Stati Uniti e Cina cercano di disinnescare la guerra commerciale in corso: hanno annullato alcuni dazi punitivi reciproci e sospeso altri per novanta giorni. Ma cosa significa per il resto del mondo l’accordo tra le due maggiori economie?
La de-escalation tra Washington e Pechino
Il presidente Donald Trump aveva ripetutamente dichiarato che non avrebbe ridotto i dazi senza concessioni da parte della Cina, ora la mossa degli Stati Uniti a favore di un’intesa è stata una prova del riconoscimento dei costi di una guerra commerciale totale contro Pechino. Il malcontento di aziende e consumatori americani per l’aggressiva politica commerciale della nuova amministrazione ha fatto capitolare, per ora, il presidente Trump sui dazi più pesanti (con qualche eccezione, per esempio quelli sul fentanyl, una potente droga oppioide esportata dalla Cina), almeno per 90 giorni, il tempo per provare ad aprire colloqui più formali con Pechino. Per il momento, quindi, il risultato è che i dazi aggiuntivi degli Stati Uniti sulle importazioni cinesi – cioè quelli recentemente imposti in aggiunta al primo round – scenderanno dal 145 al 30 per cento, mentre i dazi cinesi alzati di recente aumentati su alcune importazioni statunitensi caleranno dal 125 al 10 per cento.
Si tratta di un’importante de-escalation: la maggior parte dei dazi annunciati dopo il Liberation Day sono stati annullati. Se anche fossero ripristinati dopo i 90 giorni, quelli statunitensi sulla Cina salirebbero solo al 54 per cento e quelli cinesi sugli Usa al 34 per cento.
La Cina ha dichiarato inoltre che sospenderà o revocherà le contromisure adottate come ritorsione all’escalation. All’inizio di aprile, il governo cinese aveva ordinato infatti restrizioni all’esportazione di metalli e magneti di terre rare, componenti fondamentali per automobili, aerei e semiconduttori.
I primi segnali
L’accordo tra le due economie più potenti del mondo è importante ed è stato accolto con grande favore da imprese, consumatori e borse di tutto il mondo, ma è difficile prevedere le prossime tappe della guerra commerciale in corso tra Stati Uniti e Cina. Proprio questa ulteriore incertezza non aiuta le imprese a prendere decisioni, anche perché si aggiunge a quelle create dall’amministrazione Usa sul fronte commerciale: quali i paesi colpiti, quanta la percentuale di dazio, per quanto tempo e quali le ‘condizioni’ richieste per sospenderli.
Una tregua temporanea di dazi doganali così elevati può certo essere una bella notizia per le imprese di entrambi i paesi, con qualche segnale che già non manca. Innanzitutto, l’escalation della guerra commerciale negli ultimi mesi ha portato a un crollo della quantità di merci spedite attraverso l’Oceano Pacifico, a scapito del valore di borsa del settore delle spedizioni, ora gli investitori ritengono che la tregua porterà a una ripresa, con azioni in rialzo per alcune delle più grandi società di spedizione del mondo. Inoltre, dopo aver sospeso temporaneamente una certa quantità di ordini verso la Cina, le imprese statunitensi oggi si trovano di fronte a una domanda repressa, che porterà a un aumento dei prezzi dei trasporti, dovuti al tentativo di programmare le spedizioni durante la finestra negoziale di 90 giorni.
Nel corso del tempo gli effetti sono ancora più incerti, poiché i colloqui tra i due governi sono destinati a proseguire, possibilmente per raggiungere un accordo più generale, i cui contorni sono però totalmente imprevedibili. E così il mondo è passato da un sistema di governance del commercio internazionale fondato su trattati e regole multilaterali, rispettate dalla maggior parte dei paesi del mondo, a uno dove i grandi e potenti dettano regole preferenziali ad hoc, usandole come armi di ricatto, e i paesi piccoli e poveri subiscono danni profondi, che possono mettere a rischio la sopravvivenza di milioni di persone.
È pur vero che proprio il sistema di “libero scambio” regolato e promosso dall’Omc (Organizzazione mondiale del commercio), di cui sono membri 166 paesi, Cina inclusa, ha permesso e favorito l’accumularsi di grandi squilibri commerciali, non solo per una spiccata divisione internazionale del lavoro tra il Nord e il Sud del mondo, con benefici per entrambi, ma anche per la resistenza di Pechino a diventare una vera economia di mercato.
Il segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent ha dichiarato che entrambi i paesi concordano sul fatto che “nessuna delle due parti vuole un disaccoppiamento”, mentre il ministero del Commercio cinese ha affermato che l’accordo è un passo per “gettare le basi per colmare le differenze e approfondire la cooperazione”. Bessent ha detto che i due paesi potrebbero discutere di accordi per far sì che la Cina acquisti più beni americani.
Le conseguenze per il resto del mondo
Per capire meglio quali siano le caratteristiche dell’interdipendenza tra Stati Uniti e Cina, è utile guardare alle prime cinque voci di export da entrambi i lati (tabella 1). Nel 2024, la principale categoria di beni esportati dagli Stati Uniti alla Cina sarà la soia, utilizzata principalmente per nutrire i 440 milioni di suini che si stima siano allevati nel paese asiatico. Gli Stati Uniti hanno esportato anche prodotti farmaceutici e petrolio. Pechino ha esportato grandi volumi di elettronica, computer e giocattoli. La categoria più importante delle importazioni statunitensi dalla Cina è quella degli smartphone, che rappresenta il 9 per cento del totale. Nell’insieme, gli Stati Uniti acquistano dalla Cina molto di più (440 miliardi di dollari) di quanto vendano (145 miliardi di dollari), e il riequilibrio è da sempre l’obiettivo dichiarato del presidente Trump.
Bessent ha inoltre suggerito che i due paesi potrebbero aiutarsi a vicenda bilanciando le rispettive economie, sostenendo che gli Stati Uniti potrebbero ripristinare il proprio settore manifatturiero, se la Cina riducesse la propria sovrapproduzione. Mentre i comunicati da parte cinese, per voce del vicepremier He Lifeng, affermano che l’obiettivo di un futuro accordo è stabilire un “meccanismo di consultazione” tra Stati Uniti e Cina, “per consentire scambi regolari e irregolari relativi alle questioni commerciali”. Di fatto, è una vera e propria deroga ai principi stabiliti dai trattati internazionali: la politica commerciale di Trump promuove un allontanamento – e non un avvicinamento – della Cina dai principi di sana concorrenza e assenza di trattamenti preferenziali, seguiti dal resto del mondo nella produzione di merci.
Ciascuna delle due parti afferma di aver riportato una vittoria attraverso questo primo accordo, ed entrambi si sentono in una posizione psicologicamente più forte di prima. Il mondo però sta peggio, e non solo temporaneamente, se le regole condivise sono sostituite da guerre di potere tra pochi grandi paesi.
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