Negli ultimi anni c’è stato un aumento significativo della spesa in contributi pubblici alle imprese, dovuto alla pandemia e alla crisi energetica. Un’analisi accurata della loro destinazione può servire a indirizzarli in modo più efficace, ora e in futuro.
Un sostegno alle imprese in crisi di liquidità
L’ammontare dei contributi pubblici erogati complessivamente in favore delle imprese non è di facile misurazione. Per il sottoinsieme degli aiuti di stato, ovvero quelli attribuiti selettivamente a talune imprese o settori (vedi l’articolo 107(1) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), esistono tuttavia informazioni dettagliate dal Registro nazionale sugli aiuti di stato (Rna), istituito per adempiere agli obblighi di trasparenza introdotti a livello europeo nel 2012.
Le modalità con cui lo stato fornisce risorse alle imprese sono molteplici: agevolazioni fiscali/crediti d’imposta, sussidi, forme di credito agevolato o garanzie. Il sottoinsieme degli aiuti a fondo perduto ha assorbito in media 13,7 miliardi all’anno nel 2020-2023 (0,7 per cento punti di Pil), contro una media di 5,4 miliardi all’anno nel 2018-2019 (0,3 per cento punti di Pil). Gli aiuti a carattere emergenziale, ovvero quelli concessi grazie all’approvazione dello State Aid Temporary Framework nel marzo 2020 e alla successiva sua proroga, hanno assorbito circa il 30 per cento della spesa nel 2018-2023.
Le motivazioni dietro l’aumento dei contributi alle imprese nel secondo triennio sono tante. In una prima fase, ha prevalso l’esigenza di fornire sostegno alle imprese in crisi di liquidità a causa della pandemia o a seguito dello scoppio della guerra in Ucraina, approfittando dell’introduzione del regime derogatorio dello State Aid Temporary Framework nel 2020. Successivamente, anche in connessione con le tensioni geopolitiche crescenti, è aumentata l’attenzione nei confronti di politiche di sostegno a talune imprese o settori considerati strategici (“politiche industriali”, vedi per esempio qui e qui).
Chi sono i destinatari
Per fare luce sul fenomeno in generale, i dati sugli aiuti individuali possono essere incrociati con quelli relativi ai bilanci delle società di capitali italiane (Cerved) e le informazioni anagrafiche contenute in InfoCamere. Ne emerge un sostanziale cambiamento nelle caratteristiche dei destinatari degli aiuti a fondo perduto innescato dagli anni della pandemia.
In primo luogo, si è assistita a una marcata polarizzazione. Se da una parte sono aumentati gli aiuti concessi alle imprese di piccole e medie dimensioni, dall’altra è cresciuta anche la quota assorbita dalle grandi imprese. Nel 2020-2023 alle società di persone e alle imprese individuali è andato quasi il 40 per cento delle risorse stanziate a titolo di emergenza, contro circa il 23 per cento degli aiuti ordinari erogati durante il periodo pre-pandemia. È un andamento che si spiega in larga misura con i contributi a fondo perduto concessi a piccole imprese e lavoratori autonomi titolari di partita Iva durante il Covid. Contestualmente, è cresciuta la quota di aiuti a carattere ordinario assorbita dalle imprese con più di 250 addetti, passata dal 13,7 per cento del 2018-2019 al 31,2 per cento del 2020-2023. Sono qui determinanti alcune misure, come per esempio i trasferimenti in relazione al Piano Italia a un giga, di cui hanno beneficiato soprattutto le grandi aziende operanti nel settore delle telecomunicazioni.
In secondo luogo, la distribuzione degli aiuti è cambiata anche in termini settoriali. In linea con la ratio di dare sostegno alla liquidità delle imprese più colpite dagli shock esterni della pandemia prima e della guerra in Ucraina poi, gli aiuti a carattere emergenziale concessi nel 2020-2023 hanno beneficiato, per una percentuale quasi raddoppiata rispetto al 2018-2019, i servizi non knowledge intensive (cioè commercio, alloggio e ristorazione, trasporto e magazzinaggio). Il settore manifatturiero ha goduto di più delle misure di sostegno varate dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. L’aumento di risorse a carattere ordinario concesse a partire dal 2020 a imprese operanti nel ramo delle utilities e dei servizi ad alta intensità tecnologica e di conoscenza sembrerebbe invece indicare l’affacciarsi di una logica di politica industriale che mira a sostenere la transizione green e digitale del paese (tavola 1).
Malgrado a cavallo delle due emergenze sia cambiata la distribuzione degli aiuti, è rimasta costante la presenza di imprese che beneficia, anche nello stesso anno, di diversi sostegni, talvolta afferenti alla stessa classe di obiettivi. Ad esempio, è vero che la maggior parte delle imprese beneficiarie ha ricevuto soltanto un aiuto nel periodo 2018-2023, ma il top 1 per cento risulta averne avuti fino a 12. Ci sarebbe quindi un certo margine di razionalizzazione delle misure esistenti.
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Savino
In Italia esiste un po’ un giro dei soliti percettori di contributi pubblici a pioggia e con vuoto a perdere, pur cambiando la denominazione e cambiando la tipologia di emergenza che fa sorgere il sussidio. Più che una razionalizzazione è auspicabile che lo Stato (e chi opera nell’ambito delle politiche pubbliche) comici ad usare raziocinio e razionalità, ovverosia la “zucca”.