Le compensazioni ai paesi che più subiscono i danni dei cambiamenti climatici sono un tema centrale della Cop 27. La scienza economica e sociale può aiutare a quantificare gli impatti del clima in modo rigoroso. E dare una base solida ai negoziati.

I danni del clima che cambia

Uno dei temi centrali in discussione alla Cop 27, la Conferenza delle Nazioni Unite, in corso in questi giorni in Egitto, sono le perdite e i danni (loss&damage) causati dai cambiamenti climatici. I paesi in via di sviluppo chiedono un impegno finanziario chiaro di sostegno contro i rischi climatici, ma le negoziazioni procedono lentamente. Una delle ragioni è che quantificare i danni dei cambiamenti climatici e le relative richieste finanziarie è un compito complesso. Le condizioni meteorologiche estreme causano perdite economiche significative. L’Agenzia europea per l’ambiente ha stimato una cifra di mezzo trilione di euro per la sola Europa negli ultimi 40 anni. Ma il meteo non è il clima, e le richieste di risarcimento del danno climatico necessitano di un’attribuzione affidabile degli effetti imputabili ai cambiamenti climatici rispetto alla variabilità meteorologica naturale, che tengano conto anche di fattori contestuali come la demografia e lo sviluppo economico.

La ricerca

In un nuovo lavoro mostriamo come la scienza economica del clima, sviluppatasi di recente, permetta di quantificare – seppure con margini di incertezza – i rischi economici legati al cambiamento climatico e di identificare sistemi di finanziamento compensativi.

Con un aumento della temperatura previsto a 1,4°C entro la fine del decennio, stimiamo che i danni climatici globali ammonterebbero a circa 700 miliardi entro il 2025 e 1,8 trilioni di dollari entro il 2030. In termini assoluti, la maggior parte degli impatti economici climatici si verificheranno nei paesi a reddito medio-basso. Si tratta di paesi situati principalmente in Africa e nel Sud/Sud-Est asiatico le cui economie sono in crescita ma ancora vulnerabili ed esposte ai rischi climatici. In termini relativi, i più colpiti saranno i paesi a basso reddito – i 25 paesi più poveri del mondo, tutti situati in Africa a eccezione dell’Afghanistan. Ciò sottolinea la necessità di dare priorità ai trasferimenti economici laddove sono più necessari sulla base del miglioramento del benessere e dell’eliminazione della povertà.

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Le conseguenze economiche dei cambiamenti climatici possono essere messe in relazione con la responsabilità storica del fenomeno. Quasi due terzi degli effetti economici si riscontrano nei paesi a reddito medio-basso, che tuttavia sono responsabili del 10 per cento delle emissioni cumulative. La proporzione è invertita per i paesi ad alto reddito. Per equiparare i rischi e le responsabilità climatiche, le regioni a reddito medio-alto e ad alto reddito dovrebbero contribuire congiuntamente a un fondo perdite e danni con circa 380 miliardi di dollari l’anno. Il finanziamento arriverebbe per lo più dai paesi ad alto reddito (317 miliardi), ma anche – e in maniera crescente nel tempo – da quelli a reddito medio alto (63 miliardi) che già oggi hanno una responsabilità storica rispetto al problema climatico superiore ai rischi. Il fondo dovrebbe crescere all’aumentare delle temperature, raddoppiando alla fine del decennio.

La nostra analisi mostra come la letteratura scientifica sugli impatti economici del clima possa aiutare a quantificare le richieste finanziarie relative a perdite e danni. Sebbene permangano incertezze, troviamo che un’equa considerazione delle perdite e dei danni implicherebbe una dimensione del fondo ben superiore all’attuale impegno di 100 miliardi di dollari l’anno. Emerge anche un non trascurabile contributo al finanziamento dei paesi a reddito medio-alto, anche se quelli ad alto reddito resterebbero di gran lunga i maggiori contributori. È anche chiaro che i paesi a basso reddito dovrebbero essere pienamente e immediatamente compensati poiché se ne avrebbero i benefici maggiori, con trasferimenti piccoli e politicamente praticabili.

Gli sviluppi futuri

Metodologicamente, rimangono molte questioni aperte. Sono necessarie nuove ricerche e metodologie per quantificare, in modo solido e scientificamente convalidato, le crescenti richieste di paesi e comunità colpite dal cambiamento climatico in modo sproporzionato alle loro responsabilità. La discussione sul finanziamento del loss&damage non deve essere utilizzata per scoraggiare o ritardare strategie di mitigazione e adattamento in tutte le principali economie emittenti, ma per promuovere aree di accordo tra paesi sviluppati e in via di sviluppo attraverso un quadro trasparente e responsabile che favorisca la decarbonizzazione e l’adattamento ai crescenti impatti del clima.

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Mentre il meeting della Cop27 arriva alla fase finale, la questione del loss&damage rimane quella più controversa, ma anche quella da cui dipende l’esito del negoziato. I negoziatori devono trovare una soluzione entro venerdì 18 novembre, ma per il momento le promesse di compensazioni si attestano su qualche centinaio di milioni di dollari, ben al di sotto delle richieste dei paesi più vulnerabili e anche di quanto stimato dalle nostre analisi. La possibilità di creare un fondo di compensazione, come qui proposto, resta viva e lascia aperta la speranza di un accordo, che è necessario e dovuto.

Figura 1 – Contributi pro capite per paese al fondo loss&damage previsti per il 2025 secondo una delle funzioni di danno utilizzate.

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