La tassazione è parte costitutiva e rilevante del patto che lega i cittadini allo Stato. E proprio per questo il fisco italiano va cambiato. In che modo lo spiega Dino Pesole nel suo libro “Il salasso”. Ne pubblichiamo alcuni stralci.

Da un lato la crisihttps://www.lavoce.info/wp-admin/post.php?post=1542&action=edit&message=1# che colpisce e falcidia redditi e risparmi, aggravata dagli effetti delle manovre correttive del 2011. Dall’altro, il permanere di un’evasione fiscale da record mondiale, cui il governo Monti da ultimo ha tentato di porre un argine con il decreto “salva Italia”. La prossima legislatura potrebbe offrire l’occasione per voltare pagina. Certo – ne siamo tutti consapevoli – viviamo in un paese che non brilla per coscienza civile e senso di appartenenza alla comunità, così come gli apparati pubblici mostrano tuttora gravi carenze sul versante dell’efficienza e trasparenza.

IL RAPPORTO TRA CITTADINI E TASSE

Non è un caso che l’evasione fiscale raggiunga i suoi picchi in quei paesi in cui l’amministrazione è debole, spesso corrotta. Solo la Grecia, e il parallelo è inquietante, ci supera quanto a livello di economia sommersa. La deterrenza è fondamentale, i controlli sono indispensabili e le sanzioni devono essere proporzionate al reato che si commette. Ma non basta. Occorre concentrare maggiormente gli sforzi perché si affermi un più civile confronto tra amministrazione fiscale e contribuenti, come avviene in diversi altri paesi a noi vicini. Elemento decisivo per favorire la “tax compliance”, vale a dire l’adempimento spontaneo al pagamento delle imposte. Netto e risoluto deve essere il rifiuto da parte del governo e del Parlamento di ogni possibile ricorso, palese o mascherato, a nuovi condoni e sanatorie di sorta. Scorciatoie che equivarrebbero alla resa dello Stato e attesterebbero in via definitiva l’incapacità dell’amministrazione fiscale a impostare una seria e credibile lotta all’evasione. S’impone una svolta all’insegna di un dialogo più stretto che nel tempo ponga le premesse per l’affermazione di un diverso, più costruttivo e meno conflittuale rapporto tra i cittadini e le tasse. Operazione anche (e forse soprattutto) culturale che passa attraverso il ribaltamento della convinzione, tuttora piuttosto diffusa, in base alla quale chi evade alla fine è un furbo da emulare.
Altissima evasione, corruzione dilagante. Elementi su cui riflettere, quando si sbandiera da più parti il vessillo dell’equità. Il nostro sistema fiscale presenta tuttora aspetti e caratteristiche che contrastano con i precetti costituzionali e con lo stesso patto fondante che lega cittadini e Stato. «Con o senza?» Domanda ricorrente e imbarazzante. Quante volte ci è stata rivolta dall’idraulico, l’avvocato, il dentista, l’impresario edile? Spesso non ce n’è nemmeno bisogno perché si fa tutto in nero. Con o senza (sottinteso ricevuta o fattura) fa una certa differenza, a volte di alcune centinaia di euro. La risposta in moltissimi casi è scontata: senza. Preferiamo prender parte, sia pure in qualità di soggetti cui viene imposto un aut aut, alle mille piccole e grandi evasioni ed elusioni fiscali di cui è costellata la nostra vita di tutti giorni e ottenere così un momentaneo, ancorché illusorio, beneficio piuttosto che esigere quel che sarebbe dovuto. Senza fattura, meglio pagar di meno subito, poi si vedrà. È il trionfo dell’interesse particolare e marginale. Certo c’è l’obbligo di rilasciare la ricevuta e lo scontrino. Ma siamo in Italia. Dovrebbe esserci un finanziere ovunque! Ma è solo la punta dell’iceberg. Lo squilibrio del nostro sistema fiscale è in realtà il frutto di un fitto reticolo di interessi incrociati, individuali e corporativi, sedimentatisi nei decenni anche per effetto di decisioni e scelte operate dal legislatore. La struttura del prelievo si basa sulla ritenuta alla fonte per quella amplissima platea di lavoratori dipendenti e pensionati che non può sfuggire all’obbligo tributario. Per il resto ci si affida all’autoliquidazione: il contribuente calcola l’imposta, il fisco controlla. La probabilità di essere colti in fallo si conferma statisticamente scarsa, anche alla luce delle risorse effettive di cui può disporre l’Agenzia delle Entrate. Nella percezione comune, la “convenienza” a evadere continua a superare il rischio di subire un accertamento. L’Irpef, la regina delle nostre imposte, è da riformare. E occorre farlo intervenendo su aliquote e scaglioni di reddito, detrazioni, deduzioni e sconti d’imposta così da cominciare a ridurre un prelievo divenuto decisamente eccessivo nei confronti di quanti assolvono regolarmente ai loro obblighi fiscali. Va alleggerita la tassazione sul lavoro attraverso un nuovo intervento sul cuneo fiscale. Occorrono risorse per finanziare un’operazione della cui urgenza non si può dubitare. Il carico tributario va riequilibrato, e l’ampliamento della base imponibile dell’Irpef non può che derivare da una maggiore «tax compliance» e dai maggiori e più cospicui proventi sottratti all’evasione. E poi esistono delle riforme «a costo zero», il cui impatto può essere determinante. Se il sistema è complesso, l’adempimento tributario si trasforma in una corsa a ostacoli. Il cittadino si sente doppiamente vessato e legittimato a evadere.
Nel 1973, prima dell’entrata in vigore del nuovo sistema fiscale, per chiudere i conti con il passato «ma soprattutto per le pressanti esigenze di cassa», venne varato un condono fiscale che fruttò all’erario 3mila miliardi di lire, il 15% del gettito di quell’anno. Si può comprendere la scelta di chiudere i conti con il passato, quando il sistema fiscale viene radicalmente riformato. Ma da noi la prassi dei condoni è stata ricorrente: trent’anni di sanatorie edilizie, fiscali e previdenziali che a fronte del gettito incassato (104,5 miliardi di euro) hanno arrecato un danno per molti versi irreversibile alla credibilità dello Stato. E che dire degli “scudi” di più recente apparizione nel nostro panorama fiscale, adottati per favorire il rientro dei capitali esportati illegalmente, sotto la tutela dell’anonimato, dietro versamento di una modestissima imposta una tantum del 5 per cento? Il premio agli evasori ha alimentato il progressivo cumularsi dei disavanzi annuali. Occorre virare verso un ruolo persuasivo e di scambio già nella fase che precede la dichiarazione. In tal modo, senza introdurre ipotesi di concordato preventivo e lasciando comunque alla responsabilità del contribuente il contenuto di quel che dichiara, sarebbe possibile confrontare la coerenza degli imponibili con le informazioni in possesso dell’amministrazione: dati desumibili dagli studi di settore, manifestazioni di consumo e di agiatezza, incroci tra clienti e fornitori, rapporti finanziari. Al contrario, la Francia mette in campo diverse «applicazioni differenziate» per soggetti «con questioni fiscali complesse e semplici», provviste di interfacce «user-friendly». Per i contribuenti «con questioni fiscali semplici» il processo dichiarativo è facilitato dalla pre compilazione dei dati chiave (salari, pensioni e dividendi) e da calcoli automatici. In tal modo è possibile presentare la dichiarazione «con soli tre click». Anche in Germania e Danimarca la strategia dell’amministrazione fiscale punta alla precompilazione delle dichiarazioni. Nei Paesi Bassi, le piccole imprese e i lavoratori autonomi usufruiscono di una gestione della contabilità on line a cura della stessa amministrazione fiscale e tale sistema, che sta crescendo molto rapidamente, dovrebbe essere il metodo più comune per la tenuta della contabilità delle imprese entro pochi anni.
Per quali motivi da noi non è possibile questo fondamentale cambio di marcia? Non vi è altra strada che l’integrazione piena e lo scambio di informazioni tra le varie banche dati, all’interno di un processo che coinvolga direttamente e in misura ancor maggiore gli enti locali, in primo luogo i comuni.

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UN SISTEMA SQUILIBRATO

Il tema di fondo, all’origine della stessa evasione, è che il sistema fiscale, per come è strutturato, risulta fortemente squilibrato. Da un lato l’esercito dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, che contribuisce per l’80 per cento delle entrate pur detenendo solo il 30 per cento della ricchezza nazionale. Dall’altro lato, la pattuglia dei lavoratori autonomi, imprenditori, commercianti e professionisti nei confronti dei quali si è usato il bastone o la carota, a seconda delle stagioni politiche. Nel mezzo i molteplici comportamenti “elusivi”, che sulla carta non sono illegali essendo “consentiti” dalle norme in vigore, la cui pratica sconfina nell’evasione vera e propria. Ma le guerre di religione non servono. In realtà, più che vedere ancor più dipendenti e autonomi gli uni contro gli altri armati, tutti insieme dovremmo lavorare per costruire una vera, radicata, profonda civiltà fiscale nel nostro paese. Già perché un po’ tutti in Italia, vuoi per stato di necessità, vuoi per la nostra scarsissima etica civile, vuoi infine per l’atavica attitudine a considerare lo Stato nemico e altro da noi o infine per reazione a una situazione di reale oppressione fiscale, ebbene un po’ tutti possiamo considerarci quanto meno evasori potenziali. Lo siamo perché immersi in un sistema fiscale che rispecchia il paese e chi lo ha rappresentato negli anni, vizi e virtù, ataviche diffidenze, abitudini consolidate che alimentano la «cultura dell’evasione». Un paese spaccato in due, con la secolare e tuttora irrisolta questione meridionale, e con una parte non indifferente dell’economia del Sud in mano alla criminalità organizzata.
La strada è lunga, passa attraverso una sorta di rivoluzione culturale in grado di affermare il principio che pagare le tasse non è un optional. È al contrario un obbligo che serve a onorare il patto non scritto che unisce ognuno di noi allo Stato e alla comunità cui apparteniamo. Non è un caso se l’economia nazionale è ferma da oltre un decennio, dunque ben prima dell’esplodere della «grande crisi» globale del 2007-2008. Un sistema che appare per molti versi ingessato, con prospettive di crescita e di rilancio dell’occupazione bloccate dal complesso intreccio delle inefficienze dell’apparato pubblico e degli interessi particolari. Un groviglio che occorre dipanare in fretta, per offrire un futuro credibile alle giovani generazioni. Il fisco, in questo percorso di ricostruzione, è chiamato a svolgere un ruolo fondamentale. Poiché la tassazione è parte costitutiva e rilevante del “patto” che lega i cittadini allo Stato (no taxation without representation), elemento decisivo per la tenuta di ogni democrazia, non si può immaginare un sistema di prelievo e dunque di welfare che non passi attraverso il riequilibrio e dunque la redistribuzione del carico fiscale.
Ecco dunque che il principio dovrebbe, con tutte le cautele del caso, cominciare ad affermarsi: un primo segnale andrebbe rivolto ai contribuenti onesti. Sta crescendo il consenso in questa direzione. L’avvio della prossima legislatura è un’occasione propizia, fermo restando il principio base che più le regole sono semplici, più si incoraggia l’adempimento spontaneo all’obbligo fiscale.

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LE CINQUE MOSSE

E allora la svolta che si propone in questo libro è duplice e va di pari passo con l’affermazione di alcuni princìpi di sana civiltà fiscale. Eccole dunque le cinque mosse per cambiare il fisco: semplicità, correttezza, trasparenza, tempestività, premialità. Come potrebbe articolarsi la fase della premialità? Una volta accertate e iscritte formalmente in bilancio le maggiori entrate incassate dalla lotta all’evasione e dall’ampliamento della base imponibile quale effetto dell’accresciuto livello di «tax compliance», somme certe dunque, nell’anno successivo con apposito provvedimento oppure con la legge di stabilità si fissa il principio della restituzione di parte del relativo gettito «in via prioritaria» ai contribuenti onesti. La strada del credito di imposta da utilizzare in sede di dichiarazione dei redditi, con entità variabile a seconda delle risorse effettivamente disponibili, sembra a prima vista la più efficace, ma a livello tecnico possono essere avanzate alternative altrettanto credibili. Si può agire sul fronte delle detrazioni e deduzioni, oppure sulle agevolazioni sia fiscali sia assistenziali. La panoramica dei possibili benefici, in linea con quanto previsto dal decreto «salva Italia», potrebbe riguardare in prima battuta l’accelerazione dei rimborsi fiscali, meno vincoli alla compensazione dei crediti Iva, la riduzione dei termini dell’accertamento delle imposte. Per rendere al pari “visibile” il premio, si potrebbe ricorrere all’Isee, l’indicatore sulla situazione economica equivalente, così come rivisto alla luce delle recenti modifiche. Il principio base è che l’intera operazione dovrà essere concepita a saldo zero per le casse dell’erario, finanziata attraverso l’emersione di nuova base imponibile. Le modalità di attribuzione dello “sconto” andranno calibrate concentrando il beneficio in prevalenza sui redditi medio-bassi, ferme restando le compatibilità di finanza pubblica e l’esigenza di contenere il deficit in linea con gli impegni assunti in sede europea.
Ben si può immaginare il valore anche etico, se si vuole simbolico, di una novità di tal fatta. Potrebbe agire da deterrente verso le piccole o medie evasioni cui tutti siamo tentati, per sfuggire a una pressione fiscale che falcidia i nostri redditi. E perché non coltivare l’ambizione che in un sistema fiscale radicalmente rinnovato non scatti anche un positivo effetto di emulazione? Occorreranno anni, forse, ma vale la pena di provarci.

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