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Spesa sanitaria tra pubblico e privato

In Lazio e Lombardia le aziende sanitarie pubbliche ricevono una quota rilevante di contributi regionali che non corrispondono né a prestazioni né a funzioni di ricerca. Senza il privato, la spesa sanitaria di entrambe sarebbe presumibilmente più alta.

Il ruolo della sanità privata

Nelle ultime settimane, l’organizzazione del servizio sanitario nazionale ha suscitato un vasto dibattito pubblico, sia per l’approssimarsi delle elezioni regionali in Lazio e Lombardia (12-13 febbraio), sia per l’approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, dello schema di disegno di legge sull’autonomia differenziata. Monica Montella e Franco Mostacci vi hanno contribuito con un articolo su lavoce.info, in cui mostrano che Lombardia e Lazio destinano una quota rilevante del finanziamento pubblico per il Ssn per acquistare prestazioni offerte da soggetti privati. Tuttavia, argomentano che ciò non necessariamente si traduce in una maggiore efficienza e, per farlo, chiamano in causa i dati sui Lea (livelli essenziali di assistenza).

Innanzitutto, è bene ricordare che stiamo parlando di un settore estremamente regolamentato, in cui le differenze tra soggetti pubblici e privati sono più limitate che in altri casi. Da un lato, i privati hanno benefici altrove inesistenti: conoscono in anticipo e con certezza gran parte dei loro ricavi, grazie al riconoscimento dei budget da parte dell’amministrazione. Dall’altro lato, almeno in principio, a seguito del processo di “aziendalizzazione” del 1992, i soggetti pubblici dovrebbero essere molto simili a aziende e dunque i ricavi da prestazioni (beni e servizi erogati e remunerati in base a Drg e ticket sanitari) dovrebbero coprirne i costi di gestione. Non a caso si parla di aziende ospedaliere. Rimane certamente una sostanziale differenza, ovvero quella per cui un’azienda privata difficilmente può sottrarsi alla regola del dover far quadrare i conti. Il rischio fallimento è più concreto che nel caso delle aziende pubbliche, su cui garantiscono le casse pubbliche. Riprenderemo questo punto nell’analisi che segue, ma è bene riconoscere che la mera distinzione tra pubblico e privato e la maggiore o minore presenza dell’uno o dell’altro possono comunque rivelarsi poco utili nel tentativo di spiegare risultati diversi tra sistema e sistema: i medesimi livelli di efficacia ed efficienza possono essere raggiunti attraverso diversi mix tra pubblico e privato e differenti scelte organizzative. Non a caso, proprio dai grafici mostrati da Montella e Mostacci, non sembra esserci una correlazione chiara tra spesa su privati e punteggi Lea. Le uniche due regioni in cui i punteggi Lea non raggiungono nemmeno il livello che il ministero della Salute definisce da “adempienti” sono Calabria e Sardegna, dove il privato non è granché rilevante. Le drammatiche differenze tra sistemi sanitari sembrano avere spiegazioni più profonde, legate anche a dinamiche storiche e culturali che separano nettamente le regioni del Sud da quelle del Centro-Nord.

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I bilanci delle aziende ospedaliere in Lazio e Lombardia

Ma concentriamoci su Lombardia e Lazio e sulla pratica di acquistare prestazioni da privati attraverso la spesa sanitaria pubblica. I punteggi Lea sono utili a studiare l’efficacia dei sistemi sanitari, più che la loro efficienza. Le due cose non sono del tutto separate e separabili, ma per meglio focalizzarsi sulla seconda, la domanda da porsi è se la gestione diretta dell’erogazione di prestazioni costi più o meno dell’acquisto delle medesime prestazioni dai privati. In altri termini, è necessario costruire un controfattuale e chiedersi: se il privato avesse un ruolo meno importante all’interno di quegli specifici sistemi, a parità di efficacia (cioè di Lea) la spesa complessiva sarebbe maggiore o minore? Per tentare di dare una risposta, si possono analizzare i dati dei conti economici delle aziende ospedaliere pubbliche. Il costo dell’acquisto di prestazioni da privato è determinato dalle remunerazioni stabilite per mezzo dei Drg, che sono uguali per tutti gli erogatori, oltre ai contributi che anche gli erogatori privati ricevono dalle regioni (per esempio per svolgere alcune specifiche funzioni o per la ricerca). Analizzando i bilanci delle aziende ospedaliere pubbliche, si può tentare di capire se quei medesimi ricavi siano sufficienti a coprirne i costi di gestione. In caso contrario, potrebbero apparire buchi di bilancio che le regioni sarebbero poi costrette a coprire spendendo risorse aggiuntive. Un’azienda privata che non riuscisse a coprire i costi con i propri ricavi rischierebbe il fallimento, mentre per un’azienda ospedaliera pubblica nelle stesse condizioni va solo ricercata un’altra copertura.

L’Archivio banca dati economico-finanziari regionali pubblica conti economici di tutte le aziende sanitarie nelle regioni. La Lombardia è l’unica regione in cui le funzioni di erogazione e finanziamento delle prestazioni sono nettamente separate tra aziende ospedaliere e agenzie di tutela della salute (Ats), per cui è possibile analizzare i bilanci di 32 aziende ospedaliere (tra Irccs e aziende socio-sanitarie territoriali). In Lazio, molti presidi ospedalieri sono a gestione diretta delle Asl, per cui sono solo sette le aziende ospedaliere autonome il cui conto economico viene pubblicato. Si tratta di un punto a favore della Lombardia, unica su tutto il territorio italiano, in termini di trasparenza. Ma questa è un’altra storia.

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I ricavi da contributi regionali che non trovano un legame diretto né con le prestazioni erogate né con alcuna funzione di ricerca e non di ricerca, in media, pesano per il 19,7 per cento dei costi nel caso delle 32 aziende ospedaliere della Lombardia, che per costruzione chiudono in pareggio. In Lazio, questi pesano per il 4,7 per cento. Tuttavia, le aziende ospedaliere del Lazio sono sistematicamente in rosso, con una perdita media pari al 17,9 per cento dei costi di gestione. In sintesi, dunque, le risorse aggiuntive necessarie a coprire la gestione di queste strutture pubbliche sono pari, in media, al 22,6 per cento dei costi in Lazio e al 19,7 per cento in Lombardia. A parità di condizioni, in assenza del contributo privato la spesa sanitaria delle due regioni sarebbe dunque presumibilmente maggiore, e l’efficienza inferiore.

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  1. Savino

    Le cure sono ormai un lusso dietro l’esborso, di tasca propria, dei privati cittadini. I manager della sanità convenzionata con la complicità di alcuni primari pensionati stanno facendo business. La sanità pubblica versa in una situazione disastrosa, però si ha la presunzione di criticare il meccanismo del MES, i cui fondi servirebbero urgentemente. Ai politici in Lombardia piace solo la torta golosa dell’autonomia differenziata, ma la sanità strettamente territoriale su quei territori che sono stati colpiti gravemente dal covid ( province di Bergamo, Brescia, Lodi ecc) è evanescente e lasciata spesso alla buona volontà dei singoli. Si spera più volte che non ci debba capitare un altro fenomeno come una pandemia. Sarebbe letale per un sistema sanitario già in tilt.

  2. Paolo

    Il ragionamento dell’articolo sottintende il presupposto che i DRG che pagano i LEA siano equamente remunerativi in tutti i casi, ma purtroppo così non è: alcuni DRG sono più remunerativi di altri rispetto alle spese, ed è su questi che si concentrano (comprensibilmente) i privati.
    Perciò la maggior presenza di privato (soprattutto se non viene adeguatamente controllata dal pubblico, mediante accordi preventivi sulla quantità di prestazioni da erogare) depaupera le aziende pubbliche dalla possibilità di acquisire i DRG più remunerativi, e contribuisce ad ampliarne il deficit.
    i motivi per cui l’elenco dei DRG non viene aggiornato con maggiore frequenza correggendone le storture sfuggono alla logica, anche se forse non all’intuito.

    • Francesco

      Senza controlli seri da parte pubblica, nei confronti dei privati accreditati si incrementa la mala gestio. Un esempio banale: una litotrissia che normalmente può essere fatta in day hospital spesso viene effettuata ( in strutture accreditate) in anestesia totale con notevoli aggravi dei costi……

  3. Umberto

    .”…in sintesi, dunque, le risorse aggiuntive necessarie a coprire la gestione di queste strutture pubbliche sono pari, in media, al 22,6 per cento dei costi in Lazio e al 19,7 per cento in Lombardia…”

    E queste risorse cosa vanno a coprire nel dettaglio ?
    ( il 19.7 % mica sono noccioline )…

    Grazie

  4. Paolo Zappavigna

    E’ largamente riconosciuto il fatto che il settore privato assume le prestazioni più remunerative lasciando al pubblico quelle più costose. Occorrerebbe una ricerca che valutasse questi aspetti.

    • Carlo Monti

      Remunerazione e costi sono cose diverse: puoi avere un margine soddisfacente con un servizio a costi maggiori di altri ove vai in perdita. Il punto è di non essere in perdita sullo spettro dei servizi offerti; è su questo aspetto che vanno valutati i sistemi sanitari, specie quelli con bassa presenza dei privati.

  5. Fabio Botto

    Seguo il filo gli autori per tutto l’articolo ma mi lascia perplessa la conclusione a cui giungono, date tutte le premesse.

    “I ricavi da contributi regionali che non trovano un legame diretto né con le prestazioni erogate né con alcuna funzione di ricerca e non di ricerca” sono l’equivalente di un costo fisso. Tutte le eventuali maggiori prestazioni erogate dalle azienda sanitarie andrebbero ad incrementare l’ammontare dei loro ricavi e in proporzione del loro margine. Quindi questo genere di contributi andrebbero perlomeno a diminuire in termini percentuali, se non addirittura in termini assoluti data la maggior copertura dei costi grazie ai margini aggiuntivi.

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