In Italia l’ha proposta il segretario della Cgil, ma di patrimoniale si discute ovunque. Perché la ricchezza è sempre più concentrata nelle mani di pochissimi. Conviene però chiedersi quali effetti potrebbe avere una tassa di questo tipo su Pil e crescita.
Il dibattito sulla patrimoniale
La quota di ricchezza detenuta dall’1 per cento più ricco della popolazione è salita costantemente negli Usa e in Europa. Ciò ha dato vita a un intenso dibattito sull’opportunità di tassare la ricchezza. La discussione non è solo accademica, anche il mondo politico e sindacale hanno iniziato a discuterne, talvolta solo per negare che una patrimoniale sia all’ordine del giorno. In ogni caso, circolano in Europa – e non solo – varie idee specifiche di imposizione patrimoniale. Ne è un esempio, in Italia, la proposta del segretario della Cgil Maurizio Landini, che punta a introdurre un “contributo di solidarietà” annuale dell’1,3 per cento sui patrimoni netti superiori a 2 milioni di euro. In Francia, trova grande sostegno tra i cittadini la proposta dell’economista Gabriel Zucman, una patrimoniale annuale minima del 2 per cento ma solo sopra i 100 milioni di euro. Negli ultimi giorni si è aggiunto il neo-sindaco di New York, che pensa di finanziare le promesse fatte in campagna elettorale con un prelievo sulle società e sulle fortune sopra a 1 milione di euro.
Riproponiamo dunque un contributo che, senza entrare in una analisi dei dettagli specifici delle singole proposte, suggerisce che prima di introdurne una conviene analizzare gli effetti che l’imposta patrimoniale potrebbe avere su Pil e crescita.
La ricchezza concentrata e la Zucman tax
A lungo confinato ai margini del dibattito, il tema della disuguaglianza della ricchezza è tornato al centro dell’analisi economica, almeno dalla pubblicazione de Il capitale nel XXI secolo di Thomas Piketty, nel 2013.
La centralità del problema emerge chiaramente dai dati (figura 1) che mostrano come la quota di ricchezza detenuta dall’1 per cento più ricco della popolazione non è solo elevata, ma anche cresciuta costantemente negli ultimi decenni.
Figura 1

Da questi dati nasce il dibattito sull’opportunità di tassare la ricchezza.
Distinguere il problema morale dal problema economico
Per meglio comprendere la discussione è innanzitutto necessario distinguere il problema morale dal problema economico, perché una sorta di morale giacobina indiscutibilmente sottende alle giustificazioni proposte per la Zucman tax e la patrimoniale immaginata da Maurizio Landini. .
Dal punto di vista economico, tassare la ricchezza riduce il rendimento del capitale e, con esso, l’incentivo ad accumularla. Ma per un’analisi accurata è importante comprendere le cause del fenomeno: L’aumento della disuguaglianza dipende dalla riduzione della progressività fiscale nel tempo? Oppure da crescita e innovazione che hanno aumentato la redditività del capitale di rischio? O ancora dall’espansione del potere di mercato di chi detiene tale capitale? Di conseguenza, chi sono i “ricchi”? Si tratta soprattutto di “rentier” o di imprenditori? Percettori di redditi da capitale o anche da lavoro? Le risposte a queste domande comportano diverse conseguenze della tassazione della ricchezza rispetto a crescita e redistribuzione.
Oggi è possibile rispondere ad alcune di queste domande. Negli ultimi anni la ricerca economica ha infatti fornito importanti nuovi elementi e strumenti di analisi, anche grazie allo sviluppo di banche dati come WID.world e Realtime Inequality – da parte proprio di Thomas Piketty, con Emmanuel Saez e Gabriel Zucman – e alla disseminazione di dati fiscali amministrativi sui patrimoni di tutti i contribuenti in Norvegia e Svezia, studiati in dettaglio ad esempio da Andreas Fagereng e colleghi (2020) e da Laurent Bach e colleghi (2020).
Innanzitutto, la disuguaglianza patrimoniale è ovunque molto più ampia di quella del reddito, il che suggerisce fortemente che le sue cause risiedano soprattutto nella maggiore redditività del capitale, come mostrato da Benhabib e Bisin (2018). Non sorprende quindi che i dati sulla mobilità e sulla composizione dei patrimoni indichino che, ai vertici della distribuzione della ricchezza, prevalgono gli imprenditori rispetto ai semplici percettori di rendite. Riguardo alla progressività del sistema fiscale, Piketty, Saez, e Zucman (2019) documentano un trend negativo negli ultimo decenni, ma questa evidenza risulta molto più fragile qualora si considerino imposte, trasferimenti, sussidi, e previdenza sociale – non solo imposte – come componenti del sistema fiscale (almeno negli Stati Uniti), come evidenziato da Catherine e coautori (2025) e Splinter (2025).
Gli effetti di una tassa patrimoniale
Ma se la diseguaglianza dipende soprattutto dalla redditività del capitale investito dagli imprenditori e se il sistema fiscale nel suo complesso mantiene una sostanziale progressività, ne consegue che la stima della reazione dei contribuenti a una tassa patrimoniale risulti determinante nell’analisi degli effetti della tassazione della ricchezza.
Un’idea dell’ordine di grandezza di questi effetti si può ottenere da uno studio recente di Chari e coautori (2025): una tassa patrimoniale imposta sull’1 per cento più ricco degli americani ridurrebbe il Pil di circa 1,3 dollari per ogni dollaro di gettito generato.
Più in particolare, è importante considerare che i rendimenti del capitale sono eterogenei. Se i più elevati tali sono tali perché frutto di investimenti maggiormente produttivi, tassare la ricchezza può penalizzare le attività più redditizie dell’economia, a maggior ragione se la tassa fosse imposta sui rendimenti, spostando il peso fiscale verso chi utilizza il capitale in modo più produttivo: secondo Fatih Guvenen e coautori (2023) sostituire negli Stati Uniti l’imposta sul reddito da capitale con una tassa patrimoniale di pari gettito aumenterebbe la produttività aggregata di circa il 2 per cento. Implicazioni più favorevoli si hanno invece nel caso in cui elevati rendimenti riflettano in modo rilevante rendite di posizione, ad esempio legate al potere di mercato. In questo caso, una tassa patrimoniale progressiva può ridurre le distorsioni e favorire invece produzione e salari. Cremonini (2025) stima una riduzione degli effetti negativi della tassazione della ricchezza dell’ordine del 40 per cento per gli Stai Uniti.
Infine, l’efficacia di una tassa sulla ricchezza dipende dalla sua capacità di generare gettito fiscale. Fenomeni come la fuga di capitali, l’elusione e l’evasione possono ridurne sensibilmente i risultati. In Svizzera, ad esempio, Brülhart e coautori (2022) hanno mostrato che un aumento di un punto dell’aliquota della tassa patrimoniale ha ridotto la ricchezza dichiarata del 43 per cento in sei anni. Risultati simili emergono da Jakobsen e coautori (2024) per Svezia e Danimarca.
La discussione politica riguardo alla Zucman tax ben rappresenta il contributo dell’analisi economica alla questione. Gabriel Zucman, stima tra 20 e 25 miliardi di dollari di gettito in Francia. Ma se la diseguaglianza dipende soprattutto dalla redditività del capitale investito dagli imprenditori, la previsione sottovaluta significativamente le reazioni dei contribuenti alla tassa, sia in termini di evasione, elusione, fuga dei capitali che in termini di riduzione di investimenti produttivi. Questa è l’opinione di Philippe Aghion, Christian Gollier e molti altri oppositori che indicano un gettito molto inferiore — non oltre 5 miliardi – e un sostanziale impatto negativo sulla crescita. Tuttavia, la concentrazione del potere di mercato in un numero ridotto di imprese in Francia (Burstein e coautori, 2025) suggerisce che gli effetti distorsivi ipotizzati da Aghion e colleghi potrebbero essere attenuati.
* L’articolo originale è stato pubblicato su lavoce.info il 30 ottobre 2025.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Alberto Bisin è professore di economia a New York University e Fellow della Econometric Society e della Society for the Advancement of Economic Theory (SAET). È membro di vari istituti di ricerca come l'NBER, il CEPR, il CESS di NYU. È Special Issue Editor per l’Economic Journal e ha svolto attività di Associate Editor presso varie riviste accademiche internazionali, tra cui il Journal of Comparative Economics, il Journal of Economic Theory, e Economic Theory.
I suoi maggiori contributi di ricerca sono nel campo della teoria dell'equilibrio economico generale, dello studio dell'economia compartimentale, e soprattutto nello studio teorico di vari fenomeni socio-economici, come la trasmissione intergenerazionale di tratti culturali e la dinamica delle istituzioni e del potere politico delle elites. La sua ricerca è pubblicata sulle migliori riviste accademiche. Ha curato l'Handbook of Social Economics (con Jess Benhabib e Matthew Jackson, per Elsevier) e l'Handbook of Historical Economics (con Giovanni Federico, per Elsevier/Academic Press).
È stato editorialista per i temi economici presso il quotidiano torinese La Stampa e per il quotidiano La Repubblica. È autore di un libro di divulgazione economica in italiano, Favole e Numeri (Università Bocconi Editore). È uno dei fondatori e redattori del blog NoiseFromAmeriKa.
Matteo Cremonini è dottorando in Economia presso l’Università Bocconi di Milano, dove ha conseguito anche il Master in Economia e Scienze Sociali. E’ stato Visiting PhD presso la New York University e Visiting Student presso il centro di ricerca IGIER. I suoi principali ambiti di ricerca sono la Finanza Pubblica e la Macroeconomia. Nei suoi lavori studia le implicazioni macroeconomiche e redistributive di politiche fiscali come le imposte sul reddito e sulla ricchezza.
Pietro Della Casa
Un paio di considerazioni.
1) tassare i ricchi è sempre stato molto difficile, perché questi hanno di norma il potere di difendersi in un modo o nell’altro, a maggior ragione in un mondo globalizzato dove i capitali si muovono come i pesci negli oceani
2) la progressività nella tassazione dei redditi e le tasse sui grandi patrimoni tendono (almeno nelle intenzioni) sia a rendere i capitali più produttivi attraverso la loro più uniforme distribuzione tra molteplici investitori, sia a contenere l’accumulo di potere inevitabilmente associato all’accumulo di ricchezza
3) queste misure si accordano con legittime aspirazioni egualitaristiche e contemporaneamente risuonano con una delle corde più sonore della natura umana, ossia l’invidia sociale
4) la questione di come e quanto sia opportuno “tassare la ricchezza” è probabilmente irrisolvibile in termini generali, essendo tra l’altro forse più politica che economica. Ricordo che negli USA durante in “New Deal” le tasse sul reddito potevano arrivare al 75%, oggi se non sbaglio il massimo è il 37%
Kim ALLAMANDOLA
Io avrei una domanda-suggerimento:
– se cancelliamo la riserva frazionaria E le tasse, tutte, secondo voi quanto sale l’inflazione? Io stimo un intorno di zero;
– se guardiamo un grafico oro/EUR e oro/prezzi al m² degli immobili su facciamo 20 anni, è il mercato immobiliare che è salito o l’EUR che è sceso? Lo stesso per circa ogni altro bene fisico da confrontare allo stesso modo.
Per dirla altrimenti: la ricchezza non si tassa perché i ricchi sanno che le tasse sono un furto nell’economia corrente, si tassa la classe media per realizzare l’Agenda 2030 per impoverimento progressivo, dicendo di voler tassare i ricchi, ma la classe media comincia ad averne le scatole non piene ma stronfie. Le crypto han tanti problemi, ma han già detto al mondo che il mondo bancario è FINITO, non serve più. La rapina non potrà durare ancora a lungo e più cercano di portarla avanti, anche contro le necessità di progresso tecnologico (si pensi alla spinta al fotovoltaico non in autoconsumo ma per grandi centrali di iniezione) e un’ammissione alla volta si arriverà alla guerra civile.
Mauro Guerriero
Tassare la ricchezza può sembrare una soluzione semplice, ma la realtà è molto più complessa di quanto l’articolo suggerisca. La concentrazione di patrimonio dell’1 % più ricco è evidente, ma considerare solo le statistiche aggregative rischia di offrire una visione distorta: non tutti gli asset sono uguali, e gran parte della ricchezza non è immediatamente liquidabile.
Le esperienze internazionali, come quella della Svizzera citata nell’articolo, mostrano che aumentare le imposte sul patrimonio può provocare una significativa riduzione del patrimonio dichiarato. Ma attenzione: si tratta spesso di ricchezza spostata o nascosta, non di una reale redistribuzione. Gli effetti pratici? Investimenti bloccati, fuga di capitali, minore crescita economica.
Inoltre, l’analisi dell’articolo ignora un punto cruciale: i fondi raccolti tramite patrimoniali non sono automaticamente vantaggiosi. Senza una gestione strategica, rischiano di penalizzare chi investe in attività produttive, disincentivando la creazione di valore e riducendo il potenziale rendimento degli investimenti, anche per chi potrebbe beneficiarne indirettamente.
La soluzione non è semplificare il problema. Serve una valutazione realistica, basata su dati concreti e simulazioni dinamiche: quali asset saranno tassati? Qual è l’effetto sulle decisioni di investimento? Come può una patrimoniale influire su crescita, innovazione e mobilità dei capitali?
Tassare la ricchezza non è facile. È una decisione che richiede visione, analisi approfondita e attenzione agli effetti collaterali, altrimenti rischia di trasformarsi in un boomerang per chi si propone di ridurre le disuguaglianze. Invece di limitarsi a proporre l’imposta, dovremmo chiedere: come renderla efficace senza paralizzare il capitale e l’innovazione?
Umberto
Concordo.
Quindi smettetela di tassare il mio reddito.
Giuro che con i 14000 euro di tasse che pago ogni anno faccio aumentare il pil di 18200 euro.
Attendo.
Grazie
Giuliano
In Italia un passo facile da compiere è abbandonare il criterio dei vani per la determinazione della rendita catastale e passare ai metri quadri. Infatti se uno non fa le modifiche alla casa, la rendita della casa è basata sulla planimetria, cioè la tipologia di vani dichiarati 50 o 100 anni prima ma nel frattempo un bagno o una lavanderia può essere diventata una camera per cui la rendita è aumentata. E poil le case si vendono a metri quadri e non a vani.
Inoltre è da rivalutare le rendite dei terreni: tutto il boom dei vini probabilmente è basato sul fatto che le rendite agrarie e dominicali sono basse e gli affitti vengono tassati non in base al corrispettivo indicato in contratto ma alle rendite fondiarie.