Il confronto tra quanto indicato nel Documento programmatico di bilancio e quanto scritto nel disegno di legge di bilancio rivela alcune differenze. La manovra è più ampia del previsto. Ma è sulle coperture che i cambiamenti sono particolarmente rilevanti.
Il confronto tra Dpb e legge di bilancio
Discutendo del Documento programmatico di bilancio (Dpb), che anticipa la presentazione della legge di bilancio, ci eravamo lasciati con qualche interrogativo irrisolto. Riguardavano sia le ipotesi sul mantenimento nei prossimi anni della crescita delle entrate per il quadro a legislazione vigente (notate anche da altri), che costituisce la base di riferimento per la manovra; sia la manovra stessa, per una non chiara definizione di alcune ipotesi di finanziamento.
Ora che il governo, il 23 ottobre, ha presentato il disegno di legge di bilancio al Parlamento, diventa dunque naturale analizzarla per avere una risposta a questi interrogativi, almeno per quanto concerne il 2025. Naturalmente, con l’avvertenza che alcuni provvedimenti saranno probabilmente rivisti durante il dibattito parlamentare, sebbene ci si aspetti che i cambiamenti siano solo marginali (o salta il governo). A questi fini, la tabella 1 riporta i nostri calcoli per il 2025, costruiti confrontando quanto previsto dal Dpb e quanto emerge invece da un’analisi certosina dei 144 articoli del disegno di legge di bilancio. Per maggior chiarezza, nella tabella si riportano separatamente gli interventi previsti nella Sezione I del disegno di legge, dedicata alle innovazioni legislative, da quelli della Sezione II che raccoglie essenzialmente rifinanziamenti, definanziamenti e riprogrammazioni di spese disposte da norme preesistenti. La quarta colonna contiene invece gli effetti di retroazione stimati dal governo; cioè, quanto la manovra influenza l’attività economica e come questa a sua volta impatta sul bilancio.
La dimensioni della manovra
Il confronto evidenzia qualche sorpresa. Intanto, la dimensione della manovra è decisamente maggiore di quanto si ipotizzava nel Dpb – anche se va ricordato che questa fa riferimento all’indebitamento netto, mentre qui discutiamo del saldo netto da finanziare (la differenza la fanno le partite finanziarie) – circa 34,5 miliardi invece dei 28,3 previsti. D’altra parte, anche le coperture aumentano di 7 miliardi, per cui la parte residua che dovrà essere finanziata in deficit, pari a poco più di 8 miliardi (saldo netto da finanziare), è minore di quanto non fosse l’indebitamento previsto nel Dpb. Si noti che il saldo netto da finanziare è anche minore di quanto il governo pensa di ricavare peggiorando il deficit nel 2025 al 3,3 per cento del Pil rispetto al quadro a legislazione vigente (2,9 per cento), circa 9 miliardi.
Gli interventi da finanziare
Sul lato dei nuovi interventi da finanziare (cioè, la maggior spesa o le minori entrate previste) non ci sono grandi differenze con il Dpb. La parte del leone la fa la conferma degli interventi finanziati solo per il 2024, cioè la riduzione del costo del lavoro sui lavoratori dipendenti e la conferma delle tre aliquote per l’Irpef (anche se le aliquote rimarranno quattro per il calcolo delle addizionali regionali e comunali sul tributo, si immagina con grande divertimento di chi dovrà fare i conti). Intelligentemente, la riduzione del costo del lavoro, da un intervento di fiscalizzazione degli oneri contributivi (con annessi effetti di “salti” alla soglia) viene trasformato in un intervento sull’Irpef, introducendo maggiori detrazioni per i redditi fino a 32mila euro lordi, con un décalage graduale fino ai 40mila, in parte finanziato da un tetto alle detrazioni per i redditi sopra i 75mila euro.
Una variazione importante riguarda la voce degli stanziamenti “per la sicurezza e per gli eventi calamitosi” che passa dai 2,19 miliardi del Dpb ai 4,83 nella legge di bilancio. L’incremento però, è trainato solo dal rifinanziamento dei fondi al ministero della Difesa. Ci sono poi altre piccole differenze, per esempio con un incremento nelle risorse attribuite al finanziamento della sanità (da 900 milioni passa a 1,3 miliardi), in parte compensate da una riduzione del supporto alla finanza locale (330 milioni, mentre nel Dpb se ne prevedevano 480).
Per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego nel 2025 sono ora previsti 1,3 miliardi invece dei 750 milioni originali e con questa manovra il governo introduce anche un vincolo al turn-over (al 75 per cento) e incentiva i dipendenti pubblici a rimanere al lavoro anche dopo il raggiungimento dell’età pensionabile.
Tabella 1
Le coperture
Le vere sorprese arrivano invece dal lato delle coperture. È confermato il prestito triennale (a zero interessi) al governo da parte di banche e assicurazioni, con un ulteriore inasprimento della tassazione sui giochi, per un totale di 3,8 miliardi. Confermato anche l’utilizzo integrale dei fondi per interventi in materia fiscale, per altri 5,6 miliardi. Cambiano invece le altre voci.
Nel Dpb si parlava genericamente di maggiori entrate non specificate per oltre 3 miliardi di euro. Nella proposta di legge di bilancio (colonna 2) questa voce viene invece prosciugata, generando solo 1,2 miliardi (da una pluralità di interventi: web tax, rivalutazioni di terreni e altro, ma anche 100 milioni dal taglio delle detrazioni Irpef per i cittadini extra-comunitari).
I soldi che mancano (e quelli in più necessari per coprire una manovra più ampia) arrivano prima di tutto da ulteriori interventi sugli enti locali, dove il taglio raddoppia nel solo 2025, passando da 840 milioni a 1,6 miliardi. E soprattutto da ulteriori riduzioni dei fondi dei ministeri (“misure di riduzione e razionalizzazione della spesa dei ministeri”). Secondo i nostri calcoli, questa voce passa dai 2,44 miliardi previsti nel Dpb a 3,1, grazie ai 400 milioni risparmiati per il blocco del turn-over e a 200 milioni di ulteriori tagli residuali alla spesa corrente. Si arriva infine a 5,2 miliardi, aggiungendo 2,15 di definanziamenti di programmi di spesa (colonna 3). Per esempio, al ministero dei Trasporti vengono de-finanziati programmi per 680 milioni, al ministero della Cultura per 350 milioni, a quello degli Interni 290. Queste riduzioni si aggiungono ai 3,1 miliardi precedenti che già prevedono tagli lineari agli stanziamenti dei ministeri: per dire, il ministero dell’Economia deve rinunciare a 782 milioni, i Trasporti a 293 milioni e l’Università e la Ricerca a 247 milioni. In questa mannaia, spicca il caso del ministero della Difesa. Ben 3,8 miliardi di rifinanziamento, su un totale di 5 miliardi, sono destinati a questo dicastero, che rimane nei fatti esente dai tagli imposti agli altri.
Infine, l’ultima voce, “Altre minori spese non specificate”, raccoglie interventi di de-finanziamento che riguardano enti esterni alla pubblica amministrazione. Per esempio, vengono de-finanziati programmi di spesa a vantaggio di Rfi (Rete ferroviaria italiana) e Anas per circa 2 miliardi.
Per spiegare, però, come quest’ultima voce arrivi a 7,31 miliardi di riduzione, dobbiamo aggiungere un altro elemento conoscitivo. La decontribuzione al Sud, introdotta fin dal 2021 per sostenere l’occupazione meridionale in delega alla disciplina europea sugli aiuti di stato, era sostenuta da un fondo pluriennale che solo per il 2025 valeva 5,28 miliardi.
La Commissione europea ha però concesso l’applicazione del provvedimento solo fino alla fine di quest’anno (decisione 4512 finale del 25 giugno 2024). Di conseguenza, il fondo è stato eliminato e sostituito nella manovra con un’altra agevolazione per il Sud (art. 72 comma 2 della legge di bilancio), questa volta in linea con la disciplina europea in materia di aiuti di stato.
Ma il nuovo fondo è finanziato solo per 2,45 miliardi (che classifichiamo nella voce “Altre maggiori spese e investimenti” della tabella). I restanti tre miliardi, originariamente destinati al Sud, sono stati invece utilizzati a copertura delle minori entrate e maggiori spese previste dalla manovra. Infine, le coperture si completano con 1,6 miliardi stimati di retroazione della manovra stessa sul bilancio, una voce non contemplata nel Dpb e che sarebbe arduo provare a commentare.
Un giudizio complessivo
Perché la voce “Altri interventi non specificati sulle entrate” del Dpb si è trasformata in gran parte in ulteriori tagli di spesa nella proposta di legge di bilancio? A pensar male, si fa peccato, ma l’impressione è che la levata di scudi dell’intera maggioranza sulle pur timide esternazioni settembrine del ministro dell’Economia sulla necessità di fare “sacrifici” (leggi, aumentare le tasse) abbia costretto il Mef a qualche ripensamento, aumentando la parte di finanziamento della manovra sul lato della spesa. Gli unici incrementi delle imposte previsti (giochi, web tax, il prestito delle banche, rideterminazione di poste imponibili) sono su aspetti che non disturbano granché gli elettori del centro-destra.
Anche il tetto alle detrazioni imposte sui redditi Irpef sopra i 75mila euro (e ai single) è stato giustificato come un intervento redistributivo, dai ricchi ai poveri. Peccato che si dimentichi di ricordare che questa è in larga misura una redistribuzione solo all’interno dei redditi da lavoro dipendente (e assimilati), che costituiscono l’85 per cento della base imponibile dell’Irpef e che generano da soli l’81 per cento del gettito Irpef, a sua volta oltre il 40 per cento dell’intero gettito fiscale, mentre, vale la pena di ricordarlo, i redditi da lavoro dipendente costituiscono ora solo poco più del 42 per cento del Pil. I contribuenti che dichiarano più di 75mila euro sono solo il 2,4 per cento del totale e da soli pagano il 27 per cento dell’Irpef complessiva. Evidentemente, questi contribuenti non sono considerati meritori di particolare tutela da parte dell’attuale governo. Al contrario, è bene ricordare che i lavoratori autonomi non sono toccati minimamente da questi interventi perché sono in larga parte al di fuori dall’Irpef, potendo contare su una flat tax al 15 per cento per i fatturati fino a 85mila euro (che ora la Lega vorrebbe portare a 100mila), senza contare i vari interventi agevolativi a loro favore approvati negli ultimi due anni dal governo sotto forma di concordati, condoni e quant’altro. Anche altri interventi possibili sul sistema tributario (dall’armonizzazione della tassazione sui redditi o sul patrimonio alla revisione delle innumerevoli forme agevolative sull’Irpef) sono evidentemente considerati anatema da parte dell’attuale governo. L’impressione è dunque che, stretto tra questi vincoli politici e condizionato dalla necessità di rientrare al più presto dalla procedura di infrazione europea (una decisione che valutiamo positivamente), il governo abbia dovuto fare un po’ le nozze con i fichi secchi.
Vedremo se riuscirà davvero a tagliare la spesa pubblica nella misura prevista e con quali conseguenze sui servizi offerti ai cittadini.
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Savino
Mettendo insieme: la proroga delle mance promesse nel tempo da mantenere, i vincoli del nuovo patto di stabilità ed il rientro dalla procedura d’infrazione, la necessità di rilanciare la crescita, le necessità di armonizzazione tributaria, la necessità di redistribuire la ricchezza tra le varie fasce di popolazione, la consistenza di una legge di bilancio tale da far muovere l’economia sarebbe dovuta essere anche di 55-60 mld. e oltre e la coperta sarebbe dovuta essere ancor più corta, soprattutto perchè di determinate coperture, per ragioni ben precise, si ignora totalmente l’esistenza. Vogliamo parlare della spesa pubblica, della ferocia con cui si fanno scriteriati tagli lineari e della timidezza che si manifesta nel togliere il grasso che cola nello Stato e negli Enti pubblici? Vogliamo parlare della gestione del gettito, con i soli lavoratori dipendenti e pensionati effettivi contribuenti IRPEF, nonchè destinatari finali dell’IVA e delle accisse (ancora aumentate) e di ogni ricarico nel commercio in qualità di consumatori?
francesco mario
La matematica per questi politici è una opinione, tanto meno la chimica fisica che esprime con una celebre legge di Gibbs l’equilibrio in un sistema eterogeneo……come è il nostro sistema fiscale.
Nessun politicante, non statista, vuole inimicarsi il bacino degli elettori quindi continuiamo a veleggiare a vista. Sono necessari interventi seri, non di facciata inconcludenti come il flop delconcordato preventivo. Sono un mantra le azioni possibili, adeguamento dei canoni dei beni demaniali, revisione del catasto, incremento dell’uso della moneta elettronica per tutte le spese superiori a 500€ riduzione generale dell’uso del contante, introduzione della detrazione per le spese di manutenzione ordinaria, introduzione del 38 % della detrazione per le spese sanitarie, aumento delle accise del tabacco adeguandole ai livelli dei paesi confinanti, introduzione della tassazione di scopo per alcool, zuccheri e grassi, introduzione della tassazione prima casa con esenzione fino ad una certa fascia di valore dell’immobile ( o inserimento nella dichiarazione dei redditi) , introduzione di un contributo fisso per l’accesso al PS senza ricovero, aumento delle sanzioni del CdS per l’uso di stupefacenti e sostanze alcoliche, aumento delle sanzioni per chi danneggia i beni pubblici ( alternativa pene con attività sociali per rifondere i danni),riordino delle accise( vincite in denaro,cedolare secca, capital gain),informatizzazione spinta dei servizi amministrativi e, soprattutto, realizzazione di opere strategiche.Il ponte di Messina non è strategico, ma in modo pragmatico lo sono il raddoppio del tratto ferroviario Andora Finale Ligure, il prolungamento della line 5 della MM di Milano, il completamento della metropolitana a Roma, la prosecuzione dell’alta velocità tra Salerno e Reggio Calabria, la gronda di Genova,il rinnovo del tratto ferroviario Bologna Taranto,la rioganizzazione ferroviaria in Sicilia e Sardegna,la manutenzione ed adeguamento degli acquedotti, degli imppinati di depurazione delle acque reflue e di gestione dei rifiuti domestici. Poi gli adeguamenti degli stipendi delle forze dell’ordine, dei medici e degli insegnanti…..sono tutte situazioni che renderebbero le notti insonni ad uno statista, ma non ad un politico.
Enrico
Sono stupito dall’uso degli “effetti di retroazione” sul PIL come forma di copertura delle uscite. A rigore, l’art. 17 della legge 196/2009 fornisce un elenco tassativo delle forme di copertura compatibili con il principio di pareggio di bilancio e la “retroazione” non è prevista (altrimenti il superbonus edilizio sarebbe stato un affare). Tantomeno è prevista una copertura tramite il prestito concesso dalle banche, che oltre tutto presenta aspetti statistici analoghi al vituperato superbonus (sono crediti fiscali sicuramente pagabili e quindi incidono sul disavanzo dell’anno in cui sorgono, annullando le maggiori entrate!). Quindi la RGS non potrebbe “bollinare” un simile provvedimento. Vedremo se i numerosi organi di controllo faranno passare queste evidenti forzatura. Penso tutto il male possibile del pareggio di bilancio e della 196 (che sulle coperture è perfino più restrittiva della analoga legge tedesca), ma credo che le leggi vadano rispettate fino a quando non vengono modificate.