Affidare la supervisione del sistema bancario europeo alla Bce ha l’obiettivo principale di rompere il circolo vizioso fra banche e Stati sovrani. Ma appare molto difficile disinnescare il potenziale distruttivo di quei legami senza che l’unione bancaria si inserisca in un progetto più ampio di unione fiscale e politica.

Il ruolo giocato dal sistema finanziario nella crescita economica è noto. Oltre un secolo fa, lo enfatizzarono Walter Bagehot e poi Joseph Schumpeter. L’idea ha trovato nel tempo numerose verifiche empiriche e una precisa direzione di causalità: dal sistema finanziario alla crescita economica. Lavori più recenti hanno mostrato come la relazione non sia monotona, poiché esiste un limite oltre il quale la dimensione del settore finanziario può produrre effetti negativi sulla crescita. (1) Ecco perché lo Stato è indiscutibilmente interessato non solo a una efficiente allocazione del risparmio e del credito, ma anche a un equilibrato sviluppo del sistema bancario.(2) La crisi ha ulteriormente messo in evidenza i legami esistenti fra banche, ciclo economico e debito degli stati sovrani. Quasi mezzo secolo fa Hyman Minsky e Charles Kindleberger misero in luce le forti relazioni esistenti fra instabilità finanziaria e instabilità macroeconomica.

RELAZIONI PERICOLOSE TRA BANCHE E STATI

Più recentemente Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, guardando all’esperienza di oltre settanta paesi per un arco di due secoli, giungono alla conclusione che la crescita del debito privato quasi sempre precede la crisi del sistema bancario e questa spesso anticipa o accompagna una crisi del debito sovrano. (3) In un recente lavoro due ricercatori del Fondo monetario internazionale, Luc Laeven e Fabián Valencia, dopo aver identificato fra il 1970 e il 2011 ben 147 crisi bancarie e 66 crisi del debito sovrano, osservano come queste sembrano diventare più frequenti e dolorose anche nei paesi sviluppati. (4) In particolare, in media la perdita di output rispetto al trend è stata del 31 per cento negli Usa e del 23 per cento nell’area euro, mentre l’aumento del debito è stato rispettivamente del 23,6 per cento e del 19,9 per cento. D’altra parte, l’armamentario messo in piedi dagli Stati, a seguito delle crisi bancarie è stato molto variegato. Oltre a una politica monetaria espansiva, un forte supporto alla liquidità, ampie garanzie alle passività bancarie e frequenti ricapitalizzazioni, i paesi, e in particolare quelli sviluppati, hanno assicurato nel 60 per cento dei casi la nazionalizzazione degli intermediari e nell’85 per cento dei casi una politica fiscale espansiva.

I PILASTRI DELLA SAGGEZZA BANCARIA

Alla spirale macroeconomica negativa che può innescarsi a causa dei legami tra crisi bancarie e crisi del debito sovrano si aggiunge la peculiare fragilità dell’Eurozona, dovuta al fatto che la Banca centrale europea non può essere prestatore di ultima istanza nei confronti dei governi nazionali. E ciò perché non esiste un debito dell’Eurozona (cioè sovranazionale) e ogni acquisto di titoli nazionali rappresenta, potenzialmente, una redistribuzione di reddito tra Stati ritenuta inaccettabile dai paesi “pagatori”.
Qualsiasi politica finalizzata ad assicurare un efficace contributo del sistema bancario al funzionamento macroeconomico, preservando la stabilità finanziaria e minimizzando i rischi dei salvataggi per i contribuenti, poggia su quattro pilastri strettamente collegati tra loro: 1) la regolazione macroprudenziale da affiancarsi a quella tradizionale, di tipo microprudenziale; 2) la supervisione o vigilanza, che permette di monitorare da vicino il comportamento delle banche e controllare che gli obblighi previsti dalla regolazione siano rispettati; 3) l’assicurazione dei depositi, finalizzata a prevenire la corsa agli sportelli; 4) un’autorità per la risoluzione ordinata delle crisi bancarie, capace di (e abbondantemente dotata per) intervenire quando le normali procedure di insolvenza, per la loro complessità e durata, potrebbero mettere a rischio la stabilità finanziaria.

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QUALE UNIONE BANCARIA?

L’esigenza dell’unione bancaria parte dal riconoscimento che è necessario e urgente che i quattro pilastri non siano costruiti su base nazionale, ma su una base comune a tutta l’area euro e siano eretti tutti insieme. La regolazione unitaria senza la vigilanza unitaria è destinata a essere inefficace. L’assicurazione dei depositi e i salvataggi, lasciati a livello nazionale, possono innescare la spirale perversa tra crisi bancarie e debiti sovrani.
Per quanto riguarda la regolazione, l’Unione Europea non parte da zero, ma gli altri pilastri sono quasi interamente da costruire. La questione più delicata riguarda le scelte circa il soggetto incaricato di gestire e finanziare la risoluzione delle crisi bancarie e garantire i depositi. Si stima che questi ultimi, nell’area euro, ammontino a circa 6mila miliardi di euro, per oltre il 70 per cento al di sotto della soglia garantita dei 100mila euro. Da un lato, appare evidente che solo la Bce avrebbe la potenza di fuoco necessaria a fare fronte a crisi di dimensioni potenzialmente molto ampie e che, verosimilmente, alla Banca centrale dovrebbe essere attribuita la vigilanza sul settore bancario, dati i rilevanti vantaggi informativi di cui godrebbe. Dall’altro lato, i salvataggi e l’assicurazione sui depositi hanno potenzialmente una rilevante dimensione distributiva tra creditori, azionisti, depositi non assicurati, contribuenti, eccetera, oltre che costi fiscali importanti, che finirebbero per gravare in misura asimmetrica sui contribuenti dei diversi paesi.
L’alternativa di affidare i salvataggi all’Esm solo apparentemente risolve il problema di responsabilità politica che si cela dietro ogni scelta distributiva. In ogni caso, la dotazione dell’Esm, anche qualora fosse portata a mille miliardi di euro (cosa peraltro assai improbabile), appare largamente insufficiente a rendere efficace (e quindi credibile) la risoluzione delle crisi di un sistema bancario grande e fragile come quello dell’Eurozona: la sola Deutsche Bank nel 2011 dichiarava di avere asset per oltre 2mila miliardi di euro. Anche qualora gli azionisti privati delle banche siano chiamati a intervenire in misura massiccia nei salvataggi, la dimensione degli interventi potenzialmente necessari è tale che la banking union avrà inevitabili implicazioni fiscali. (5) Cioè, l’unione bancaria, per funzionare ed essere credibile, deve poter contare su risorse che solo un vero e proprio bilancio federale può assicurare.

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FUORI DAL COMMA 22

Si arriva dunque a una sorta di comma 22: l’unione bancaria è utilissima e anzi indispensabile. Tuttavia, il suo funzionamento richiede l’introduzione di un finanziamento di ultima istanza di natura fiscale e, quindi, una qualche forma di bilancio federale, con rilevanti cessioni di sovranità dagli Stati nazionali al “governo federale”. Questo, a sua volta, non può che fondarsi su una rafforzata unione politica democraticamente legittimata dal voto popolare. Tutto ciò richiede tempo e volontà politica unitaria; tanto più tempo, quanto più debole e contrastata è la volontà politica. Soprattutto, sembra molto difficile che questa volontà politica sgorghi abbondante nei paesi che si trovano fuori dall’Eurozona e, specialmente, in Gran Bretagna. Ma tempo ce n’è davvero poco per costruire l’unione bancaria (se necessario, facendo ricorso alla “cooperazione rafforzata” tra paesi dell’area euro), riparare la crescente fragilità finanziaria dell’Eurozona e ridare finalmente al sistema finanziario il ruolo di garante della crescita duratura.

(1) Ad esempio, Arcand J. L., E. Berkes e U. Panizza (2011) “Too Much Finance?” working paper e Cecchetti S. e E. Kharroubi (2012) “Reassessing the Impact of Finance on growth”, BIS Working Papers, n. 381, trovano che quando il credito all’economia cresce troppo rapidamente o supera il 100 per cento, il suo contributo alla crescita diventa negativo.
(2) Non a caso l’articolo 47 della Costituzione italiana – citato nella pagina di apertura della Vigilanza della Banca d’Italia – recita: “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”.
(3)
 Reinhart C.M. and K.S. Rogoff (2010), “From Financial Crash to Debt Crisis,” NBER Working Paper
(4)
 Laeven L. and Valencia F. (2012), “Systemic Banking Crises Database: An Update”, IMF Research Department Working Papers.
(5)
 Pisani-Ferry J. and G.B. Wolff (2012), “The fiscal implications of a banking union”, Bruegel Policy Brief, 2012/02, settembre.

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