Le conseguenze economiche del cambiamento climatico sono molto diverse da paese a paese. I più vulnerabili sono di gran lunga quelli in via di sviluppo. Ma anche per gli stati ricchi ci sono rischi. Il rating climatico può aiutarci a capire quali sono.

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Un rating per il rischio climatico

L’interesse per i rischi climatici di ciascun paese e per le relative opportunità legate alla transizione verde (investimenti, decarbonizzazione, prodotti cleantech e così via) sono cresciute nell’ultimo decennio, in particolare negli anni successivi all’Accordo di Parigi del 2015. Quest’ultimo ha delineato chiari percorsi di decarbonizzazione per ogni paese, espressi nei cosiddetti Ndc (Nationally Determined Contributions, o contributi determinati a livello nazionale).

Sappiamo valutare bene l’affidabilità creditizia di un paese, ma sappiamo fare altrettanto in termini di rischio climatico? Le metodologie di rating sovrano, per valutare la capacità e volontà di un paese di ripagare i propri debiti, hanno una lunga storia: ne esistono di consolidate sin dai primi decenni del 1900, con agenzie di rating riconosciute a livello mondiale. Invece, non esistono ancora standard internazionali per i “rating di rischio climatico”, che servono a valutare il rischio complessivo di un paese causato dal cambiamento climatico e la capacità di ciascuna economia di farvi fronte.

Gli indici a livello paese

Il Dipartimento di analisi economica della Banca europea per gli investimenti (Bei) ha sviluppato un indice per misurare il rischio climatico di oltre 170 paesi, valutando sia quello fisico che quello di transizione su base relativa, ovvero rispetto ad altri stati e rispetto alla dimensione delle loro economie.

I rating di rischio fisico combinano rischio acuto (cioè danni da eventi meteorologici estremi), il rischio cronico (gli impatti graduali, ad esempio, sull’innalzamento del livello del mare) e la capacità di adattamento, basata sulla capacità economica di rispondere agli shock e sulla capacità istituzionale del paese. Questo approccio, basato sulla rilevanza degli effetti in percentuale del Pil, fornisce automaticamente l’importanza relativa di ciascun fattore di rischio per ogni paese, risolvendo il problema di trovare pesi adeguati per ciascun fattore.

Il rischio di transizione riflette invece la diversa performance dei paesi nel passato, nel presente e nel prossimo futuro in termini di emissioni di CO₂ e di impegni per ridurle; rendite da combustibili fossili; diffusione delle energie rinnovabili; intensità energetica dell’attività economica; e ambizione delle politiche climatiche, basata sugli Ndc (Nationally Determined Contributions).

Le valutazioni esistenti – oggi pochissime – del rischio climatico a livello paese utilizzano un gran numero di indicatori (anche più di cinquanta) ponderati in modo equivalente, assegnando implicitamente pari importanza a un numero molto ampio di fattori di rischio (un approccio “all you can find”). Questo approccio seleziona le variabili maggiormente rilevanti, concentrandosi su un orizzonte temporale di 5-10 anni.

Quali sono i paesi più a rischio nel mondo?

I rating climatici a livello paese confermano che i rischi non sono distribuiti in modo uniforme nel mondo. Tutt’altro. Le economie emergenti e in via di sviluppo sono le più esposte al rischio fisico, in particolare agli eventi cosiddetti acuti – come uragani, inondazioni, incendi, all’innalzamento del livello del mare e al caldo. In generale, per le economie emergenti e in via di sviluppo, i pericoli maggiori sono le temperature elevate (poiché ulteriori aumenti di temperatura in ambienti già caldi incidono sulle attività umane e sulla produttività del lavoro) e i danni subiti dall’agricoltura, che è il settore che più dipende dalle condizioni meteorologiche. Tali economie riscontrano poi più difficoltà per ciò che concerne le misure di adattamento climatico, cioè quelle che permettono di proteggerci dagli effetti del clima rendendo, ad esempio, le infrastrutture più resilienti.

I piccoli stati insulari dei Caraibi sono sicuramente le economie più vulnerabili al cambiamento climatico. Per circa 120 paesi nel mondo, i danni economici derivanti dagli eventi climatici rappresentano uno o due decimali del Pil, anche se in termini assoluti si tratta di un ammontare estremamente elevato, pari a diverse decine di miliardi di dollari, oltre ai drammi umani connessi. Ma per i paesi caraibici, i frequenti eventi estremi legati al cambiamento climatico mettono sempre più alla prova la resistenza delle loro economie: per la grande maggioranza degli stati della regione, gli impatti rappresentano in media, ogni anno, più dell’1,5 per cento del Pil, e per alcuni oltre il 10 per cento del Pil.

Il rischio di transizione segue logiche ben diverse: è più rilevante per i produttori di combustibili fossili, e per quei paesi meno preparati alla transizione verso la neutralità carbonica in termini di efficienza energetica e diffusione delle energie rinnovabili. Inoltre, i paesi più benestanti risultato tra i più esposti, in quanto sono chiamati a ridurre le loro emissioni in maniera significativa.

Figura 1 – Contributo dei diversi fattori di rischio

Nota: media paese non pesata. La media globale è pari a 1.

Figura 2 – Rischio climatico per paese: fisico e di transizione

Nota: 5 – rischio elevato, 1 – rischio basso (in termini relativi). Gli stati dei Caraibi e del Pacifico (non visibili nella mappa) hanno elevato rischio fisico e rischio di transizione elevato o medio.

I rating di rischio climatico a livello paese possono rappresentare un’opportunità per identificare le priorità in termini di investimenti in mitigazione e adattamento, e i relativi fabbisogni di finanziamento. I risultati evidenziano l’importanza della cooperazione internazionale, poiché il cambiamento climatico è un fenomeno globale che colpisce i paesi in tutto il mondo, in modo alquanto disomogeneo, e richiede sforzi collettivi e coordinati.

* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire agli autori e non investono la responsabilità dell’istituzione di appartenenza.

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