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Il Liberation Day aggrava la guerra commerciale

Trump si disinteressa totalmente delle conseguenze immediate dei dazi imposti praticamente a tutti i paesi del mondo. Il fine ultimo di una strategia che prevede di negoziare accordi bilaterali con i partner commerciali è riportare a casa la manifattura.

La guerra commerciale è in atto

In quello che è stato battezzato Liberation Day, mercoledì 2 aprile il presidente Usa Donald Trump ha mollato le briglie di una guerra commerciale già in corsa, e che ora rischia di andare fuori controllo verso territori sconosciuti. Infatti, la batteria di dazi introdotti su moltissimi paesi del mondo – quelli “nemici” ma anche gli alleati, paesi ad alto reddito ma pure paesi poverissimi – è così vasta e imponente da indurre inevitabili contromisure ritorsive adeguate da parte di molti dei paesi colpiti. Ed è proprio la volontà di innescare un’escalation che differenzia questo round di dazi da quelli già in essere: “liberarsi” dalle regole multilateralmente condivise a favore del libero scambio. Dal 2018, invece, l’obiettivo dichiarato era stato, più modestamente, quello di riequilibrare lo squilibrio commerciale degli Stati Uniti, che registrano un forte saldo negativo negli scambi di merci con il resto del mondo: 1210 miliardi di dollari nel 2024, con un avanzo commerciale per la parte dei servizi di 293 miliardi di dollari, per un disavanzo commerciale complessivo di 926 miliardi di dollari, in aumento rispetto ai 773 del 2023.

Poiché i dazi già in vigore prima del 2 aprile non avevano sortito l’effetto desiderato, per lo meno non in misura rilevante, Trump ha deciso non soltanto di aumentare di molto le percentuali di imposte sulle importazioni, ma anche di estendere le tariffe a una platea di paesi che di fatto corrisponde a tutto il mondo, con percentuali più elevate per i paesi del Sudest asiatico (soprattutto Vietnam e Cambogia), che dal 2018 avevano “ereditato” dalla Cina parte delle attività produttive volte all’export, proprio per evitare i dazi allora imposti soltanto sulle esportazioni cinesi.

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Riportare a casa la manifattura

Oggi, dazi minimi per tutti ed elevati per i principali esportatori verso gli Stati Uniti hanno lo scopo di disincentivare totalmente la produzione estera da parte delle imprese statunitensi, così come di tutte le imprese estere che vogliono vendere negli Usa. L’obiettivo è riportare “a casa” la manifattura, per ricreare i posti di lavoro necessari ad assorbire la disoccupazione. 

Perciò Trump è rimasto imperterrito di fronte alle conseguenze immediate dei suoi annunci: mercati borsistici sono in caduta libera – 2.400 milioni di dollari di valore di mercato persi dallo S&P 500, la cifra più alta dai tempi delle chiusure legate al Covid-19 – al punto che il primo ministro canadese ha definito la situazione una “tragedia”, annunciando contromisure proprio mentre il mercato azionario crollava. Poi ci sono le minacce di ritorsioni commerciali da parte della Cina, dell’Ue, del Canada; il suggerimento del presidente francese Macron di spingere i paesi dell’Ue a smettere di investire negli Stati Uniti; avvertimenti da parte di economisti sugli effetti devastanti dei dazi verso i paesi più poveri, il cui unico sostentamento sono le peraltro limitate esportazioni verso gli Stati Uniti; calcoli frettolosi da parte degli analisti sull’aumento del costo degli iPhone, delle scarpe da ginnastica e persino dei prodotti a base di cannabis.

Sebbene siano tutt’altro che chiari i presunti calcoli che hanno motivato il range di percentuali applicate, i dazi sui beni importati variano apparentemente in base all’ammontare del disavanzo bilaterale con gli Stati Uniti. Tutti i partner commerciali degli Usa fronteggeranno dazi minimi del 10 per cento, mentre le percentuali diventano più alte per quelli che il presidente ha etichettato come “worst offenders”, cioè i paesi che la Casa Bianca ritiene ingiusti nelle proprie politiche commerciali verso gli Usa. In questa logica, i dazi applicati ai maggiori partner commerciali degli Stati Uniti raggiungono il 54 per cento per la Cina, il 20 per cento per l’Ue, il 24 per cento per il Giappone. L’eccezione – significativa – riguarda solo Canada e Messico, per ora esenti dai dazi reciproci ma soggetti a quelli selettivi del 25 per cento su alcuni beni come già annunciato nei giorni scorsi. I due paesi fanno eccezione in quanto partner degli Stati Uniti nel Usmca (United States Mexico Canada Agreement), il nome che dal 1° luglio 2020 ha assunto il Nafta (North American Free Trade Agreement), l’area di libero scambio in vigore dal 1° gennaio 1994 che ha reso il Nord America un pioniere nella regionalizzazione delle filiere manifatturiere.

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La strategia di Trump si basa sulla convinzione che l’imposizione di tariffe più elevate sulle importazioni spingerà le aziende a produrre negli Stati Uniti, favorendo l’occupazione e la crescita. Secondo i consulenti politici del presidente, si tratta di una strategia a lungo termine che si scontra con una finestra di (in)successo a breve termine, e che alcuni repubblicani al Congresso hanno messo giustamente in discussione. Trump, che giovedì si è recato a un torneo di golf in uno dei suoi resort in Florida, ha dichiarato di non essere preoccupato e di essere aperto ai negoziati con i paesi che lo vorranno, in barba a tutti i trattati internazionali. Ha detto: “I mercati stanno andando a gonfie vele, le azioni stanno andando a gonfie vele, il paese sta andando a gonfie vele e il resto del mondo vuole vedere se c’è un modo per fare un accordo”.

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Il Punto

  1. Alexx

    Non si può nascondere che a tanti vengono dei seri dubbi sulle “condizioni” del presidente Trump! D’altra parte, dopo aver creato problemi incredibili a livello globale per miliardi di persone, se ne va incurante sui suoi campi da golf!!
    Che dire?!…Beato lui!

  2. Savino

    Trump e’ l’ esempio negativo di una classe dirigente ignorante in economia, premesso che il concetto di economia non coincide con quello di fortuna personale. Voglio provare ad interpretarlo. Egli, forse, vorrebbe dire che nell’economia odierna, in America in Europa e altrove, deve tornare la manifattura, si deve ripassare necessariamente per la trasformazione della materia e la produzione di beni. Voglio provare a credere che i dazi rappresentino una sveglia in questo senso, ma dico, Benedetto Iddio, ci si poteva esprimere in altro modo, con meno aggressivita’ senza creare il panico nel mondo!

  3. Carmine Meoli

    Squilibri strutturali , anche mitigati da royalties e, dividenti e interessi , non posso essere ignorati .
    Abbiamo un problema domestico per imprese che esportano in America e per potenziali dirottamenti in Europa di prodotti fino a ieri esportati in America! Non può essere ignorato poi l’impatto su valute e tassi di interesse che rende no assai complessa una strategia .
    Gli Stati Uniti hanno un basso tasso di disoccupazione per cui l’obiettivo di reshoring senza un incremento degli attivi peraltro con in Italia assai inferiori alla media OCSE – avrà la conseguenza un aumento dei salari o di immigrati che vanifica le l beneficio dei dazi .
    Il punto quindi è quello di definire una strategia UE flessibile ma attenta alle opportunità oltre che a scongiurare i rischi di guai peggiori consapevoli che senza multilateralismo i rischi possono prevalere .

  4. Enrico

    Mi chiedo quali siano gli obiettivi degli Usa e quelli personali di Trump. È abbastanza chiaro da tempo che gli USA non reggono la concorrenza internazionale su quasi tutti i settori industriali, ma rifugiarsi nell’autarchia è impraticabile perché sarebbe necessario riportare in casa intere catene del valore e non solo singole imprese (p.es. tutta la componentistica nel caso dell’automotive) con perdite di efficienza spaventose. Inoltre la reindustrializzazione richiederebbe una forza lavoro molto maggiore di quella disponibile, che è già utilizzata quasi al massimo, come testimoniano i bassi tassi di disoccupazione. Infine la carenza strutturale di risparmio negli USA richiede investimenti esteri giganteschi per sostenere la ristrutturazione del sistema produttivo. Tuttavia il protezionismo intralcia anche l’attività dei grandi fondi di investimento USA, che hanno bisogno anche dei movimenti di capitale legati al commercio internazionale per operare. Gli obiettivi personali di Trump sono anche più contraddittori. Essendo un immobiliarista ed uno speculatore non vedo cosa avrebbe da guadagnare da un mercato più ristretto a causa dell’autarchia. Inoltre la sua base elettorale sarà colpita duramente dall’inflazione generata dal protezionismo. Insomma, per usare la categorizzazione di Carlo Cipolla, tutta questa operazione sembra apparentemente concepita da un gruppo di banditi/stupidi, che fanno male agli altri e a se stessi. Qualcuno ha delle spiegazioni alternative?

  5. Pietro Della Casa

    Alla fin fine si tratta di accelerare un porcesso di correzione della globalizzazione comunque in corso ed inevitabile. Ricordo che politicamente l’ultima fase di globalizzazione è nata dopo il crollo dell’URSS per fare di tutto il mondo un mondo capitalista e “quindi” (nella logica del tempo) anche democratico. Essa ha reso possibile lo sviluppo economico di vaste aree del mondo, soprattutto in Asia, ma ha anche creato un’evidente situazione di relativa debolezza dell’occidente, con riduzione delle capacità industriali e tecnologiche accompagnate ad un incremento delle disuguaglianze sociali interne alle singole nazioni. Quanto all’esportazione della democrazia diciamo che i risultati ottenuti hanno ampi margini di miglioramento.
    I modi di Trump saranno anche da età della pietra e si possono legittimamente nutrire dubbi sulla sua lucidità mentale, ma in fondo è solo un attore di una storia scritta dalla necessità storica.

  6. bob

    Nessuno sottolinea la posizione attendista e silenziosa della Cina. Nessun clamore , nessun proclama, zero chiacchiere e tanta sostanza. Per carità tutto criticabile ma alla luce della “porcheria americana” rischia di passare per un paese democratico.
    la Cina unico Continente che alimenta e “produce” classe media, altrove distrutta da politiche folli. In una democrazia la ” classe media” è il collante , l’albero di trasmissione che la sostiene nel tempo.
    Gli USA il paese della pena di morte, degli homeless. del conflitto d’ interesse vergognoso oltre che oltraggioso, della pistola eternamente appesa alla cintola è ancora un “paese democratico”??

  7. Carmine Meplk

    Negli anni 90 per alimentare i propri concessionari di automobili in grado di competere con le Mercedes , le BNW , le Lexus e le Infiniti , GM e Chrysler decisero di produrre in italia due modelli Allante e TC presso Pininfarina e Masareti ( nei piani di assumeva un valore del dollaro pari a 1.740 lire ) . Una imprevista drastica svalutazione del dollaro rese le due vetture non più vendibili ai target e nei volumi previsti , facendo cancellare i programmi ! BNW e Mercedes dettero corso a produzioni in USA ( mod SLK e Z3 ) e i giapponesi dirottarono anzi tempo in. Europa la Lexus e là Infiniti ! La storia si ripeterà ?

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