L’atteggiamento dell’amministrazione Trump sui dazi ha provocato molta incertezza nel commercio internazionale. E preoccupazione nelle opinioni pubbliche. Il tema suscita lo stesso interesse negli Usa? Dipende dal candidato votato alle presidenziali.  

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L’incertezza causata dalla guerra commerciale

Almeno per quanto riguarda i rapporti tra Stati Uniti e Unione europea e almeno per il momento, la guerra commerciale sembra aver trovato una tregua temporanea, grazie all’intesa preliminare che prevede l’imposizione di un dazio del 15 per cento sui beni esportati dall’Europa verso gli Stati Uniti. Allo stato attuale, però, non è ancora stato formalizzato alcun accordo vincolante tra la Commissione europea e il governo statunitense: si tratta, dunque, di una sospensione momentanea delle tensioni, più che di una risoluzione definitiva. La riduzione dell’incertezza rappresenta comunque un segnale di rilievo, ma non è priva di potenziali conseguenze economiche, verosimilmente di carattere negativo.

Fin dai primi giorni del suo mandato, la nuova amministrazione repubblicana guidata da Donald Trump ha introdotto un elevato grado di incertezza in materia di politica commerciale, che non ha riguardato esclusivamente le relazioni con l’Unione europea, ma si è estesa a tutto lo spettro dei rapporti commerciali internazionali degli Stati Uniti. In particolare, la disputa con la Cina rimane aperta e continua a rappresentare uno dei principali fronti di instabilità.

L’andamento dell’incertezza è chiaramente illustrato nella figura 1, che mostra l’evoluzione dell’indice di Trade Policy Uncertainty (Tpu), L’indice è cresciuto costantemente negli mesi, con il valore del secondo trimestre del 2025 che è il triplo di quello del quarto del 2024, i livelli più elevati mai osservati dalla sua rilevazione, avviata nel 1960. 

Figura 1 – Trade Policy Uncertainty Index

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Fonte: https://www.matteoiacoviello.com/tpu.htm aggiornati al 28 luglio e distribuiti secondo la licenza CC BY 4.0 Deed – Attribuzione 4.0 Internazionale – Creative Commons; elaborazione degli autori. Le aree evidenziate in grigio corrispondono ai due mandati di Trump.

Democratici e repubblicani danno un’attenzione diversa al tema

Alla luce del caos generato dai continui mutamenti nelle politiche commerciali – negli ultimi sei mesi caratterizzate da un susseguirsi di proposte, annunci, revisioni e ritiri di misure, talvolta con cadenza quasi quotidiana – in un recente lavoro ci siamo chiesti se l’elettorato democratico e quello repubblicano diano lo stesso livello di attenzione all’evoluzione delle tariffe. Per indagare questa relazione, abbiamo sfruttato le differenze fra stati federali nell’esito delle elezioni presidenziali del 2024, e nel volume di ricerche su Google relative alle tariffe. 

Analizzando i primi tre mesi del secondo mandato di Donald Trump – un periodo particolarmente turbolento, durante il quale si sono verificati numerosi eventi legati alle politiche commerciali statunitensi – abbiamo riscontrato una dinamica interessante. In particolare, il volume di ricerche su Google relative alle tariffe – riportate nella figura 2 a sinistra, con colore tanto più scuro quanto più le ricerche sono intense – risultava inferiore negli stati che, alle ultime elezioni presidenziali, avevano espresso un maggiore sostegno a Trump – gli stati di colore rosso nel grafico a destra, col rosso tanto più intenso quanto maggiore era il divario rispetto a Kamala Harris. Al contrario, negli stati che avevano manifestato una preferenza per Kamala Harris – gli stati di colore blu nel grafico a destra – si osservava un livello di interesse sensibilmente più elevato. 

Secondo un’ampia letteratura economica, un volume maggiore di ricerche online è generalmente interpretato come indicatore di una più alta attenzione – e, spesso, preoccupazione – nei confronti di un determinato tema. Data anche la significatività statistica della correlazione fra i voti e il volume di ricerche (-69 per cento), possiamo concludere che gli stati a prevalenza repubblicana appaiono, in media, meno preoccupati dalle politiche tariffarie rispetto a quelli a prevalenza democratica.

Figura 2 – Volume di ricerche su Google riguardo le tariffe (a sinistra) ed esito delle elezioni presidenziali federali, a livello di Stato federale (a destra). Il Distretto di Columbia è escluso da entrambi i grafici

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Fonte: figura 2 di  Donadelli e Gerotto (2025) modificata a colori e distribuita secondo la licenza CC BY 4.0 Deed – Attribuzione 4.0 Internazionale – Creative Commons

Analisi più dettagliate sui singoli eventi, condotte a livello giornaliero e con l’inclusione di ulteriori variabili di controllo, ci hanno consentito di evidenziare come il divario nell’interesse sia stato particolarmente marcato in occasione dell’annuncio o dell’entrata in vigore di misure protezionistiche messe in atto dall’amministrazione statunitense. Queste politiche sembrano suscitare un livello di attenzione – e, presumibilmente, di preoccupazione – decisamente più elevato tra l’elettorato democratico rispetto a quello repubblicano. Una dinamica simile, sebbene di entità più contenuta, si riscontra anche in relazione alle contromisure commerciali annunciate o adottate da altri attori internazionali – in particolare Canada, Cina e Unione europea – in risposta alle iniziative protezionistiche degli Stati Uniti.

Questo è in parte sorprendente, o quantomeno non poi così scontato. Studi precedenti, infatti, avevano mostrato come le misure che la Cina aveva adottato durante il primo mandato di Donald Trump – come reazione alle politiche protezionistiche statunitensi – avevano colpito in particolar modo le aree dove prevaleva l’elettorato dell’attuale presidente. Almeno sulla carta, poteva essere un motivo sufficiente per far sì che l’elettorato repubblicano tenesse un orecchio teso per informarsi, se non sulle politiche del presidente da loro scelto, alle quali potevano guardare con fiducia, quantomeno sulle reazioni degli altri paesi; ma a quanto pare non è stato così.

Quel che si può concludere dalle nostre analisi è che, almeno nei primi tre mesi, a prevalere sono state dinamiche fortemente influenzate dalle preferenze politiche. L’elettorato favorevole a Kamala Harris – che spesso risiede in stati più urbanizzati e con economie più integrate nei mercati globali – ha mostrato una sensibilità significativamente più elevata rispetto ai potenziali effetti di una o più guerre commerciali. Al contrario, l’elettorato di Donald Trump, pur essendo stato in passato direttamente colpito dalle misure ritorsive adottate da altri paesi, manifesta un livello di preoccupazione decisamente più contenuto.

Le conseguenze della polarizzazione

La divergenza può essere ricondotta a diversi fattori. In primo luogo, la fiducia nella leadership politica può ridurre l’incentivo a monitorare criticamente l’adeguatezza delle politiche adottate – un meccanismo ben documentato nella letteratura. A ciò si aggiungono la maggiore condivisione ideologica delle misure protezionistiche e la narrazione più favorevole offerta dai media conservatori, che possono contribuire a contenere la percezione del rischio tra l’elettorato repubblicano.

Le implicazioni della polarizzazione sono rilevanti e meritano di essere attentamente monitorate nel tempo. La distribuzione della preoccupazione sul tema tra i diversi stati (e i diversi elettori) potrebbe ad esempio cambiare qualora i consumatori iniziassero a osservare effetti reali delle misure sui prezzi, sulla disoccupazione o semplicemente sulla fornitura di alcuni beni. Qualora la dicotomia dovesse invece persistere, vi sarebbe il rischio concreto che le politiche protezionistiche – pur comportando costi evidenti, come segnalato anche dall’andamento dei mercati finanziari – continuino a essere oggetto di un sostegno marcato da parte dell’elettorato repubblicano e, al contempo, di una forte opposizione da parte di quello democratico. Una simile configurazione potrebbe accentuare ulteriormente le disparità regionali, dato che la distribuzione geografica degli orientamenti politici riflette, in larga parte, la struttura economica dei singoli stati. Nel lungo periodo, tale dinamica rischia di innescare un circolo vizioso in cui la polarizzazione territoriale sulle politiche commerciali si autoalimenta, rendendo sempre più complesso il raggiungimento di un consenso bipartisan su eventuali percorsi di liberalizzazione del commercio – anche nei casi in cui le condizioni macroeconomiche ne renderebbero auspicabile l’attuazione.

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