I progressi dell’IA chiamano in causa la relazione tra una caratteristica prettamente umana come la creatività e la capacità delle macchine di replicarla. Di fronte a un vero e proprio cambiamento epistemico, non dobbiamo fermare il progresso, ma regolarlo.
L’apparente alleanza tra IA e creatività
L’intelligenza artificiale non è più confinata agli ambiti della ripetizione e dell’efficienza. Sempre più spesso si avventura nei territori, un tempo esclusivamente umani, della creatività, dell’intuizione, dell’invenzione. Lo slittamento solleva interrogativi radicali: l’IA può essere davvero complementare al lavoro umano, se finisce per apprendere e replicare anche le sue dimensioni più creative? E quanto è sottile, oggi, la linea tra complementarità e sostituzione, tra collaborazione e espropriazione? Il nodo non è più, semplicemente, se l’IA rimpiazzerà i lavori manuali o cognitivi di routine. La posta in gioco si è spostata più in alto, verso il cuore del capitale umano più sofisticato: l’immaginazione, la risoluzione di problemi, l’ideazione di contenuti, strategie e visioni.
Nella nuova fase, la tecnologia si presenta inizialmente come alleata: potenzia la produttività dei lavoratori creativi, li assiste nell’analisi, genera alternative, suggerisce connessioni. È la promessa della complementarità funzionale per le alte professionalità: l’umano immagina, l’IA accelera; l’umano decide, l’IA propone. Ma proprio in questa apparente alleanza si annida un processo di assorbimento. Più la creatività viene messa al lavoro, sistematizzata, resa operativa e trasferibile tramite interfacce digitali, più l’IA è in grado di apprenderla, simularla e infine automatizzarla. In altri termini: più la creatività viene resa produttiva attraverso dispositivi tecnologici complementari, più essa si espone al rischio di essere “standardizzata” e inglobata dalla macchina.
Nasce così un paradosso inquietante: la creatività, una volta resasi necessaria all’efficacia dei sistemi automatizzati, diventa progressivamente espropriabile e sostituibile, una complementarità che porta alla sostituibilità. Così con l’intelligenza generativa la complementarità, lungi dall’essere una garanzia di coesistenza tra uomo e macchina, si configura come una fase intermedia della sostituzione. È esattamente ciò che osserviamo nel crescente uso di IA generativa nei settori più creativi. Copywriter, designer, architetti, programmatori, artisti digitali, ricercatori si avvalgono di modelli capaci di produrre testi, immagini, strutture narrative, layout grafici, codice, pattern stilistici. Inizialmente, questi strumenti sembrano liberare risorse, amplificare capacità, velocizzare i processi. Ma col tempo, i modelli apprendono proprio da quelle interazioni creative: imitano, ottimizzano, generalizzano, rendendo automatizzabile ciò che prima era inimitabile. L’esito non è solo una minaccia occupazionale, ma un mutamento epistemico: la creatività stessa viene decostruita in regole, pattern, sequenze logiche, esattamente come è accaduto nel passato per il lavoro manuale. La sua aura di unicità viene lentamente erosa. Più il lavoro creativo si “traduce” in un processo interfacciabile con le macchine, più le macchine possono riprodurlo, sostituirlo, talvolta superarlo in rapidità ed efficacia. Questa traiettoria è visibile anche nella robotica avanzata, dove la collaborazione uomo-macchina – il cuore dei cosiddetti “cobot” – si basa su capacità di adattamento, percezione sensoriale e risposta all’ambiente. Anche qui, l’umano è coinvolto in una prima fase creativa e adattiva: addestra, programma, corregge. Ma, a lungo andare, il robot impara da questi input, si adatta in autonomia, e la relazione evolve: da cooperazione a sostituzione. Ci troviamo dunque in una fase di “complementarità condizionata”: l’IA ha bisogno dell’umano creativo per crescere e funzionare efficacemente, evitando continui bias se utilizzato da umani non creativi e di bassa conoscenza, ma proprio questo bisogno empatico la rende capace di farne a meno nel tempo. È un ciclo che si alimenta e si esaurisce allo stesso tempo.
Ripensare il valore della creatività
Di fronte a questa dinamica, è urgente una riflessione critica. Quali forme di creatività resistono alla sistematizzazione? Quali spazi cognitivi rimangono refrattari all’automazione? E, più concretamente, come possiamo progettare sistemi tecnologici che siano davvero al servizio dell’umano, senza finirne per cannibalizzare le capacità più preziose? Le risposte non possono venire solo dalla tecnica. Serve un pensiero politico e culturale capace di ridefinire il senso della complementarità: non come semplice affiancamento funzionale, ma come relazione asimmetrica. L’era dell’intelligenza artificiale non ci obbliga solo a difendere il lavoro umano, ma a ripensare il valore della creatività, la sua forma, la sua trasmissione, il suo confine rispetto alla tecnica. Dobbiamo evitare che la più potente alleata della nostra immaginazione diventi il suo rimpiazzo definitivo? Gli scenari futuri si articolano tra la prospettiva accelerazionista, che considera l’accelerazione tecnologica come un passaggio inevitabile e necessario per superare i limiti strutturali del capitalismo e abilitare trasformazioni sociali, e un paradosso alternativo, che rimanda alla saga di Dune di Frank Herbert. Dove dopo la “Jihad Butleriana”, che proibisce le macchine pensanti, gli umani evolvono in Mentat, figure con capacità cognitive potenziate che sostituiscono le intelligenze artificiali proibite, essenzialmente una esclusione delle macchine generative più sofisticate dalle forme creative e elaborative umane più sofisticate. Etica, religione, ideologia, indipendenza o pragmatismo: quale di queste dimensioni debba orientare l’incessante progresso dell’intelligenza artificiale generativa rimane un tema aperto e profondamente controverso.
Alla luce di tale incertezza, si impone una riflessione critica che eviti tanto la retorica accelerazionista quanto le derive tecnofobiche. Piuttosto che aderire dogmaticamente a uno dei due poli dello spettro, è necessario delineare una prospettiva intermedia, capace di riconoscere le potenzialità trasformative dell’IA generativa, senza ignorarne le conseguenze per l’autonomia del pensiero umano, i processi deliberativi collettivi e la sostenibilità democratica. La sfida non è arrestare il progresso, ma negoziarne i fini, attraverso istituzioni e pratiche sociali capaci di mantenere centrale la dimensione umana in termini comunitari. Non si tratta solo di stabilire se le macchine possano sostituire l’uomo nei compiti creativi o decisionali, bensì di definire quale tipo di umanità intendiamo promuovere nell’epoca delle macchine generative. È urgente una governance democratica dell’innovazione generativa, capace di redistribuire benefici e potere, valorizzando il tempo liberato come risorsa collettiva per la cura, l’educazione, la partecipazione, il progresso sociale. Se guidata unicamente da logiche economiche estrattive dominanti, l’automazione generativa rischia di appiattire la complessità, ridurre l’autonomia, standardizzare il pensiero. “The key question is not whether AI can do something, but whether it should—and for whom it should work.” Il futuro non dovrebbe essere “uomo o macchina”, ma “uomo con macchina”, a patto che siano le persone – collettivamente – a decidere come e perché usare l’IA creativa.
* L’articolo non rappresenta necessariamente le posizioni dell’Istituto di appartenenza.
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Stefered
L’Intelligenza Artificiale non ha Anima, Amore, Creativitā (non innova, non crea dal nulla e crea solo immagini esistenti in collage), empatia, bellezza, tocco umano e sentimenti. L’Intelligenza Artificiale non potrā Mai sostituire gli Artisti, Papà Francesco ha detto che chi pensa che IA sia creativa è nell’illusione, La nostra Nuova Visione Artistica: “Con l’evento della Tecnologia come Robot e Intelligenza Artificiale diventeremo tutti Artisti!” Non temete, Buon Arte a Tutti