un particolare sentiero dei tassi di interesse”: l’estratto dal comunicato del Consiglio direttivo del 6 giugno 2024 illustra chiaramente la metamorfosi subita dalla politica monetaria della Banca centrale europea negli ultimi tre anni. In risposta alla recente accelerazione dell’inflazione, la strategia della Bce ha assunto una forma esplicitamente “dipendente dai dati”. Vale a dire, la Bce ha rinunciato a indicare qualsiasi impegno riguardo al sentiero futuro dei tassi di interesse, prendendo le proprie decisioni solo sulla base del flusso passato e corrente di dati (sui prezzi dell’energia, sui salari, sull’attività economica, sull’andamento dell’inflazione sottostante). Il che equivale a dire: muoversi in avanti guardando nello specchietto retrovisore.

La politica monetaria può caratterizzarsi generalmente lungo uno spettro che ha due estremi. Uno è quello, appunto, della dipendenza dai dati. In ogni istante di tempo la banca centrale osserva lo stato del mondo che si è determinato fino a quel momento, e poi prende una decisione limitata a quel periodo. Tecnicamente questo tipo di strategia è definita di “pura discrezionalità”. Si agisce (cioè si fissano i tassi di interesse) sulla base di un ampio spettro di dati che hanno determinato lo stato dell’economia fino a quel momento, senza dare alcuna anticipazione riguardo alle proprie mosse future. L’estremo opposto è quello della “forward guidance”, in cui la banca centrale annuncia oggi la sequenza delle proprie mosse per il futuro. Di fatto, negli ultimi tre anni, la politica della Bce ha strettamente operato secondo il primo estremo, cioè quello della pura discrezionalità, comunicando chiaramente in ogni periodo di non volersi impegnare preventivamente ad alcun sentiero futuro dei tassi di interesse.

Dal punto di vista della teoria della politica monetaria, la scelta di pura discrezionalità non è affatto ovvia. In presenza di shock dal lato dell’offerta (incremento dei costi dell’energia, dei costi di produzione, del prezzo del petrolio) la teoria ottimale prescrive infatti l’opposto di una strategia dipendente dai dati. Secondo la teoria, la banca centrale deve rispondere non solo muovendo i tassi di interesse oggi, ma impegnandosi a seguire un certo sentiero dei tassi in futuro. Il motivo principale è che l’inflazione è una variabile fortemente dipendente dalle aspettative. Impegnandosi quindi oggi a seguire un certo sentiero di azioni future, la banca centrale riesce ad avere un effetto sulle aspettative di inflazione, e quindi sull’inflazione corrente, in linea di principio senza sostenere costi in termini di contrazione dell’attività economica. Ad esempio, se l’inflazione è spinta verso l’alto da un impulso dal lato dell’offerta (energia, petrolio, per esempio.), la banca centrale deve impegnarsi oggi a incrementare i tassi di interesse (e quindi a contrarre l’attività economica) per un periodo più lungo della durata prevista dello shock. Se l’impegno è credibile, le aspettative di contrazione futura dell’economia contribuiscono ad abbassare oggi le aspettative di inflazione e poiché l’inflazione corrente dipende dalle aspettative, a limitare l’aumento dell’inflazione stessa.

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Una reazione all’incertezza

La superiorità di una strategia di forward guidance in presenza di shock di offerta è ben nota nella letteratura economica. Come si spiega dunque la scelta della Bce di agire in modo discrezionale, cioè in modo del tutto dipendente dai dati, senza alcuna volontà di legarsi le mani ad azioni future? Sembrerebbe una scelta miope che rinuncia del tutto ad agire sulla leva delle aspettative di inflazione. La motivazione è stata indicata dalla stessa Bce. Una strategia dipendente dai dati è considerata desiderabile quando la banca centrale agisce in regime di elevata incertezza. Più alta è l’incertezza sullo stato futuro del mondo, maggiore è la riluttanza della banca centrale a legarsi le mani su qualsiasi decisione futura sui tassi di interesse. Secondo la Bce stessa, il grado di incertezza nell’economia è aumentato considerevolmente tra il 2021 e il 2022, a causa della volatilità estrema dei prezzi delle materie prime e dell’incremento dei costi di produzione in seguito alle restrizioni nelle catene internazionali del commercio. Tra il 2021 e il 2022, le previsioni di inflazione prodotte dalla Bce fallivano sistematicamente per difetto, con errori statistici più che raddoppiati rispetto al regime precedente. Dato questo regime di incertezza sulle previsioni future, la Bce ha optato deliberatamente per una strategia prudente delineata “meeting by meeting”, cioè senza anticipazioni sulle decisioni delle riunioni successive.    

La strategia discrezionale contrasta apertamente con la condotta di politica monetaria seguita negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2008 e alla crisi dell’euro del 2011. In quelle circostanze, lo spettro per la Bce si chiamava deflazione, con il vincolo stringente del limite inferiore zero sui tassi di interesse, che costringeva la banca centrale a trovare strumenti non convenzionali per stimolare l’economia da una persistente stagnazione. Allora una strategia di forward guidance era diventata centrale nell’operato della Bce. L’obiettivo, con tassi di interesse nominali vincolati a zero, era quello di stimolare al rialzo le aspettative di inflazione, per spingere verso il basso i tassi di interesse reali, e così stimolare consumi e investimenti.

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La Bce ha optato quindi per una scelta esplicita. Ha chiaramente indicato che una strategia di forward guidance, e di azione sulle aspettative, è desiderabile solo quando l’economia si trova al limite zero sui tassi di interesse (situazione tipicamente definita di trappola della liquidità) ed è necessario attuare una politica monetaria espansiva non convenzionale, cioè non esplicata attraverso variazioni dei tassi. Quando invece, all’opposto, l’inflazione è in rialzo, ed è necessario attuare una politica monetaria restrittiva (cioè di incremento dei tassi), se l’incertezza è elevata è desiderabile agire con discrezionalità, senza legarsi le mani ad alcuna decisione futura.

Pur essendo vero che la presenza di incertezza deve indurre la banca centrale a maggiore prudenza, la strategia della Bce di rinunciare completamente al controllo delle aspettative di inflazione genera comunque perplessità. Questo perché l’incertezza nell’economia non è completamente esogena, cioè non proviene da Marte, bensì dipende (anche) dal comportamento della banca centrale stessa. Comportarsi come un pilota che nella nebbia (cioè nell’incertezza) si rifiuta di mettere a disposizione il proprio piano di volo equivale a far crescere ulteriormente l’incertezza, in un pericoloso circolo vizioso. La banca centrale può in realtà contribuire a diradare l’incertezza se solo si dichiara pronta a indicare quale sentiero, seppure con gradualità, intende seguire nel futuro.

Per quale motivo la Bce ha deciso invece di seguire una strategia con lo sguardo all’indietro invece che in avanti? In altre parole, perché la Bce ha rinunciato a controllare le aspettative di inflazione? Lo ha fatto perché era un lusso che poteva permettersi. Di fatto la Bce ha sfruttato il capitale di credibilità accumulato nel passato, ritenuto sufficiente affinché le aspettative di inflazione rimanessero ancorate al target desiderato del 2 per cento nonostante la rinuncia a manipolare le aspettative stesse in modo esplicito. Una strategia che ha pagato, ma che non è per nulla scontato possa continuare a essere applicata anche in futuro.

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  1. Savino

    L’inflazione non è solo un problema di politica monetaria, ma è una chiave di lettura per tutte le questioni economiche, di sviluppo, di bilancio, di conti pubblici, tributarie, di intermediazione creditizia. I comportamenti che derivano dalle dinamiche inflattive vanno letti e interpretati per definire politiche industriali, per rilanciare segmenti di mercato e commerci, politiche fiscali e del credito. L’inflazione doveva essere combattuta dai Governi che non lo hanno fatto, con politiche dei redditi, controllo sui prezzi, introduzione di maggiore concorrenza, tutela del consumatore debole, orientamento alla figura del consumatore (non come è stato fatto con la giungla delle tariffe di luce e gas senza più mercato tutelato), controllo delle tariffe pubbliche e dei beni e servizi di pubblica fruibilità (non come è successo alle tariffe di aerei, treni e bus urbani). C’è stato, finora un ruolo importante di supplenza delle banche centrali, BCE in primis. L’auspicio è che questo ruolo continui, ma con dei fini diversi dalla sola politica monetaria e senza penalizzare la domanda di accesso al credito per nuovi imprenditori e giovani famiglie.

  2. Umberto Troise

    Gentile professore, ho letto con interesse il suo articolo e, in linea di principio sono d’accordo che la rinuncia al controllo delle aspettative di inflazione da parte della BCE debba destare qualche perplessità. La mia sensazione, ma è una semplice sensazione, è che la Banca abbia timore che una linea più netta in materia di controllo dell’inflazione possa determinare uno shock sul lato della domanda. Non sarà questa la motivazione di fondo della condotta della BCE?

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