Sembra facile tassare la ricchezza

La quota di ricchezza detenuta dall’1 per cento più ricco della popolazione è salita costantemente negli Usa e in Europa. Si affacciano così proposte di tasse patrimoniali. Ma conviene prima analizzare gli effetti che potrebbero avere su Pil e crescita.

La ricchezza concentrata e la Zucman tax

A lungo confinato al dibattito politico, il tema della disuguaglianza della ricchezza è tornato al centro dell’analisi economica, almeno dalla pubblicazione de Il capitale nel XXI secolo di Thomas Piketty, nel 2013.  

La centralità del problema emerge chiaramente dai dati (figura 1) che mostrano come la quota di ricchezza detenuta dall’1 per cento più ricco della popolazione non è solo elevata, ma anche cresciuta costantemente negli ultimi decenni.

Figura 1

Ciò ha dato vita a un intenso dibattito sull’opportunità di tassare la ricchezza. Un esempio è la recente proposta di Gabriel Zucman in Francia: una patrimoniale annuale minima del 2 per cento sopra i 100 milioni di euro. L’idea ha generato reazioni contrastanti. Philippe Aghion (premio Nobel di quest’anno) e altri sei economisti, in un articolo su Le Monde, hanno argomentato che la “Zucman tax” porterebbe a una ridotta crescita economica.

Distinguere il problema morale dal problema economico

Per meglio comprendere la discussione è innanzitutto necessario distinguere il problema morale dal problema economico, perché una sorta di morale giacobina indiscutibilmente sottende alle giustificazioni proposte per la Zucman tax. 

Dal punto di vista economico, tassare la ricchezza riduce il rendimento del capitale e, con esso, l’incentivo ad accumularla. Ma per un’analisi accurata è importante comprendere le cause del fenomeno: L’aumento della disuguaglianza dipende dalla riduzione della progressività fiscale nel tempo? Oppure da crescita e innovazione che hanno aumentato la redditività del capitale di rischio? O ancora dall’espansione del potere di mercato di chi detiene tale capitale? Di conseguenza, chi sono i “ricchi”? Si tratta soprattutto di “rentier” o di imprenditori? Percettori di redditi da capitale o anche da lavoro? Le risposte a queste domande comportano diverse conseguenze della tassazione della ricchezza rispetto a crescita e redistribuzione. 

Oggi è possibile rispondere ad alcune di queste domande. Negli ultimi anni la ricerca economica ha infatti fornito importanti nuovi elementi e strumenti di analisi, anche grazie allo sviluppo di banche dati come WID.world e Realtime Inequality – da parte proprio di Thomas Piketty, con Emmanuel Saez e Gabriel Zucman – e alla disseminazione di dati fiscali amministrativi sui patrimoni di tutti i contribuenti in Norvegia e Svezia, studiati in dettaglio ad esempio da  Andreas Fagereng e colleghi (2020) e da Laurent Bach e colleghi (2020).

Innanzitutto, la disuguaglianza patrimoniale è ovunque molto più ampia di quella del reddito, il che suggerisce fortemente che le sue cause risiedano soprattutto nella maggiore redditività del capitale, come mostrato da Benhabib e Bisin (2018). Non sorprende quindi che i dati sulla mobilità e sulla composizione dei patrimoni indichino che, ai vertici della distribuzione della ricchezza, prevalgono gli imprenditori rispetto ai semplici percettori di rendite. Riguardo alla progressività del sistema fiscale, Piketty, Saez, e Zucman (2019) documentano un trend negativo negli ultimo decenni, ma questa evidenza risulta molto più fragile qualora si considerino imposte, trasferimenti, sussidi, e previdenza sociale – non solo imposte – come componenti del sistema fiscale (almeno negli Stati Uniti), come evidenziato da Catherine e coautori (2025) e Splinter (2025)

Gli effetti di una tassa patrimoniale

Ma se la diseguaglianza dipende soprattutto dalla redditività del capitale investito dagli imprenditori e se il sistema fiscale nel suo complesso mantiene una sostanziale progressività, ne consegue che la stima della reazione dei contribuenti a una tassa patrimoniale risulti determinante nell’analisi degli effetti della tassazione della ricchezza. 

Un’idea dell’ordine di grandezza di questi effetti si può ottenere da uno studio recente di Chari e coautori (2025): una tassa patrimoniale imposta sull’1 per cento più ricco degli americani ridurrebbe il Pil di circa 1,3 dollari per ogni dollaro di gettito generato. 

Più in particolare, è importante considerare che i rendimenti del capitale sono eterogenei. Se i più elevati tali sono tali perché frutto di investimenti maggiormente produttivi, tassare la ricchezza può penalizzare le attività più redditizie dell’economia, a maggior ragione se la tassa fosse imposta sui rendimenti, spostando il peso fiscale verso chi utilizza il capitale in modo più produttivo: secondo Fatih Guvenen e coautori (2023) sostituire negli Stati Uniti l’imposta sul reddito da capitale con una tassa patrimoniale di pari gettito aumenterebbe la produttività aggregata di circa il 2 per cento. Implicazioni più favorevoli si hanno invece nel caso in cui elevati rendimenti riflettano in modo rilevante rendite di posizione, ad esempio legate al potere di mercato. In questo caso, una tassa patrimoniale progressiva può ridurre le distorsioni e favorire invece produzione e salari. Cremonini (2025) stima una riduzione degli effetti negativi della tassazione della ricchezza dell’ordine del 40 per cento per gli Stai Uniti.  

Infine, l’efficacia di una tassa sulla ricchezza dipende dalla sua capacità di generare gettito fiscale. Fenomeni come la fuga di capitali, l’elusione e l’evasione possono ridurne sensibilmente i risultati. In Svizzera, ad esempio, Brülhart e coautori (2022) hanno mostrato che un aumento di un punto dell’aliquota della tassa patrimoniale ha ridotto la ricchezza dichiarata del 43 per cento in sei anni. Risultati simili emergono da Jakobsen e coautori (2024) per Svezia e Danimarca. 

La discussione politica riguardo alla Zucman tax ben rappresenta il contributo dell’analisi economica alla questione. Gabriel Zucman, stima tra 20 e 25 miliardi di dollari di gettito in Francia. Ma se la diseguaglianza dipende soprattutto dalla redditività del capitale investito dagli imprenditori, la previsione sottovaluta significativamente le reazioni dei contribuenti alla tassa, sia in termini di evasione, elusione, fuga dei capitali che in termini di riduzione di investimenti produttivi. Questa è l’opinione di Philippe Aghion, Christian Gollier e molti altri oppositori che indicano un gettito molto inferiore — non oltre 5 miliardi – e un sostanziale impatto negativo sulla crescita. Tuttavia, la concentrazione del potere di mercato in un numero ridotto di imprese in Francia (Burstein e coautori, 2025) suggerisce che gli effetti distorsivi ipotizzati da Aghion e colleghi potrebbero essere attenuati.

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  1. pietro

    Tema assai interessante e da approfondire.
    Sapreste dare una spiegazione alla discesa che fa la curva del grafico in Figura 1, grossomodo tra 2012 e 2016, in Italia? (Prima che io attribuisca tutto il merito a Matteissimo Renzi e alle sue politiche, cosa che poi finirò per fare comunque..?)

    Grazie per il vostro lavoro

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