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Decarbonizzare per riconquistare competitività

La decarbonizzazione dell’industria europea è uno dei punti centrali del rapporto Draghi. Perché così si abbassa il costo dell’energia. Ma occorre anche dare sostegno ai settori che trainano l’innovazione, dalle tecnologie pulite ai veicoli elettrici.

L’Europa che non cresce

La transizione dell’economia europea verso fonti di energia pulita prosegue a ritmo sostenuto. Gli incrementi annuali di energia solare ed eolica potrebbero persino infondere un po’ di ottimismo, poiché alcuni paesi sono sulla buona strada per raggiungere i loro obiettivi in materia di energie rinnovabili. D’altro lato, ci sono molti elementi di preoccupazione che riguardano la competitività delle imprese industriali oggi colpite dalla stagnazione economica in cui si trova l’economia europea.

Gli errori di politica economica commessi durante la crisi finanziaria hanno portato a un sotto-investimento strutturale, sia del settore pubblico che di quello privato e di conseguenza buona parte dell’industria europea in quella che alcuni economisti chiamano una mid technology trap.

Dopo un decennio di austerità, il divario cumulato di investimenti nella zona euro si conta in trilioni. Il rapporto Draghi calcola che per colmarlo sarebbero necessari incrementi pari a circa il 5 per cento di Pil. In presenza di shocks legati alla competitività e al progresso tecnologico, la combinazione del sotto-investimento pubblico e privato ha contribuito in modo significativo a un forte e persistente calo della crescita potenziale.

Tra le proposte per rilanciare la crescita in Europa, il rapporto Draghi mette al centro dell’agenda di politica economica e industriale la questione della decarbonizzazione dell’industria, in quanto legata alla competitività dell’economia europea Sono due i nodi da affrontare in modo strutturale: il problema del costo dell’energia e la capacità manifatturiera nelle tecnologie pulite.

I costi elevati dell’energia frenano la crescita

La reindustrializzazione europea non si può fare senza un’energia meno costosa. Le aziende dell’Ue devono far fronte a prezzi dell’elettricità che sono il 158 per cento più elevati rispetto a quelli americani, mentre quelli del gas naturale sono più alti di oltre tre volte (Fig. 1). E il gas determina anche il prezzo marginale dell’elettricità. Senza contare che dalla crisi dell’energia la volatilità dei prezzi è aumentata in modo significativo.

La decarbonizzazione contribuirà poi a spostare la produzione di energia verso fonti pulite, sicure e a basso costo. Ma i combustibili fossili continueranno a determinare il prezzo dell’energia almeno per tutto questo decennio. Se l’Europa non riesce a trasferire i benefici dell’energia pulita agli utenti finali, i prezzi dell’energia continueranno a frenare la crescita.

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Figura 1 – Divario dei prezzi energetici per l’industria europea

Fonte: Rapporto Draghi (2024), Parte A, p. 5

La decarbonizzazione, opportunità o minaccia per l’industria europea?

L’Europa è leader mondiale nell’innovazione delle tecnologie pulite e in alcune fasi della produzione, come l’eolico e i combustibili a basse emissioni di carbonio. Eppure, la concorrenza cinese diventa sempre più forte, guidata da una potente combinazione di sussidi, innovazione ed economie di scala. L’Europa si trova quindi di fronte a un potenziale trade off tra decarbonizzazione, sostenibilità e sicurezza economica.

La crescente dipendenza dalla Cina può offrire la via più economica per raggiungere gli obiettivi climatici dell’Ue. Ma la concorrenza di quelle imprese sostenute dallo Stato cinese rappresenta una minaccia per le industrie europee. Le importazioni cinesi inondano i mercati europei proprio nell’ambito della decarbonizzazione (Fig. 2). Vi è quindi il pericolo che l’Europa fallisca nella transizione verso le tecnologie pulite. 

Il caso delle batterie è emblematico da questo punto di vista. Secondo il rapporto Draghi, dovrebbero rappresentare quasi il 70 per cento degli investimenti necessari nelle tecnologie pulite. Ma la Cina domina completamente la produzione in questo settore, con il 76 per cento della capacità manifatturiera mondiale ed è stata pioniera in molte innovazioni del settore, come ad esempio i progressi nelle batterie a base di litio, ferro e fosfato e ioni di sodio. Ciò ha contribuito in modo significativo alla posizione dominante che oggi ricopre nei veicoli elettrici, che rappresentano una minaccia esistenziale per l’industria automobilistica europea.

Figura 2 – Capacità manifatturiera nelle clean tech per regione (2021)

Fonte: Rapporto Draghi (2024), Parte B, p. 119

Un piano comune per la competitività e la decarbonizzazione

Il piano industriale proposto da Draghi si prefigge di migliorare la competitività industriale abbassando il costo dell’energia e accelerando la decarbonizzazione attraverso una serie di misure di carattere orizzontale e verticale. Nella direzione indicata dal rapporto Letta (2024), serve una riforma del mercato dell’elettricità che porti a una maggiore integrazione dei sistemi energetici nazionali. L’Unione europea dispone di un insieme di regole armonizzate per i mercati dell’elettricità e la sincronizzazione delle reti energetiche nazionali. Ma la possibilità di trasferire volumi di energia elettrica da un luogo all’altro in base ai segnali di prezzo è molto limitata. Parte del problema risiede nella capacità fisica attraverso le interconnessioni di reti e anche qui vi è bisogno di investimenti consistenti. L’altro problema è riconfigurare i mercati dell’elettricità per far sì che gli operatori dei sistemi di trasmissione energetica possano aumentare le capacità disponibili per il crossborder trading, come previsto dalla legislazione comunitaria che fissa un obiettivo del 70 per cento entro il 2030.

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Accanto all’integrazione dei sistemi elettrici nazionali, il rapporto propone misure di semplificazione per i permessi di costruzione per le infrastrutture delle energie rinnovabili e di disaccoppiare la remunerazione della produzione di energie rinnovabili dalla generazione di energie fossili. Per abbassare i prezzi del gas naturale, Draghi punta in modo particolare su contratti a lungo termine e l’acquisto in comune. In sostanza, l’insieme di proposte comporta una revisione profonda della governance, per una vera ‘Energy Union”.  

Oltre ad abbassare il costo dell’energia, occorre dare un maggiore sostegno ai settori che trainano la decarbonizzazione – come le tecnologie pulite e i veicoli elettrici – per promuovere l’innovazione e livellare le condizioni di concorrenza rispetto ai competitori che utilizzano politiche industriali su larga scala. Inoltre, l’Unione europea dovrà agire unita nei confronti delle industrie a forte intensità energetiche che sono svantaggiate da normative asimmetriche. Ma queste industrie si aspettano soprattutto cambiamenti concreti nei meccanismi di fissazione dei prezzi attualmente basati sulle energie fossili più costose e inquinanti.

Se gli ambiziosi obiettivi climatici dell’Europa saranno affiancati da un piano coerente per raggiungerli, la decarbonizzazione sarà un’opportunità. Ma se non si riesce a coordinare e allineare le sue diverse politiche – quella climatica, quella commerciale e quella della concorrenza – c’è il rischio che la decarbonizzazione possa confliggere con le esigenze di competitività e crescita. Non è (o solo in parte per alcune industrie) un problema di over-regulation, che il rapporto critica forse in modo eccessivo, ma di sovranità economica condivisa. In questa ottica, è necessario ricordare che il cambiamento climatico è un problema che nessun paese può affrontare da solo e che la risposta appropriata (e intrinsecamente più complessa) non può che essere data a livello europeo. 

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Nel piano tante buone intenzioni, ma pochi numeri

  1. Ben d’accordo, con una nota da qualcuno che è tra i pochi ad aver implementato a titolo personale il new deal costruendo a nuovo, con f.v. ed auto elettrica: si deve FAR CADERE I DAZI con la Cina, perché non c’è settore alcuno da proteggere da noi, ne settore proteggibile.

    La nostra industria è morta di managerismo che ha tagliato ricerca e sviluppo da decenni, pertanto solo una nuova industria può emergere dai talenti che se na vanno da quelle fallite esistenti. È inutile e dannoso allungare la loro agonia nei portafogli dei Cittadini.

    Abbiamo già un’imposizione soffocante, vero FURTO di ricchezza privata dai più allo Stato per finanziare i giganti con la scusa del new deal. È tempo di finanziare il new deal, non la speculazione dietro questo, spingendo i singoli all’investimento aiutati anziché impoveriti dallo Stato, incoraggiando così la nascita di una nuova imprenditoria, quella attuale, la grande in particolare, non è salvabile comunque.

  2. Andrea Zatti

    Concordo in pieno con la conclusione: il vero tema trasversale, più che la overregualtion, è la capacità di centralizzare una serie di funzioni chiave, tra cui quella del finanziamento degli interventi. Altrimenti contrinueranno a prevalere logiche particolari, frammentazione e limitato sfruttamento delle economie di scala. In tal senso il Rapporto dice due altre cose importanti. 1. la spesa pubblica per la ricerca in Europa è anche superiore a quella USA (in rapporto al PIL), ma è fatta al 95% dagli Stati con rischi di sovrapposizione e scarsa capacità di concentrarsi sui settori strategici. 2. Le risorse pubbliche nell’UE sono spesse destinate a settori maturi (automotive ed edilizia, in primis), mentre negli USA si sono privilegiati quelli high tech con maggiori potenziali di crescita. Qui è ancora un problema di politica industriale, a cui farebbe bene una visione sovrannazionale, che non pare però andare di moda.

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