Un ricorso della Regione Campania ha permesso alla Corte costituzionale di riaffermare la natura “costituzionalmente necessaria” della spesa sanitaria. Ma una gerarchia imposta tra voci di spesa rimane problematica. E qual è il livello “incomprimibile”?
L’obbligo di contribuzione da parte delle regioni
La sentenza della Corte costituzionale 195/2024 trae origine dal ricorso della regione Campania contro la legge di bilancio dello stato 2023. Il contenzioso riguarda una norma che obbliga le regioni a versare un contributo allo stato per esigenze di contenimento della spesa pubblica. Qualora le regioni non trovino un accordo sul riparto, la legge ha stabilito come criterio la “proporzione agli impegni di spesa corrente risultanti dal rendiconto generale regionale al netto delle spese relative alla Missione 12, Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, e alla Missione 13, Tutela della salute”. In caso di mancato versamento, lo Stato si rivale trattenendo le risorse “a qualsiasi titolo spettanti” alle regioni inadempienti. Quindi può applicare una “ritenuta” anche sulla quota di finanziamento al Fabbisogno sanitario nazionale standard (sull’ammontare del Fsns rinviamo ad un recente contributo su questa testata).
Il ricorso della regione Campania e la risposta della Corte costituzionale
La regione Campania, già sottoposta al piano di rientro dal disavanzo sanitario, ha contestato la norma, evidenziando la sua invasività rispetto all’autonomia finanziaria regionale. Ha inoltre criticato la mancata esclusione della spesa sanitaria e per diritti sociali dal meccanismo di recupero coattivo dello stato.
La Corte ha respinto molte delle censure, sottolineando che:
- lo stato può adottare norme puntuali sui limiti di spesa (ad esempio, tetti massimi) in materia di coordinamento della finanza pubblica;
- il meccanismo sanzionatorio incide sui trasferimenti statali, non sui gettiti derivanti dai tributi regionali, perché il federalismo fiscale previsto dal decreto legislativo 68/2011 è tuttora inattuato;
- l’essere sottoposta al piano di rientro non esonera automaticamente la regione dal dovere di contribuire alle finanze pubbliche statali, in virtù del principio di responsabilità finanziaria.
Le missioni di spesa sulla tutela della salute e sulle politiche sociali
La Corte accoglie invece una particolare obiezione della Regione Campania. Siccome la legge di bilancio ha optato per un criterio di compartecipazione che esclude dal calcolo le politiche sociali e la sanità (missioni M12 e M13), è incoerente non replicare il medesimo criterio sulle “ritenute” da applicare alle regioni (eventualmente) inadempienti. In altre parole, il legislatore ha disegnato il criterio originario in modo ragionevole, ma si è scordato di trarne le conseguenze sulla parte sanzionatoria, producendo una contraddizione che viola l’articolo 3 della Costituzione. La Corte ha poi ribadito che la garanzia dei diritti incomprimibili incide sul bilancio, e non viceversa, e che la spesa sanitaria ha carattere prioritario sulle altre spese a carattere indifferenziato.
Gerarchia fra diritti uguale gerarchia tra voci di spesa?
Le conclusioni della Corte, non nuove nella sua giurisprudenza, presentano alcune criticità.
Quando infatti un diritto sociale (per definizione, finanziariamente condizionato) è considerato incomprimibile, si impone implicitamente una gerarchia tra voci di spesa pubblica, sottraendo margini di decisione al legislatore. E si irrigidisce la teoria del bilanciamento tra principi costituzionali, secondo cui i diritti vanno reciprocamente integrati fra di loro e nessuno può “tiranneggiare” sugli altri (esemplare la prima sentenza sul caso dell’Ilva di Taranto, 85/2013).
La garanzia del finanziamento e il rischio di inefficienza
In secondo luogo, quando si ammettesse un vincolo costituzionale sull’erogazione di un diritto sociale, la logica vorrebbe il vincolo sull’output, cioè sulla prestazione sanitaria erogata. Non sui fattori di produzione, la cui combinazione può generare diversi risultati di efficienza (rinviamo a un articolo su questa testata, che ha preceduto la pubblicazione degli ultimi risultati sulla valutazione dei livelli essenziali di assistenza, i Lea).
La garanzia di un finanziamento minimo è problematica in termini di responsabilità sull’uso delle risorse pubbliche dell’ente regione, perché potrebbe riportare al problema del “soft budget costraint” (o “vincolo di bilancio soffice”, tema particolarmente studiato in sanità), soprattutto in assenza di un’effettiva autonomia di entrata delle regioni ai sensi dell’art. 119 Cost. Peraltro, come osserva l’Ufficio parlamentare di bilancio, i costi medi standard per ognuno dei tre livelli di assistenza sanitaria — calcolati come media ponderata dei costi delle regioni benchmark, e comunque discutibili come nozione di standard — sono tuttora ininfluenti sulla ripartizione del Fsns, in particolare sulla quota del finanziamento indistinto destinato alle regioni.
La spesa sanitaria non è solo finanziamento dei Lea
Dai bilanci consuntivi della Regione Campania emerge che la missione di spesa sulla tutela della salute (M13) contiene solo un programma di spesa corrente rivolto al finanziamento dei Lea. Negli altri c’è il finanziamento aggiuntivo corrente per livelli di assistenza superiori ai Lea (programma 2) e ulteriori spese in materia sanitaria (programma 7). La domanda è se anche queste spese siano costituzionalmente differenziate, e dunque necessarie.
Nella recente pronuncia sul regionalismo differenziato (192/2024), la Corte è tornata a ricordare la distinzione tra nucleo minimo di un diritto, che deve essere finanziato a prescindere, e livello essenziale (Lea/Lep), che deve essere finanziato nella misura in cui lo stato l’abbia preventivamente individuato. Nel nostro caso, se tutte le spese legate alla salute fossero già ricondotte al nucleo minimo, ciò rischierebbe di sovrapporsi o entrare in conflitto con la specifica determinazione dei Lea, rendendola perlopiù irrilevante.
Decide il policy maker o la Costituzione?
Che la quota di spesa sanitaria (12 per cento) sul totale della spesa pubblica italiana sia inferiore alla media dei paesi Ocse (15 per cento), e di gran lunga più bassa rispetto ai principali partner europei (Germania e Regno Unito 20 per cento; Francia 16 per cento; Spagna 15 per cento), è un dato acquisito. Probabilmente anche per questa ragione la legge di bilancio 2023 ha optato per un criterio di ripartizione (residuale) che escludesse dalla “tagliola” – o meglio, dalla base di calcolo per l’ammontare del contributo – la sanità (e le politiche sociali regionali, che meriterebbero un discorso a parte). Ma un conto è che venga stabilito dal decisore politico, altro conto è che venga avanzata una gerarchia costituzionale tra voci di spesa, oltretutto alimentate da una “finanza derivata” che, come ricorda la Corte stessa, è difficilmente compatibile con l’autonomia finanziaria di cui all’art. 119 Cost. e con l’attuazione del federalismo fiscale.
* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire all’autore e non investono la responsabilità dell’istituzione di appartenenza.
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