Lavoce.info

Nei rifiuti tessili serve la responsabilità del produttore

Riutilizzare le fibre tessili, per ridurre lo smaltimento dei prodotti in discarica: per raggiungere questo obiettivo è necessario un ripensamento dell’intero ciclo produttivo, a partire dalla progettazione. I costi ingenti impongono scelte coraggiose.

La raccolta di rifiuti tessili non basta

Dal 1° gennaio 2022 vige in Italia l’obbligo di raccolta dei rifiuti tessili, che comprende non solo i capi di abbigliamento ma anche gli altri prodotti tessili, come tappeti, tende, asciugamani e biancheria. Almeno formalmente, in tutti i comuni dovrebbero dunque essere già state avviate le raccolte differenziate. L’obiettivo è intercettare da 600mila (stime Ispra) a 1,5 milioni di tonnellate (stime sulla base delle analisi di quanto gettato nell’indifferenziato) di rifiuti tessili, che oggi vengono conferiti nell’indifferenziato.

Perché raccogliere in modo differenziato questi rifiuti? La risposta più immediata è per porre le premesse per il riutilizzo, il recupero delle fibre tessili, il riciclo, riducendo lo smaltimento in discarica.

Ma un ripensamento della gestione dei rifiuti tessili non può limitarsi alla sola raccolta. Va affrontata anche la questione della produzione e del consumo di prodotti a basso costo e bassa durabilità, ovvero le fondamenta del modello del fast fashion. La responsabilità estesa del produttore intende rispondere a questi interrogativi.

Su spinta della Ue, l’Italia si sta altresì preparando a introdurre un sistema di responsabilità del produttore sul fine vita di questi prodotti, come già avviene da tempo per altre tipologie di rifiuti, come imballaggi, batterie o pneumatici fuori uso. L’obiettivo è impegnare i produttori e i distributori a interiorizzare gli impatti sociali, economici e ambientali che discendono dalla gestione del fine vita dei prodotti immessi sul mercato, con l’intento di tenerne conto sin dalla fase della progettazione. Ma la costruzione di un sistema efficace richiede scelte coraggiose, incentivi economici e nuovi impianti.

Cosa cambia con la responsabilità del produttore

Il primo passo dovrebbe essere quello di istituire raccolte selettive di ciò che può essere destinato a riutilizzo. Dovrebbero essere avviate sia dai comuni sia dai produttori o distributori, direttamente nei punti vendita o per il tramite di soggetti appositamente istituiti (con modalità operative ancora da definire), con l’obiettivo di migliorare la quantità e la qualità delle raccolte, evitando che l’aumento dei rifiuti raccolti si trasformi in una perdita di qualità e in maggiori costi di gestione.

Se, da una parte, è necessario non frammentare eccessivamente la raccolta, per alimentare processi su scala industriale, dall’altra, è altrettanto necessario consentire ai produttori e distributori di intervenire nella raccolta selezionata sia per il segmento del riutilizzo sia per quello del riciclo. Anche perché sta tutta qui la ratio di uno schema di responsabilità del produttore: lasciare al produttore il modo di coniugare gli obiettivi ambientali e sociali sostenendone i costi, organizzando nel modo più efficiente le fasi di raccolta, preparazione per il riutilizzo e riciclaggio, avvalendosi delle filiere e degli operatori consolidati. Perché solo passando dalla piena consapevolezza dei contenuti economici e organizzativi di queste fasi, è possibile addivenire a prodotti progettati per durare e, una volta giunti a fine vita, consentirne un facile e conveniente riciclo.

La copertura dei costi di queste attività dovrebbe rimanere in capo ai produttori, con la sola eccezione della parte destinabile a riutilizzo, che dovrebbe trovare nella vendita di capi di abbigliamento usati risorse sufficienti per remunerare le attività propedeutiche allo stesso. Non è un fatto scontato. I costi della raccolta e dell’avvio a recupero e dello smaltimento delle frazioni non altrimenti valorizzabili dovrebbero essere interamente a carico dei produttori, attraverso il contributo ambientale, incorporato nel prezzo di vendita del bene e pagato dall’acquirente. Un contributo ambientale più alto dovrebbe essere sostenuto dal fast e ultra fast fashion, in modo da spingere verso l’eco-progettazione.

Ma vi è il rischio che almeno parte dei costi, attesi in aumento, finisca per gravare sulla tassa per la raccolta dei rifiuti urbani (Tari), quindi sui cittadini, tradendo il principio “chi inquina paga” che sta alla base della responsabilità del produttore.

Riutilizzo, preparazione al riutilizzo e riciclo: lo stato dell’arte

Oggi, la gestione dei rifiuti tessili nel nostro paese è fortemente sbilanciata verso il riutilizzo, che riguarda esclusivamente i capi di abbigliamenti usati, con poco più dell’1 per cento dei volumi raccolti presso le utenze domestiche effettivamente avviati a riciclo (Ispra, 2024). Gli impianti attualmente operativi sono specializzati nella selezione per la rivendita dell’usato (second hand), gestita da operatori economici che agiscono in mercati internazionali fortemente intrecciati.

In particolare, la Campania rappresenta l’unico vero hub nazionale per la preparazione al riutilizzo, con circa 40 impianti e 70mila tonnellate/anno trattate, in parte provenienti da Svizzera e Germania.

I selezionatori potrebbero lavorare sia a valle delle raccolte operate dai comuni sia di quelle realizzate dai produttori, direttamente nei punti vendita o per il tramite dei consorzi che assolvono in nome collettivo alla gestione del fine vita.

Poco o nulla è stato invece fatto sulla raccolta dei rifiuti tessili “non abbigliamento” (l’altro codice Eer 200111), che nella gran parte dei casi finiscono ancora nella raccolta indifferenziata dei rifiuti urbani. Di conseguenza, anche il recupero di materia, soprattutto delle frazioni non abbigliamento, è rimasto poco sviluppato. Solo il distretto di Prato rappresenta un esempio virtuoso, anche se circoscritto al caso della rigenerazione della lana cardata, cioè una nicchia nel settore. La complessità dei materiali (miste fibre naturali e sintetiche, coloranti, additivi) rende complicata la separazione e il trattamento, con costi ancora troppo elevati. Le tecnologie disponibili – upcycling meccanico, riciclo termomeccanico o chimico – richiedono altresì investimenti consistenti e processi industriali ancora in via sperimentale e poco diffusi in Italia.

Le possibili traiettorie di un nuovo modello di gestione dei rifiuti

Il nuovo modello di gestione dei rifiuti tessili si dovrebbe strutturare distinguendo i due momenti cruciali della raccolta e della selezione. Se la prima è stata sino a oggi di esclusiva pertinenza dei comuni, che hanno di solito affidato l’incarico a soggetti terzi (attingendo, soprattutto, dal mondo della cooperazione con finalità sociali), con l’avvio degli schemi di responsabilità del produttore, gli stessi produttori potrebbero trasformarsi anche in punti di raccolta, in particolare per gli abiti usati, in analogia con quanto avviene ad esempio per il caso dei rifiuti da apparecchiature elettroniche (Raee), al fine di garantire l’avvio nella catena del valore dei prodotti ritirati. Si tratterebbe, dunque, di un puntello privato a una intelaiatura sostanzialmente pubblica, che ha il suo scopo primario nella migliore raccolta possibile dei rifiuti, con la minore impronta ambientale, con l’intento principale di costruire una catena del valore davvero sostenibile, soprattutto delle frazioni non idonee al riutilizzo, ovvero quelle a minor valore aggiunto.

La seconda fase – quella della selezione finalizzata al riutilizzo e al riciclo – dovrebbe garantire soprattutto la professionalità degli operatori. È infatti la fase cruciale, quella che assicura l’estrazione della maggior quota di valore dalla raccolta: qui la concorrenza dovrebbe essere tutelata, senza infingimenti di sorta.

Cosa serve per far funzionare il sistema

Per rendere efficace il sistema servono alcune condizioni imprescindibili. Anzitutto, è necessario costruire una governance della raccolta in grado di intercettare, con il coinvolgimento ponderato di tutti gli attori coinvolti, tutti i tessili che presentano un potenziale di recupero. Finalità da puntellare con l’introduzione di obiettivi minimi di raccolta, riutilizzo e riciclo. Senza target vincolanti, è probabile che i soggetti coinvolti puntino sulle opzioni meno costose – come lo smaltimento – invece che sull’economia circolare.

In secondo luogo, va realizzato un forte sistema di tracciabilità, che incentivi l’ecodesign e allo stesso tempo eviti pratiche opache o di dumping internazionale mascherato da riutilizzo.

Dal punto di vista economico, occorre sostenere, a valle, il mercato delle fibre riciclate attraverso obblighi di contenuto minimo riciclato, certificati di riciclo o strumenti di fiscalità ambientale.

È poi fondamentale definire i costi efficienti per la raccolta, ispirandosi al modello già applicato dall’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera) nel caso degli imballaggi. Solo così si potrà garantire un’equa distribuzione degli oneri tra produttori e sistema pubblico, evitando che si riversino sui cittadini.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Precedente

“Ventottesimo regime”: uno slogan pericoloso

Successivo

Se l’IA impara a essere creativa*

  1. Pietro Della Casa

    Uno dei problemi di qualsiasi raccolta differenziata á la molteplicità dei materiali usati, si fa presto ad IMMAGINARE un’economia circolare, ma in mancanza di standardizzazione la realtà è che bruciare tutto per produrre energia è spesso l’unica strada economicamente percorribile.
    Sarei anche prudente nello scaricare nuovi oneri sui produttori, ed anche nell’assumere che i consumatori possano essere disponibili ad effettuare una selezione che richiede tempo, spazio e competenze.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén