Quei territori francesi a zero disoccupazione

Per ridurre la disoccupazione di lunga durata di persone con scarse possibilità di inserirsi nel mercato del lavoro, la Francia ha avviato una sperimentazione, che ha dato buoni risultati per chi vi partecipa. I costi e i benefici per lo stato.

L’esperimento francese

Avviata nel 2016 e prorogata nel 2020, la sperimentazione “Territoires Zéro Chômeur de Longue Durée” (territori a zero disoccupazione di lunga durata) rappresenta un’iniziativa originale della politica sociale francese. Il suo obiettivo è di ridurre la disoccupazione di lunga durata offrendo a persone da tempo escluse dal mercato del lavoro, caratterizzate da forte vulnerabilità e con poche prospettive lavorative, un contratto a tempo indeterminato all’interno di imprese create appositamente per il programma. Queste imprese, che hanno sede in territori che si sono candidati volontariamente, sviluppano attività socialmente utili e non concorrenziali, adattabili alle competenze di ogni lavoratore. Le loro attività sono sostenute finanziariamente da un fondo statale. 

Dopo una prima fase limitata a dieci territori, nel 2021 la sperimentazione è stata ampliata ad altri cinquanta. La seconda fase è stata oggetto di una valutazione ufficiale, condotta sotto la supervisione di un comitato scientifico nominato dal ministero del Lavoro. Insieme ai miei coautori abbiamo analizzato gli effetti quantitativi della politica sulle prospettive lavorative dei beneficiari e abbiamo condotto un’analisi costi-benefici per lo stato. Il rapporto finale, frutto di questo lavoro, è stato reso pubblico il 23 settembre.

Gli effetti dal punto di vista dei beneficiari

L’analisi mostra effetti importanti. Se la politica non fosse stata introdotta, tre quarti dei beneficiari sarebbero rimasti senza impiego un anno più a lungo, e l’effetto rimane elevato (62 per cento) anche due anni dopo l’assunzione. In modo ancora più marcato, la sperimentazione favorisce l’ottenimento di contratti stabili a tempo indeterminato, ai quali quasi nessun beneficiario avrebbe avuto accesso senza il programma.

Sul piano economico, il guadagno per chi partecipa al programma è considerevole: in media, il reddito mensile raddoppia, passando da circa 700 euro a 1.500 euro. Se in precedenza era costituito principalmente dai sussidi di disoccupazione e dal reddito minimo garantito (Rsa), dopo l’ingresso nel programma la maggior parte del reddito non deriva più dagli aiuti statali, ma deriva quasi interamente dal salario. 

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I costi e i benefici per lo stato

I cambiamenti introdotti dalla misura hanno implicazioni dirette per le finanze pubbliche, aprendo il tema del bilancio costi-benefici per lo stato. Il programma comporta infatti spese onerose: richiede il finanziamento dei salari e il sostegno delle imprese nel lungo termine. Una scelta che lo distingue dalle altre politiche di inserimento, che in genere propongono contratti di pochi mesi nella speranza che i beneficiari riescano poi a riconvertirsi nel mercato del lavoro ordinario. Dall’altro lato, i beneficiari di Tzcld escono stabilmente dalla precarietà: smettono di ricevere prestazioni sociali, iniziano a pagare imposte sul reddito e, in prospettiva, possono trarre vantaggi più ampi in termini di salute e benessere, con ricadute positive anche per le loro famiglie.

La nostra analisi costi-benefici, focalizzata unicamente sull’aspetto finanziario, stima che i costi evitati e le entrate aggiuntive per lo stato ammontino in media a circa 8mila euro per persona nel primo anno, coprendo così circa il 50 per cento della spesa lorda del programma. Questa valutazione, tuttavia, non considera il costo sociale della disoccupazione né gli effetti indiretti, più difficili da quantificare, come l’impatto sulle famiglie e, più in generale, sulla vitalità dei territori coinvolti.

Nel complesso, quest’esperienza si presenta come una politica innovativa, capace di offrire una soluzione duratura alla disoccupazione di persone molto lontane dal mercato del lavoro e con scarse possibilità di inserirsi attraverso altri strumenti. Sebbene non sia stato possibile quantificare i benefici non finanziari nel caso francese, un’esperienza simile condotta in Austria ha dimostrato che programmi di questo tipo favoriscono la salute mentale, rafforzano il senso di appartenenza e migliorano il benessere complessivo. La filosofia che guida il progetto – secondo cui nessuno è non impiegabile – rappresenta un cambio di paradigma rispetto all’assistenza tradizionale e offre uno spunto prezioso anche per altri paesi. Ciononostante, per contenere i costi di una misura del genere, qualora fosse resa permanente, è fondamentale che resti mirata alle persone più vulnerabili e vista come ultima risorsa.

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  1. Enrico

    Da noi invece i lavori socialmente utili sono stati demonizzati come uno spreco insostenibile. Se i lavoratori in Cig da troppi anni fossero tolti alle imprese che non sanno come utilizzarli per impiegarli invece in attività produttive per le comunità locali si determinerebbe anche una pressione al rialzo sui salari dei lavoratori in attività. Forse è per questo che il RdC (che corrispondeva allo SMIC francese, che si aggira sui 12 euro all’ ora!) e gli LSU sono stati aboliti.

  2. bob

    in italia con un minina “tassazione di scopo dell0 0,00000..” si potrebbero rigenerare le città in termini di decoro, pulizia, sicurezza. In certe strade di Roma come Milano ma anche città di provincia ormai ci sono erbacce alte come alberi, rimettere in ordine la segnaletica , togliere le scritte sui muri. E’ l’economia che lo Stato dovrebbe fare, per la Grande Economia dovrebbe essere solo il controllore e il datore delle regole. Ma poi conflitto di interessi? Nel mondo si misura su lobby multinazionali e interessi diffusi , in Italia sugli interessi del l gestore del bar all’angolo o dal giardiniere di turno

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