Le direttive europee su appalti e concessioni hanno dato flessibilità e strumenti nuovi alle stazioni appaltanti, oltre a spingerle a adottare criteri ambientali e sociali. La loro attuazione è però disomogenea. Ecco i punti sui quali intervenire.
La consultazione
A dicembre 2024, la Commissione europea ha avviato una consultazione sul livello di efficacia e adeguatezza delle direttive 2014/23/Ue, 2014/24/Ue e 2014/25/Ue sugli appalti pubblici e le concessioni. L’obiettivo è raccogliere dati, opinioni e riscontri per poi formulare una proposta di revisione del quadro normativo, orientata alla modernizzazione e semplificazione, specie nei settori strategici, tecnologici e dell’innovazione. La Commissione ha perciò predisposto un questionario online aperto a operatori, autorità, parti sociali e individui, che contiene oltre cinquanta quesiti a risposta multipla predefinita e con la possibilità di commenti liberi. La consultazione si è conclusa il 7 marzo 2025, i risultati verranno presentati entro settembre ed entro la fine del 2025 è attesa la proposta di revisione delle direttive.
L’Osservatorio di Diritto comunitario e nazionale sugli appalti pubblici dell’Università di Trento si è attivato per partecipare alla consultazione portando l’opinione di diversi attori, tutti coinvolti a vario titolo nel mercato dei contratti pubblici. Per farlo, è stato individuato un campione di cento figure altamente qualificate invitate a compilare un questionario, anonimo, in tutto simile a quello europeo. All’invito hanno risposto 47 partecipanti ripartiti tra quattro categorie (15 per cento accademici e magistrati; 40 per cento avvocati, ingegneri e altri professionisti; 36 per cento funzionari di stazioni appaltanti; 9 per cento operatori economici). I risultati, confluiti nella consultazione della Commissione, esprimono l’opinione emersa in via maggioritaria dalle risposte ricevute.
Un quadro di luci ed ombre
Sulla base delle risposte è stato infatti predisposto un Report che descrive i punti salienti delle posizioni espresse, articolato per ambiti tematici. Emerge un quadro di luci e ombre: le direttive hanno accresciuto la consapevolezza dell’importanza di criteri strategici (ambientali, sociali, innovativi) e hanno offerto alle stazioni appaltanti flessibilità e strumenti nuovi. Tuttavia, la reale attuazione degli obiettivi è ancora frammentata e disomogenea.
Semplificazione e flessibilità
Uno degli obiettivi della revisione delle direttive è rendere le procedure di gara più snelle e adattabili. Il 43 per cento dei partecipanti ha percepito un effettivo miglioramento in termini di semplificazione, ma il 19,5 per cento ritiene che le norme siano ancora eccessivamente complesse e il 28 per cento si dichiara neutrale. Tra i fattori positivi vengono citati la digitalizzazione e l’introduzione del documento di gara unico europeo (Dgue), mentre tra gli ostacoli si segnalano formalismi eccessivi e difficoltà interpretative.
In senso contrario alla semplificazione vengono ravvisate, però, difficoltà interpretative nel recepimento nazionale, formalismi eccessivi (ad esempio con riferimento alle cause di esclusione) e la coesistenza di normative nazionali frammentate.
Digitalizzazione ed e-procurement
La digitalizzazione è stata accolta con favore dal 51,1 per cento degli intervistati, che ne riconoscono il potenziale per ridurre gli oneri burocratici. Tuttavia, solo l’8,9 per cento ritiene che abbia effettivamente accelerato i tempi di aggiudicazione. In molte realtà, la coesistenza di procedure digitali e cartacee ha finito per aumentare la complessità invece di ridurla.
Molti commenti indicano come la transizione al digitale abbia spesso affiancato, invece di sostituire, le procedure cartacee, provocando un aumento della burocrazia e non una reale sburocratizzazione. In altri termini, una situazione ibrida in cui la digitalizzazione è realizzata parzialmente, sovrapponendosi alle procedure cartacee. Alcune stazioni appaltanti, specie di dimensioni ridotte, faticano a utilizzare piattaforme e-procurement avanzate per carenza di formazione o risorse tecnologiche.
Trasparenza e lotta alla corruzione
Il 66 per cento dei partecipanti riconosce che le direttive hanno migliorato la trasparenza delle gare d’appalto; solo il 19,1 per cento ritiene che abbiano ridotto in modo significativo il rischio di corruzione. Sul punto il 34 per cento rimane neutrale e il 36 per cento è contrario, sostenendo che persistono fenomeni collusivi e abusi di potere.
Secondo alcuni professionisti, il problema non risiede tanto nelle norme, quanto nella loro effettiva applicazione e nei controlli.
Professionalizzazione delle stazioni appaltanti
Un dato positivo emerge sul fronte della competenza delle amministrazioni aggiudicatrici: oltre il 50 per cento dei partecipanti ha riscontrato un miglioramento nella professionalizzazione, specialmente nelle grandi centrali d’acquisto. Tuttavia, gli enti più piccoli faticano ad attuare procedure complesse come il dialogo competitivo e il partenariato per l’innovazione.
Sostenibilità ambientale e sociale
Le direttive hanno incentivato l’adozione di criteri ambientali e sociali negli appalti pubblici, con un riscontro positivo da parte del 55 per cento dei partecipanti.
Sul tema non mancano riserve: molti avvertono che l’aumento delle certificazioni obbligatorie e dei Cam (criteri ambientali minimi), seppur utili per la tutela dell’ambiente, talvolta si traducono in costi aggiuntivi per le imprese e maggiore complessità delle offerte, specialmente per le Pmi.
Innovazione
Per quanto concerne l’innovazione, solo il 30 per cento ritiene che le direttive abbiano effettivamente promosso soluzioni innovative nelle gare.
Al riguardo, viene evidenziato che il partenariato per l’innovazione e il dialogo competitivo sono meccanismi scarsamente utilizzati, a causa, tra l’altro, di: complessità contrattuale e organizzativa, incertezze sulla proprietà intellettuale, carenza di competenze specifiche nelle stazioni appaltanti, timore di ricorsi per “eccessiva discrezionalità”, riluttanza a sperimentare metodi di acquisto fuori dagli schemi tradizionali.
Accesso delle Pmi e concorrenza
Oltre il 56 per cento afferma che il livello di concorrenza garantito dalle direttive è elevato anche se, in risposta ad altro quesito, emerge che le Pmi continuano a incontrare barriere significative, con riferimento a: requisiti di capacità tecnica e finanziaria troppo elevati, scarsa propensione a suddividere gli appalti in lotti, procedimenti lunghi e onerosi dal punto di vista documentale.
Indicazioni per la revisione delle direttive
Nel Report vengono elencate una serie di indicazioni e proposte rimesse al dibattito che nei prossimi mesi animerà il processo di revisione delle direttive. Le riportiamo in sintesi con l’invito a leggerle nel paragrafo 3.4. del Report.
In particolare, l’auspicio è che il processo di revisione prospetti soluzioni su cinque problematiche. Dovrebbe infatti consentire una più intensa armonizzazione delle norme e degli standard digitali, così da garantire maggiore uniformità giuridica, anche nella fase dell’esecuzione dei contratti; estendere l’ambito di applicazione delle norme Ue nel sottosoglia; ridurre la frammentazione normativa, anche attraverso forme di riordino e coordinamento delle norme settoriali (appalti verdi, strumenti di difesa commerciale, decarbonizzazione) che ormai integrano la disciplina europea dei contratti pubblici.
Più attenzione andrebbe poi riservata a una più ampia partecipazione delle Pmi, rafforzando il ricorso alla suddivisione in lotti, consentendo procedure di gara riservate (anche solo parzialmente) alle Pmi e premialità per i fornitori di prossimità; monitorando la partecipazione alle gare e le aggiudicazioni alle Pmi.
Si dovrebbe poi investire nella formazione e cultura dell’integrità e dell’efficienza, invece che pensare a un mero inasprimento di regole formali. Si dovrebbero perciò rivedere i requisiti documentali e valorizzare le forme di verifica automatizzate; disciplinare l’esclusione automatica, già prevista in molti ordinamenti degli stati membri; favorire il passaggio effettivo alla digitalizzazione.
La nuova normativa dovrebbe anche incoraggiare appalti più inclusivi e sostenibili, bilanciando criteri economici con obiettivi di sviluppo verde e responsabilità sociale. Lo si può fare attraverso l’individuazione di schemi di certificazione credibili e controlli incisivi sui soggetti che le rilasciano (in particolare, con riferimento alle emissioni di CO2); e attraverso un’applicazione più flessibile delle clausole sociali, integrando anche parametri di equità salariale, di inclusione di categorie svantaggiate e parità di genere.
Infine, andrebbero previsti meccanismi di gestione dell’emergenza, in grado di garantire rapidità e trasparenza allo stesso tempo.
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