Sugli scarti tessili, il vero salto di qualità si misurerà nella capacità di incanalare i flussi verso percorsi di riciclo. Le filiere di distretto, concentrate geograficamente, rappresentano un contesto ideale per sperimentare una produzione circolare.

Dal riuso al riciclo

Valorizzare i rifiuti tessili è un passaggio obbligato per ridurre l’impronta ecologica della loro produzione e del loro consumo. Ma finora è mancata una strategia per realizzare questo obiettivo.

Ha dato invece segnali incoraggianti il mercato del riuso, animato da una sorta di spontaneismo imprenditoriale, in alcuni casi anche con vocazione internazionale, che, nonostante i vuoti di policy e le contraddizioni normative, è riuscito a intercettare le frazioni di maggior valore ricavandone dei margini. Laddove non si sono attivate simili iniziative, gli scarti tessili sono stati gestiti tra i rifiuti indifferenziati, per i quali lo smaltimento rimane la principale destinazione finale.

Il 1° gennaio 2022 scatterà l’obbligo di raccolta differenziata in questo settore e nei prossimi anni il vero salto di qualità si misurerà nella capacità di incanalare tali flussi verso percorsi di riciclo, cioè di recupero di materia.

La necessità di introdurre la responsabilità estesa del produttore

Per uscire dall’impasse, una delle strade più promettenti sulla quale sta lavorando la Commissione Ue, e quindi il ministero della Transizione ecologica, è quella dell’introduzione di obblighi di responsabilità estesa del produttore (Epr). I produttori dovranno definire un contributo ambientale, trasferito nei prezzi d’acquisto dei prodotti, che avrà lo scopo di finanziare – quanto meno in teoria – una filiera della raccolta tesa a rispettare la gerarchia dei rifiuti, quindi a privilegiare il riuso, a sostenere la preparazione per il riutilizzo e il riciclo.

L’obiettivo di ogni schema di Epr è di incentivare soprattutto la prevenzione, provando a dare concretezza al principio europeo del “chi inquina paga”, indirizzando la produzione e il consumo su forme progressivamente più sostenibili e che scoraggino il fenomeno del fast fashion (si veda per esempio questo paper). Allo stesso tempo, l’Epr dovrebbe servire a finanziare attività di ricerca e sviluppo, puntando sull’innovazione di processo e di prodotto, indirizzando la produzione verso tecnologie in grado di ovviare alle criticità presenti nel recupero, per esempio, promuovendo l’eco-design e disincentivando l’utilizzo delle fibre tessili più difficilmente recuperabili (come quelle sintetiche o miste).  

Ma non solo. Considerato che i rifiuti, anche quelli tessili, sono un aggregato di materie e sostanze non sempre omogenee e che la raccolta deve presentare la caratteristica della continuità, a qualunque condizione di mercato e per tutte le frazioni (si veda per esempio qui), occorrono adeguate correzioni, affinché le oscillazioni della domanda di prodotti riciclati rendano sempre sostenibile il costo della raccolta e dei trattamenti propedeutici al riutilizzo e al riciclaggio.

Spunti dal modello francese

L’Epr francese sui rifiuti tessili rappresenta un caso all’avanguardia e un importante riferimento per l’attuazione di un modello italiano di obblighi di responsabilità del produttore.

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Introdotto nell’ordinamento francese il 1° gennaio del 2007, il principio di Epr applicato ai rifiuti tessili, alla biancheria per la casa e alle calzature ha la funzione di obbligare i produttori a contribuire all’onere di gestione dei rifiuti derivanti dall’immissione al consumo degli articoli.

I soggetti obbligati versano un contributo diversificato a seconda della tipologia e della dimensione del prodotto immesso al consumo e modulato a seconda della durabilità e della presenza di fibre riciclate nei prodotti.

Nel 2019, in Francia, sono stati intercettati rifiuti tessili pari a 3,7 kg per abitante, circa 1,1 kg in più rispetto a quanto raccolto dall’Italia nello stesso anno, per un immesso al consumo di circa 9,7 kg per abitante. Si tratta di un dato in crescita (+100 mila tonnellate raccolte fra il 2009 e il 2019), cui si accompagna una gestione del rifiuto a “discarica zero” che privilegia il riutilizzo (57 per cento), il riciclo (33 per cento) e, in via residuale, l’incenerimento.

L’importanza di orientare la produzione verso modelli più circolari

Se il regime di Epr sarà istituito anche in Italia, il contributo ambientale dovrà essere modulato in base all’indice di sostenibilità del singolo prodotto, e avrà non solo il compito di garantire la raccolta in ogni condizione, attenuando gli andamenti del mercato, ma allo stesso tempo dovrà orientare la produzione verso modelli più circolari, che di fatto dovrebbero risultare meno costosi.

Infatti, il segnale di prezzo fornito dal contributo ambientale dovrebbe indirizzare in ultimo anche le scelte dei consumatori. Mai come nel caso delle frazioni tessili, l’ecodesign diventa strategico nel rendere possibile ed economicamente conveniente il riuso e il recupero di materia. Senza adeguati correttivi in fase di produzione, si rischia solo di agevolare la raccolta differenziata, senza benefici sull’intera catena del valore, in particolare sul recupero.

Se fino a oggi il riuso si è comunque ritagliato un suo spazio, prevalentemente a opera di cooperative sociali, il mercato del recupero di materie da frazioni non riutilizzabili è completamente da costruire. È qui che si devono indirizzare le policy più incisive per sostenere i nuovi modelli di business circolari.

Certamente il settore tessile in fatto di sinergie non parte da zero. Può vantare infatti una innata vocazione distrettuale, considerato che più del 60 per cento delle imprese sono situate in Toscana, Lombardia, Veneto e Piemonte. Questo vuol dire che nel nostro paese si continua a produrre in loco, nonostante la delocalizzazione abbia prodotto i suoi effetti.

L’insieme di questi due elementi potrebbe portare a una forte sinergia, laddove la produzione di scarti di settori diversi, ma complementari, potrebbe risolvere la cronica assenza di materie prime e allo stesso tempo ridurre i costi di gestione degli scarti. La costruzione di nuove simbiosi industriali capaci di generare valore in un settore dal disvalore di un altro dovrebbe essere la strada da seguire. Insomma, le filiere distrettuali italiane concentrate geograficamente risulterebbero un contesto ideale per sperimentare modelli di produzione circolare. È esattamente quello che si sta già facendo nel distretto di Prato, un esempio da imitare altrove.

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L’opportunità del Piano nazionale di ripresa e resilienza 

Anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza si propone come una grande opportunità per rilanciare la filiera del recupero dei rifiuti tessili.

In particolare, in termini di risorse e di finalità, una linea di investimento guarda alla infrastrutturazione della raccolta dei rifiuti tessili e alla realizzazione di nuovi impianti di riciclo delle frazioni tessili in ottica sistemica, i cosiddetti “Textile Hubs”. È evidente che se le risorse del Pnrr saranno sicuramente utili per sostenere gli investimenti impiantistici, allo stesso tempo, occorrerà essere consapevoli che il tema centrale è quello di sostenere gli extra costi del riciclo, ossia coprire quelle diseconomie che rendono ancora oggi più convenienti le filiere dei materiali vergini rispetto a quelle del riciclo.

Infine, un’avvertenza di fondo: se le dinamiche di mercato tenderanno a guidare i flussi secondo logiche economiche, sarà necessario garantire una raccolta universale e capillare per non lasciare a terra le frazioni prive di valore e garantire la miglior tutela ambientale. Mai come in questo settore è d’obbligo lavorare in rete, con l’obiettivo di ridurre al minimo i costi di transazione e di semplificare l’incontro tra domanda e offerta.

Altri quattro tasselli strategici, al fine di disporre di incentivi concreti all’impiego di materie prime secondarie, sono:

  • l’accesso facilitato al credito, per chi decide di investire in attività innovative;
  • l’introduzione di incentivi fiscali per le aziende che acquistano materiale tessile riciclato;
  • l’introduzione di crediti di imposta per gli investimenti in tecnologie a basso impatto ambientale e in attività di ricerca e sviluppo;
  • l’applicazione concreta degli acquisti pubblici della pubblica amministrazione con i relativi criteri ambientali minimi (Cam), obbligatori per tutte le stazioni appaltanti.

Siamo dunque di fronte a un quadro in movimento e che richiede al nostro paese – il distretto tessile più grande d’Europa – una nuova visione, per cogliere i benefici delle politiche e intercettare i fondi disponibili per gli investimenti.

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