Il Dma nasce come strumento per aumentare la contendibilità dei mercati digitali nel mercato interno. Mentre la Commissione è alle prese con la sua piena attuazione, gli Usa premono per alleviarne l’impatto. Ma non può diventare un’arma negoziale.
Un regolamento che non piace Oltreoceano
Negli ultimi mesi si è riacceso il dibattito sul possibile uso strumentale del Digital Markets Act (Dma) da parte della Commissione europea nel contesto delle tensioni commerciali con gli Stati Uniti. Il rinnovato attivismo dell’amministrazione Trump sul fronte delle politiche commerciali, culminato nel memorandum del 21 febbraio 2025 che minaccia dazi in risposta al Dma e al Digital Services Act, mostra come gli Stati Uniti stiano attivamente tentando di interferire con l’attuazione del regolamento per tutelare gli interessi commerciali delle grandi piattaforme tecnologiche americane. Di conseguenza, alcuni osservatori hanno ipotizzato che Bruxelles possa rispondere strategicamente attraverso una più o meno severa applicazione del Dma, a seconda dell’utilità contingente nell’ambito dei negoziati commerciali con gli Stati Uniti.
Questa lettura è fuorviante e foriera di effetti indesiderati. Il Dma è uno strumento di regolamentazione concorrenziale, costruito su basi giuridiche ed economiche precise con l’obiettivo di ristabilire la contendibilità in mercati digitali ad altissima concentrazione, nei quali poche imprese rivestono ruoli determinanti. A titolo di esempio, Alphabet detiene una quota di mercato superiore al 90 per cento nel segmento dei motori di ricerca (Google) da oltre un decennio e risulta leader di mercato in quello dei sistemi operativi per dispositivi mobili (Android) e dei browser (Chrome). Interi segmenti di mercato sono gestiti nella quasi totalità da una, due o tre imprese. Bastano pochi esempi a confermarlo: nei servizi di messaggistica abbiamo Whatsapp e Messenger, entrambe possedute da Meta, nei browser Chrome e Safari-Apple, nei social network, ancora Meta, la cinese TikTok e l’americana X/Twitter (figura 1).
Figura 1 – Quote dei leader di mercato nei principali segmenti digitali in Europa, 2009-2024

Confondere uno strumento teso a risolvere queste criticità con una leva geopolitica rischia di comprometterne la legittimità e l’effettività.
Un quadro giuridico vincolante
Il Dma impone numerosi obblighi in capo ai cosiddetti gatekeeper – piattaforme dotate di considerevole potere economico nei mercati digitali – per evitare condotte abusive difficili da contrastare a posteriori con il diritto della concorrenza tradizionale. I comportamenti vietati spaziano dal self-preferencing (la pratica, da parte dei gestori delle piattaforme digitali, di favorire i propri prodotti o servizi rispetto a quelli di terzi) alla combinazione dei dati personali, fino all’obbligo di interoperabilità per permettere a operatori terzi di offrire i propri servizi sulle principali piattaforme a condizioni concorrenziali.
Sebbene la Commissione goda di un limitato margine di discrezionalità nell’interpretazione e applicazione della norma, le sanzioni previste (fino al 10 per cento del fatturato globale, 20 per cento in caso di recidiva) devono essere proporzionate e giustificate da violazioni specifiche. Diversamente, l’intero impianto regolatorio rischierebbe di essere invalidato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.
Se l’obiettivo fosse quello di rispondere a misure ostili adottate da paesi terzi, il mezzo per farlo esiste già: lo strumento anti-coercizione, entrato in vigore nel 2023, consente alla Commissione di reagire con contromisure tariffarie o commerciali. Il Dma, al contrario, non è stato concepito con questi obiettivi.
Il primo anno di attuazione: segnali di coerenza
L’attuazione del Dma, avviata formalmente il 6 marzo 2024, ha portato alla designazione di sette gatekeeper (Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, Booking, ByteDance), sei dei quali statunitensi, e ai primi procedimenti per inadempienza.
Le sanzioni imposte nel marzo 2025 – 500 milioni di euro ad Apple, 200 milioni a Meta – sono state relativamente contenute rispetto ai tetti massimi, segno che la Commissione intende incoraggiare la piena aderenza dei gatekeeper agli obblighi loro imposti tramite il cosiddetto “dialogo regolatorio”, più che assumere un approccio ostile e intransigente verso questi operatori. Allo stesso tempo, sarebbe necessario evitare una applicazione timida o selettiva del Dma, che potrebbe essere letta come una concessione politica, rischiando di indebolire la credibilità dello strumento.
Il test più importante: interoperabilità e pagamenti digitali
Un terreno in cui gli obblighi introdotti dal Dma possono avere un’importanza significativa riguarda i sistemi di pagamento mobile, in particolare il controllo, da parte dei produttori di dispositivi mobili e dei gestori dei principali ecosistemi digitali (tra cui Apple e Alphabet), dell’accesso alla tecnologia Near Field Communication (Nfc) e al Secure Element (Se) nei propri dispositivi. Limitare l’accesso a tali componenti ostacola l’emersione di portafogli elettronici alternativi a quello offerto dal produttore del dispositivo mobile e, di conseguenza, impedisce la contendibilità del mercato dei servizi digitali di pagamento.
In questo contesto, l’inadeguata attuazione dell’obbligo di interoperabilità da parte dei principali gestori di sistemi operativi mobili potrebbe limitare anche la fruibilità dell’euro digitale. Infatti, qualora l’unico canale di accesso per i pagamenti mobili tap&go fosse riservato ai portafogli elettronici offerti dai gatekeeper, non ci sarebbe la possibilità per operatori terzi di fornire servizi alternativi a condizioni competitive. L’effettiva applicazione dell’articolo 33 della proposta di regolamento sull’euro digitale è uno strumento per evitarlo. Infatti, la sua applicazione imporrà ai produttori di dispositivi di pagamento di garantire l’accesso a tutte le componenti hardware e software necessarie anche a chi fornisce servizi di pagamento in euro digitale a condizioni “eque, ragionevoli e non discriminatorie”. L’obbligo prescinderebbe dal fatto che i produttori ricadano nell’ambito di applicazione del Dma.
Il rischio da evitare
L’Unione europea ha deciso di colmare un vuoto regolatorio nei mercati digitali attraverso una disciplina ambiziosa ma coerente con i principi della concorrenza. Il rischio di utilizzare il Dma come arma di ritorsione commerciale – o, al contrario, di non applicarlo per convenienza diplomatica – va evitato. Sarebbe una vittoria effimera per un danno duraturo.
In un contesto già carico di tensioni economiche e commerciali, è essenziale preservare la natura del Dma come strumento tecnico, credibile e orientato al lungo periodo. Per la politica commerciale, l’Ue ha (e può usare) altri strumenti. Ma per agevolare il funzionamento dei mercati digitali e aumentarne la contendibilità serve che il Dma resti quello che è: uno strumento di regolazione concorrenziale, non una leva negoziale.
* Le opinioni espresse in questo contributo hanno carattere personale e non vanno attribuite alla Banca d’Italia.
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Kim ALLAMANDOLA
Gli USA, beh, l’amministrazione corrente, big tech, han dalla loro un’arma assai potente: il fatto che la cleptocrazia bancaria nostrana munge i più come limoni ed è pure assai disfunzionale, non sono solo le commissioni: trasferire un D/A prende anche un mese e più, bonifici esteri han regolarmente problemi, si impongono siti spazzatura ed app che oltre esser spazzatura e problemi di sicurezza enormi, in violazione della stessa DSP/PSD2 (sullo stesso dispositivo vi è sia tutto ciò che serve all’autenticazione sia la possibilità di operare), sono insostenibili, OpenBank è limitata volutamente ai soli istituzionali e anche usandola con intermediari costosi è oscenamente implementata dal grosso delle banche. Per dirla altrimenti noi Cittadini delle banche non ne possiamo più, gli USA han scelto di far le scarpe con le crypto al mondo bancario e stanno avendo successo. Dal Geneva Report 2019 all’ultima conferenza dell’ISPI il mondo bancario lo sa bene.
Cercare di colpire big tech mentre questa sta guadagnando terreno è come esser chiusi in un recinto con un toro inferocito ed incitarlo ancora, non una mossa saggia. L’UE deve capire una buona volta che l’evoluzione non si ferma, serve digitalizzare sul serio e la sola vera arma che abbiamo per farlo è far fallire big tech imponendo FLOSS ed Open Hardware, non altro. Così facendo tutti siamo sovrani anziché giocare ai copycat degli USA con 50+ anni di ritardo sia tecnologico che MENTALE.
La BCE ha ben ragione a voler l’Euro digitale, come le banche UE han ben ragione a capire che il giochino della riserva frazionaria e del “debito pubblico” venduto come analogo a quello privato non è sostenibile e finisce con le valute digitali, ma il fatto è che non c’è scelta. Come ha ben ragione la Commissione a volere software sovrano, ma questo passa per il FLOSS non per potentati locali in divenire con carrozzoni come Gaia-X, e passa per la privacy come il GDPR da estendere, non già ChatControl.
La sostanza è che l’arma negoziale è scegliere la Democrazia anziché la dittatura, non una dittatura più stretta ancora di quella avversa.