Le pensioni in Italia nel XXIV rapporto Inps

Qual è lo stato del sistema pensionistico italiano? Un quadro accurato lo traccia il rapporto annuale dell’Inps. La spesa totale è di oltre 350 miliardi di euro. Con una popolazione che invecchia, meglio astenersi da nuovi interventi di sapore elettorale.

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Pensioni e pensionati

Il 16 luglio 2025 l’Inps ha presentato il tradizionale rapporto annuale, fonte d’informazione principale, insieme al report sulle “Condizioni di vita dei pensionati” redatto dall’Istat, sullo stato del sistema pensionistico. Il rapporto Inps è composto da quattro capitoli: il mercato del lavoro, il sostegno alle famiglie, la previdenza e le altre prestazioni sociali. 

Il piatto forte viene servito dopo gli antipasti e, naturalmente, prima del dolce. Nell’ultimo Rapporto Inps, il capitolo terzo di quattro è quindi una collocazione perfetta per l’argomento pensionistico. Un piatto, tuttavia, dal prezzo decisamente elevato: per gustarlo, il paese ha speso nel 2024 circa 355 miliardi di euro, una cifra in crescita rispetto al passato e che, ormai da tempo, lo colloca come la principale uscita nel bilancio pubblico. 

Dei 16,3 milioni di pensionati nel 2024, una leggera maggioranza è composta da donne (51 per cento); le prestazioni, circa 21 milioni, sono invece suddivise tra le 16,8 milioni del capitolo previdenza (l’80 per cento del totale) e le 4,1 del capitolo assistenza. Anche a costo di essere noiosi, vale la pena di ricordare la differenza. Le prestazioni “previdenziali” sono quelle cui i lavoratori hanno diritto in quanto contribuenti del sistema pensionistico: chi lavora e paga i contributi previdenziali, infatti, potrà ottenere un trattamento di vecchiaia (o anzianità), una eventuale pensione per infortunio (invalidità) e, nel caso di morte, un trattamento per i superstiti (cosiddetta pensione di reversibilità). I trattamenti assistenziali, al contrario, non presuppongono alcun tipo di collegamento tra partecipazione al sistema pensionistico e benefici ricevuti. Si tratta, principalmente, di trattamenti assistenziali per anziani (over 65) in difficoltà economica o erogati per invalidità civile. Va aggiunto, tuttavia, che anche alcuni trattamenti previdenziali, come per esempio le pensioni per i superstiti, hanno una natura ibrida ed elementi di assistenzialità. Non solo: gli stessi trattamenti previdenziali comprendono integrazioni al minimo, una componente spesso molto importante in questi casi. Per definizione, e anche intuitivamente, i benefici assistenziali hanno un importo inferiore a quelli previdenziali. 

Un dato di cui tenere conto (l’Inps lo fa, alcuni giornalisti e molti politici, invece, no) quando si calcolano i valori medi delle prestazioni. Chiarito questo, si possono guardare le tabelle sui valori dei redditi pensionistici medi con maggiore coscienza. Ricordando anche, già che ci siamo, che i “redditi pensionistici” includono tutte le prestazioni pensionistiche percepite da un individuo. Quindi, la sua eventuale pensione di vecchiaia, magari una di reversibilità, e così via. Poco indicativo è sapere che il valore medio (lordo) di una pensione, in Italia, è pari a 1.252 euro. Perché quando si guarda alle sole prestazioni previdenziali, aumenta a 1.444 euro e diminuisce invece a 502 euro per quelle assistenziali. Differenze rilevanti emergono anche tra le diverse categorie che compongono le prime: le pensioni di anzianità valgono in media 2.133 euro, quelle di vecchiaia 1.021 euro, un valore sorprendentemente inferiore a quelle di invalidità (1.151 euro); chiudono i trattamenti di reversibilità (855 euro). 

Tra il 2001 e il 2023, i redditi da pensione più elevati sono cresciuti, mentre sono rimasti costanti quelli più bassi. Tuttavia, grazie a un meccanismo di indicizzazione ai prezzi che copre interamente le prestazioni inferiori e solo parzialmente quelle superiori, il potere d’acquisto di tutti i pensionati non è cambiato. Un risultato importante per il sistema pensionistico, che permette di proteggere meglio i pensionati rispetto ai lavoratori nei periodi di difficoltà economiche, quali incrementi del tasso di inflazione o recessioni. 

Un recente interessante fenomeno è quello dell’emigrazione di pensionati. Un numero non elevato, ma comunque nemmeno ignorabile di persone ha infatti trasferito la propria residenza all’estero. In senso lato, si tratta di quasi 230mila pensionati; tuttavia, il fenomeno più interessante è quello dei 37.825 individui che hanno trascorso l’intera vita lavorativa in Italia e che hanno trasferito la propria residenza solamente dopo aver raggiunto il pensionamento. Nel 2003, i pensionati emigrati erano 50mila. Secondo il rapporto, la mobilità è spiegabile con migliori trattamenti fiscali (la meta preferita, dopo la primatista Spagna, è infatti il Portogallo), inferiore costo della vita ma anche con la volontà di vivere in posti diversi.

Ascesa e declino della pensione d’anzianità

Una delle domande più ricorrenti tra i lavoratori, soprattutto se più maturi, e naturalmente anche tra i lettori di questo sito (dite la verità!) è su quando si potrà (finalmente, si aggiunge di solito) andare in pensione. La risposta è che l’età effettiva media di pensionamento è cresciuta ed è ora pari a 64 anni (nel 2001 era di 58 anni). È vero quindi che si va in pensione sempre più tardi; tuttavia, ciò avviene ancora (in media) a un’età più bassa rispetto a quella che sarebbe imposta dalle regole per le pensioni di vecchiaia. 

Una peculiarità del sistema previdenziale italiano è la grande diffusione della pensione d’anzianità (fino al 2011) o delle forme di pensionamento anticipato introdotte dalla (e dopo) la riforma Monti-Fornero del 2011. Il diritto alla pensione di vecchiaia si ottiene quando si raggiunge un limite minimo di età anagrafica; attualmente, in Italia è pari a 67 anni di età sia per uomini sia per donne. Si può optare per la pensione di anzianità, ove prevista, quando invece si raggiunge un periodo minimo di anni di contribuzione, indipendentemente dall’età anagrafica. Per esempio, prima della riforma Dini, il periodo era pari a 35 anni. La coesistenza dei due regimi ha quindi permesso, e ancora permette, di andare in pensione prima di raggiungere i requisiti previsti per il trattamento di vecchiaia. Se si guarda infatti alle età effettive di pensionamento per tipologia di pensione, è sostanzialmente pari a 67 anni per le pensioni di vecchiaia e invece solo a 62 anni per quelle di anzianità. 

Ma quali sono le criticità del pensionamento anticipato? Il rapporto non affronta il tema in maniera esplicita, anche se lo suggerisce in maniera sottile. L’introduzione di strumenti che danno questa possibilità fa aumentare, in termini di cassa, la spesa previdenziale; il ricorso continuo e disordinato, se non addirittura con finalità elettorali, di queste politiche rischia di far saltare i conti, già delicati, del sistema. In più, la temporaneità e arbitrarietà dei requisiti richiesti (si pensi a come è variata “Quota 100” nel giro di pochi anni) hanno l’effetto di premiare alcune coorti rispetto ad altre, senza alcuna giustificazione economica o distributiva in merito.

Pensioni e disuguaglianza di genere

Un ultimo aspetto interessante riguarda le differenze di genere, perpetrate o ridotte dal sistema pensionistico. Il 2020 è stato l’anno in cui l’età media effettiva di pensionamento per le donne ha superato quella per gli uomini, tanto che nel 2024 è stata superiore di quasi 17 mesi rispetto a quella dei colleghi maschi. Le cause possono essere principalmente due. Da un lato, la diminuzione, fino alla sostanziale sparizione, di regimi agevolati come “Opzione donna”. Dall’altro, il collegamento sempre più stretto tra contributi versati, aspettativa di vita e ammontare della pensione in qualche modo forza coloro che hanno aspettativa di vita più alta e carriere più irregolari a lavorare di più per godere di pensioni adeguate, perché più difficilmente possono raggiungere i requisiti richiesti dalle regole di pensionamento anticipato. 

Per quanto riguarda i livelli delle prestazioni, l’importo dei redditi percepiti dagli uomini risulta superiore a quello delle donne di circa il 34 per cento. Il genere, in particolare, spiegherebbe tra il 10 e il 20 per cento della differenza tra pensioni percepite da uomini e donne e l’area geografica di residenza il 5 per cento. Tuttavia, la principale determinante dei divari pensionistici risulta essere la differenza nell’importo medio tra le pensioni di vecchiaia e quelle anticipate. 

Prospettive future

In un contesto di invecchiamento ormai inesorabile della popolazione, con allungamento della vita media degli individui e restringimento del numero dei lavoratori (il cui reddito, bisogna ricordarlo, costituisce la base imponibile per il finanziamento dell’intero sistema), l’equilibrio dei conti dell’Inps risulta cruciale per evitare che il bilancio dello stato, già oberato da un debito pubblico enorme, venga ulteriormente messo alla prova. L’età effettiva di pensionamento è cresciuta di 6 anni negli ultimi 25, un numero certo non elevato ma nemmeno simbolico, che contribuirà a non far esplodere la spesa previdenziale. Tuttavia, visto il punto di partenza, nel futuro il legislatore dovrebbe evitare il più possibile ulteriori provvedimenti estemporanei e probabilmente elettorali che, pur soddisfando solo poche miglia di persone, mettono a rischio il destino previdenziale di un intero paese. 

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  1. Savino

    Chi viene assunto ora (con contratti individuali criptici) e, gradualmente, chi è stato assunto dal 1995 in poi, difficilmente potrà definirsi col qualificativo di “superstite”. La spesa pensionistica è tutta sul groppone delle persone sopra citate, mentre nessun approfondimento è stato fatto sul passaggio dal retributivo al contributivo, nè sul passaggio interno INPS dal cartaceo al digitale (confronto su contributi effettivamente versati). Nessuno ha mai visto un salvadanaio individuale di contributi, rimpinguato nel corso della carriera, da cui attingere, mentre tutte le risorse sono state sempre prelevate dallo stesso calderone, finanziato da chi oggi lavora attivamente. Vanno chiesti sacrifici perequativi a molte categorie di pensionati, che hanno più periodi di erogazione che di versamento, mentre pesano come macigni le questioni della demografia e della mancata distribuzione tra generazioni del benessere.

  2. Alexx

    La morale sottesa alla conclusione dell’articolo può inevitabilmente configurarsi così: “chi ha avuto, ha avuto, e sta ancora avendo; chi ha dato, e sta ancora dando, continuerà a dare!”. Trattamenti molto diversi per situazioni simili, tra chi è già in quiescenza e chi deve ancora andarci.
    Non un gran bell’esempio di equità tra i cittadini!!…Poi per carità, meglio così…che la bancarotta dei conti pubblici!!

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