Il fundraising pubblico per i comuni o altri enti non è solo una risposta alla scarsità di fondi, ma un nuovo paradigma di governance. Con bilanci sempre più risicati, l’alleanza pubblico-privato diventa una necessità. E Genova dà l’esempio.

I bilanci degli enti locali

Negli ultimi vent’anni, gli enti locali italiani si sono trovati in un equilibrio sempre più precario tra risorse in calo e bisogni crescenti. I tagli ai trasferimenti statali, i vincoli del pareggio di bilancio e la domanda di servizi più moderni hanno ridotto gli spazi di manovra dei comuni. Per continuare a garantire qualità, innovazione e inclusione, cresce la necessità di integrare i fondi pubblici con risorse esterne.

In questo scenario si inserisce il fundraising pubblico, ossia l’attività con cui un ente locale mobilita risorse economiche, materiali o professionali da cittadini, imprese e fondazioni, per sostenere progetti di interesse collettivo. Non si tratta solo di “chiedere soldi”, ma di costruire partnership fondate su fiducia, trasparenza e obiettivi condivisi.

Che cos’è e come funziona la raccolta fondi pubblica

Nel settore pubblico, la raccolta fondi assume forme diverse. Le più diffuse sono: le sponsorizzazioni, in cui un’azienda finanzia un progetto in cambio di visibilità o ritorno reputazionale; le donazioni liberali, contributi senza contropartita economica; gli art bonus, che riconoscono un credito d’imposta del 65 per cento a chi sostiene interventi culturali; il crowdfunding civico, dove i cittadini finanziano online progetti urbani e sociali.

Tutte queste pratiche sono disciplinate dal codice dei contratti pubblici (Dlgs 36/2023), dal Tuel – Testo unico enti locali (Dlgs 267/2000) e, per la trasparenza, dalla legge 190/2012 e dal Dlgs 33/2013. In questo quadro, le amministrazioni possono pubblicare semplici “avvisi” per cercare sponsor o accettare proposte spontanee da privati, senza le complessità di una gara formale.

I fondi raccolti dagli enti pubblici possono finanziare una vasta gamma di iniziative di interesse collettivo. Gli ambiti principali riguardano la rigenerazione e riqualificazione urbana – come adozione e manutenzione di aree verdi, spazi pubblici o luoghi di aggregazione – lo sport, la cultura e lo spettacolo, il sociale (educazione, inclusione, tutela della salute e dell’ambiente) e l’edutainment, cioè progetti che uniscono educazione e intrattenimento, come mostre e percorsi formativi interattivi. Non mancano poi le attività legate ai media e alla comunicazione istituzionale. Le azioni devono però essere condotte nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità e legalità, a garanzia di un uso corretto delle risorse e di un reale beneficio per la comunità. 

Un modello che funziona: il comune di Genova

Non esistono banche dati pubbliche e sistematiche che permettano di mappare in modo esaustivo e comparabile l’entità delle risorse raccolte tramite attività di fundraising pubblico in Italia – e, a maggior ragione, a livello internazionale. Se è vero che ci sono alcune iniziative settoriali o nazionali che compilano dati sulla raccolta di fondi in vari contesti, nessun archivio consente di isolare in modo chiaro e aggiornato le risorse raccolte da amministrazioni pubbliche, né tantomeno di confrontare periodi, tipologie di ente o ambiti territoriali. La carenza di informazioni rende difficoltoso valutare con precisione quanto il fundraising possa contribuire su scala nazionale alla sostenibilità finanziaria delle amministrazioni locali.

Uno studio sul comune di Genova può, però, fornire indicazioni utili per comprendere le potenzialità di questa fonte di finanziamento. Il comune di Genova ha creato un ufficio relazioni con aziende e fundraising che coordina le attività di raccolta fondi e sponsorizzazione. L’ufficio promuove progetti in ambiti culturali, sociali e ambientali, favorendo la collaborazione con imprese e cittadini. Nel 2024 sono stati realizzati 106 progetti in vari ambiti (si veda la tabella 1 per un elenco di quelli più rilevanti).

Un’analisi dettagliata dei dati interni ha consentito di calcolare i costi di struttura dell’ufficio – che si occupa esclusivamente di fundraising – che incidono solo per il 7,2 per cento sui fondi raccolti, dimostrando che il modello è sostenibile e replicabile. I costi includono quelli diretti relativi a personale, formazione, comunicazione, affitti, utenze e software, e quelli indiretti riconducibili a sessanta funzionari amministrativi delle diverse direzioni del comune di Genova designati quali referenti di progetti di ricerca fondi, ognuno conteggiato per il 10 per cento del loro tempo lavorativo. L’esperienza genovese mostra come una gestione professionalizzata, basata su competenze di comunicazione e project management, possa generare valore pubblico aggiuntivo senza gravare sui bilanci.

Un’opportunità non solo per le grandi città

Se per città metropolitane come Genova, Milano o Torino la creazione di uffici dedicati è economicamente giustificata, per i comuni più piccoli la sfida è diversa. I costi fissi – personale, formazione, strumenti digitali – rendono difficile sostenere una struttura interna. In questi casi, possono risultare più efficienti modelli intercomunali o l’adesione a reti territoriali di fundraising, che condividano competenze e strumenti di raccolta.

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