La pressione fiscale in Italia è di cinque punti superiore alla media europea. Ridurla e nello stesso tempo migliorare la finanza pubblica in modo permanente, stimolando la crescita, si può. Ma è necessario affiancare alla diminuzione delle aliquote una politica credibile di lotta all’evasione.
LA RELAZIONE TRA SOMMERSO E PRESSIONE FISCALE
Secondo le stime ufficiali dell’ultimo Documento di economia e finanza, nel 2013 la pressione fiscale in Italia è al 44,4 per cento, con un divario di quasi 5 punti percentuali rispetto la media europea. In un recente lavoro, abbiamo mostrato come la causa principale della crescita dell’economia sommersa in Italia derivi proprio dall’aumento della pressione fiscale. (1)
La dinamica del sommerso trae origine da un processo di riallocazione delle risorse che, a seguito di un aumento della pressione fiscale, incentiva gli individui a evadere. In tal modo, si spostano risorse dal settore ufficiale a quello informale, facendo di conseguenza aumentare il peso dell’economia sommersa sulla produzione aggregata. Il modello è stato utilizzato per stimare la dimensione dell’economia sommersa in Italia, studiandone le principali determinanti; e per valutare l’impatto macroeconomico di politiche fiscali alternative.
I nostri risultati suggeriscono che, sotto certe condizioni, la diminuzione della pressione fiscale può avere effetti positivi nel fare emergere il sommerso e, di conseguenza, aumentare il gettito.
Nella figura 1 viene riportata la relazione stimata di lungo periodo tra gettito fiscale e aliquota sul reddito delle imprese (curva di Laffer), insieme alla relazione gettito-aliquota che si avrebbe in un mondo ideale in cui non vi è evasione (curva tratteggiata).
Figura 1: curva di Laffer
Dalla figura emergono due considerazioni importanti. Primo, in corrispondenza dell’aliquota media (intorno al 40 per cento secondo le stime dell’Oecd) la perdita di gettito dovuta all’evasione fiscale è notevole: corrisponde a circa 11 punti percentuali del prodotto interno lordo, cifra approssimativamente pari a 200 miliardi di euro l’anno. Secondo, a causa dell’evasione fiscale, l’Italia si trova nel lato sbagliato della curva di Laffer: la tassazione è molto elevata e inefficiente, poiché produce un gettito inferiore rispetto a quello massimo potenziale. (2)
La conseguenza principale di questo risultato è che qualsiasi politica che comporti un inasprimento della pressione fiscale, porterebbe inevitabilmente a una riduzione del gettito nel lungo periodo. In altre parole, il modello suggerisce che se l’obiettivo del Governo italiano è quello di aumentare il gettito fiscale, nel lungo periodo sarebbe più efficace ridurre la pressione fiscale piuttosto che farla crescere. Il motivo non è da ricercare solo nel meccanismo di disincentivo sull’economia legale dovuto a politiche fiscali restrittive, ma anche nel fatto che in un’economia con elevati tassi di evasione, l’effetto di riallocazione delle risorse inasprisce l’impatto recessivo su consumi e investimenti, che a sua volta induce una maggiore contrazione della base imponibile e quindi una riduzione del gettito fiscale.
TRE SCENARI DI POLITICA FISCALE
Ma cosa succede nel breve periodo? La risposta viene fornita dall’analisi della transizione dinamica tra scenari di politica fiscale alternativi. Abbiamo perciò valutato l’impatto di tre politiche alternative: (a) una riduzione generalizzata di due punti percentuali delle aliquote fiscali sui redditi delle imprese e delle persone fisiche; (b) un aumento dei controlli fiscali sulle imprese, ad aliquote invariate, che genera lo stesso aumento di gettito dovuto alla politica di riduzione della pressione fiscale; (c) un mix tra le due politiche precedenti.
I risultati sono stati riportati in figura 2 dove, per ogni politica, vengono valutati l’impatto sul gettito fiscale e sul consumo aggregato.
Figura 2 – Impatto delle tre politiche
Prima di tutto, notiamo che una riduzione generalizzata delle aliquote fiscali (prima riga in figura 3) aumenta il gettito nel lungo periodo e ha effetti espansivi sull’economia (il livello di consumo cresce permanentemente), ma induce una riduzione delle entrate fiscali per almeno dieci trimestri dalla data di avvio della politica. In sostanza, nel breve periodo l’effetto della diminuzione delle aliquote sul gettito fiscale più che compensa l’effetto sulla base imponibile, producendo un calo delle entrate fiscali. Alla luce dei vincoli di pareggio di bilancio pubblico assunti dal Governo, questa politica, sebbene desiderabile in termini di benessere aggregato, sembra inopportuna, a meno di una contestuale riduzione del livello della spesa pubblica.
Risultati opposti si ottengono nel caso di una politica di intensificazione dei controlli fiscali con aliquote invariate. Come si può notare dalla seconda riga del grafico, in questo caso il gettito aumenta istantaneamente, mentre il consumo aggregato diminuisce. Questi effetti accomunano la politica di intensificazione dei controlli a una manovra di politica fiscale restrittiva. Infatti, l’aumento del gettito dovuto ai maggiori controlli deriva interamente dall’effetto di riallocazione delle risorse tra il settore sommerso e quello ufficiale, senza ulteriore stimolo per quest’ultimo (si ricordi che le aliquote rimangono invariate). Ciò comporta un mero trasferimento di risorse dal settore privato a quello pubblico, con conseguente spiazzamento dei consumi privati e ulteriori effetti negativi sulla crescita dell’economia italiana.
I risultati più interessanti dell’analisi emergono nel caso in cui la riduzione delle aliquote fiscali è accompagnata da una contemporanea intensificazione dei controlli. In questo scenario, sia il gettito fiscale che i consumi aggregati aumentano in modo permanente. Infatti, l’effetto di stimolo sull’economia ufficiale, dovuto alla minore tassazione, si somma al disincentivo all’evasione generato dalla presenza di maggiori controlli; l’effetto congiunto produce un’espansione della base imponibile che più che compensa la riduzione delle aliquote. Ne consegue che sia il gettito fiscale che l’economia privata crescono, con ovvii effetti positivi sul benessere collettivo.
(1) Si veda Orsi, R, D, Raggi e F. Turino “Size, Trend, and Policy Implications of the Underground Economy” (2013), Review of Economic Dynamics (in corso di stampa). La nostra analisi si basa su un modello stocastico di equilibrio generale (Dsge), in cui l’economia sommersa viene stimata, tramite un approccio econometrico strutturale, come il risultato degli incentivi di imprese e famiglie a evadere. Nel modello viene ipotizzato che la tax compliance sia volontaria e che il monitoraggio sia incompleto, nel senso che il controllo da parte delle autorità fiscali è limitato a un sottoinsieme delle imprese. In questo contesto, l’incentivo all’evasione nasce dal confronto tra convenienza a non pagare le tasse e valutazione del rischio di subire una punizione pecuniaria.
(2) Il risultato evidenzia come sia fondamentale tenere in considerazione l’economia sommersa per valutazioni di politica economica. Per esempio, Mathias Traband e Harald Uhlig (“How far are we from the slippery slope? The Laffer curve revisited”, Working Paper Series 1174, European Central Bank, 2010) utilizzando un modello di crescita neoclassico simile al nostro ma senza economia sommersa, trovano che l’Italia si situa nella parte giusta della curva di Laffer e potrebbe quindi aumentare il gettito aumentando la pressione fiscale.
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Enrico
Bella analisi. Chissà se mai penseranno ad applicare politiche fiscali come da terzo scenario, certo ci vuole coraggio e capacità…..
Paolo
In questi tempi di crisi economica da cui non si riesce a emergere, è lecito pensare alla politica fiscale come strumento di indirizzo di politica industriale?
Voglio dire, è pensabile sostituire una patrimoniale come Imu alle imprese industriali con una tassa sul valore del magazzino prodotti finiti, semilavorati e materie prime?
Si obbligherebbero le aziende a non produrre per il magazzino ma solo per commessa, con l’effetto di indirizzare ingenti risorse finanziarie non al magazzino ma al ciclo economico, perché le banche tanto non sono disponibile a finanziare. Inoltre cambierebbero i modello organizzativi, con maggiore efficienza e forse col tempo anche maggiore efficacia.
Idea pazza lo so, ma nella situazione attuale dovremmo uscire dagli schemi usuali ….
Stefano
Ancora la curva di Laffer? non vi è bastato il buco di bilancio creato da Reegan negli USA adottando tale regola con una spese pubblica che aumentava? basta lasciare la lotta all’evasione fiscale ai fiscalisti Evado perché non ci sono controlli stop.. quando non rilascio la fattura mica penso all’aliquota IRES, alla qualità dei servizi ed altre menate.. evado perché posso. Se mi metti un funzionario AE all’ingresso io ho l’incremento delle entrate del 300% lo dimostrano i controlli a Cortina e non ho ridotto l’aliquota e non ho migliorato i servizi….
Francesco Turino
La curva di Laffer definisce una relazione gettito-aliquota di lungo periodo e per questo motivo è pericoloso prescrivere ricette di politica economica basandosi su questo risultato. Nota infatti che nell’analisi di breve facciamo vedere che nonostante nel lungo-periodo il gettito fiscale aumenti (curva di Laffer) se si abbassano le aliquote, c’è una fase di transizione in cui il gettito invece diminuisce (piu o meno per due anni e mezzo). È qui che entra l’evasione fiscale. Se la riduzione delle aliquote è accompagnata da una lotta CREDIBILE all’evasione (gli individui devono percepire che evadere sia piu costoso) allora il gettito aumenta permanentemente. Questo perchè la riduzione delle tasse stimola la crescita nel settore ufficiale e nel contempo riduce l’incentivo ad evadere, ma quest’ultimo effetto diventa molto piu forte se accompagnato da politiche CREDIBILI di lotta all’evasione. Come giustamente sostieni, il gettito puo aumentare notevolmente se i controlli (o meglio la qualità dei controlli) diventano piu efficaci. Ma se le tasse rimangono invariate non è detto che questo sia un bene perchè c’è solo un passaggio di risorse dal privato al pubblico senza stimolo per l’economia privata. Cio dipende da come poi queste risorse vengono utilizzate..
Grazie per il commento
Cordiali Saluti
Francesco Turino
Stefano
La ringrazio in primo luogo per la replica.
Sull’ultima parte è vero che le tasse sono sempre una sottrazione di risorse dal privato al pubblico senza stimolo per l’economia privata, ma l’equità fiscale della nostra Costituzione dove la mettiamo? Teniamo conto di quello che dice la Corte dei Conti e l’Istat nel suo rapporto sull’eguaglianza nel nostro Paese e cioè che la classe media potrebbe avere un danno da una riduzione formale delle aliquote compensato con tagli lineari delle agevolazioni per i dipendenti o tagli dei servizi pubblici locali e nazionali (peggiori e più costosi servizi di trasporto, meno asili nidi, più ticket sanitari ecc) Per risollevare la domanda servono soluzioni radicali sul’IRPEF (abbiamo norme con valori restati alla Lira con una svalutazione monetaria “nascosta” dei salari) Il libro bianco dell’Irpef di Visco prevede un costo di 18 – 20 mld da tali interventi (misure a favore di incapienti, ANF uniti alle detrazioni fiscali, e rimodulazione delle tariffe) mentre l’evasione è stimata in 120 mld…c’è spazio per altre politiche economiche invece che le solite liberiste che tanto bene hanno portato al nostro Paese?
Luisa
Mi chiedevo se politiche attive orientate a favorire
l’occupazione (magari come il welfare-to-work preso in prestito al modello
danese e a cui mi sembra anche Renzi si riferisca quando parla di ottimizzare e
riformare i centri per l’impiego e renderli più “interattivi” con le aziende; a proposito, una piccola postilla, mi piacerebbe parlaste di Renzi e del suo programma economico) potessero portare nel lungo termine, in ordine: maggiori salari totali, di conseguenza una diminuzione del costo del lavoro e dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, quindi minore cuneo senza intaccare troppo il salario netto che infatti subirebbe due effetti contrari riequilibranti:scenderebbe per la diminuita disoccupazione e la maggior offerta; aumenterebbe per far calare il turn over. come nei modelli dei salari di efficienza. Il tutto accompagnato come dite alla lotta all’evasione fiscale e al sommerso. Di conseguenza, nel mercato dei beni si potrebbe assistere anche ad una diminuzione dei prezzi, che in un’ottica pseudo-svalutativa potrebbe favorire anche le esportazioni. Ho preso una cantonata?? O mi sfugge qualcosa?
Luisa
è il modello just in time giapponese
Andrea Falvo
Ottimo lavoro, assolutamente realistico.
All’aumentare della pressione fiscale si associa non solo l’incentivo all’evasione, ma anche la mortalità delle imprese “regolari” che non vi ricorrono. Con la conseguenza che nel lungo periodo gli effetti sono sempre più nefasti per l’economia regolare.
Piero
Il problema vero dell’Italia in questo momento non sono le tasse, ma fare cambiare la politica monetaria della Bce e fare in ultima analisi fare cambiare la politica dei compitini a casa propria della Merkel, non è vero che il debito dell’Italia e’ degli italiani, con il cambio fisso si deve avere una forte integrazione fra i paesi, ciò non è avvenuto, naturale che con il cambio fisso, i paesi meridionali privati dalla politica monetaria hanno avuto deficit della bilancia dei pagamenti a favore dei paesi del nord che sono diventati creditori nei confronti degli altri, facile per la Germania dire all’Italia pagati il debito con le politiche fiscali. Le problematiche sull’euro furono oggetto di un commento che feci sull’articolo di Giavazzi nel 2007 (prima della crisi) titolato
Sarkozi e la Bce:
“Con l’euro abbiamo accettato il cambio fisso della moneta all’interno dei paesi europei più sviluppati, rinunciando quindi sia alla politica monetaria che al ruolo stabilizzante di un regime a cambi variabili, con grande plauso dei partner europei in primis della Germania che sono stati sempre infastiditi dalle continue svalutazioni della nostra moneta. È chiaro, che il cambio fisso richiede una politica di bilancio condivisa da tutti i paesi partecipanti, ha prevalso la strada di fissare dei parametri da rispettare sia sul debito che sul disavanzo, ciò perché si voleva tutelare la moneta al fine di controllare l’inflazione, invece che la tutela dell’occupazione e della crescita del pil europeo. L’Italia parti con un debito pubblico di oltre il 100% del pil e con un arretramento di infrastrutture ed opere pubbliche nei confronti degli altri paesi dell’area euro, si era in presenza di un paese che aveva bisogno di tutto, meno che di avere una moneta forte, forse doveva in modo “spietato” far pagare all’estero i suoi squilibri e poi fare il passo verso la moneta unica (una svalutazione della moneta del 50% avrebbe fatto crescere il pil, avrebbe provocato un aumento generale dei prezzi riducendo quindi il valore reale del debito pubblico, lo stesso debito sarebbe aumentato solo degli interessi, quindi il rapporto D/PIL sarebbe sceso al 70%, naturalmente si poteva rischiare una crisi finanziaria come quella dell’argentina? Ciò però non avvenne nel 1992 con una svalutazione di oltre il 40%). Il governo ha scelto la via di entrare subito nell’euro e quindi siamo stati costretti a rispettare i parametri obbligatori previsti. Tali parametri sono stati più gravosi per le economie che si sono presentate all’euro con i dati non in ordine e tra queste l’Italia, che in ogni anno ha attuato politiche di bilancio al fine di rispettare con grande difficoltà il parametro del 3%, non si poteva pensare che avrebbe ridotto anche l’enorme peso del debito pubblico. Poi anche i tassi, si è detto che con l’entrata nell’euro, il paese avrebbe goduto di tassi più bassi e quindi si avvantaggiava il paese con il debito più alto. Ma anche questa affermazione si è rilevata infondata, in quanto se si vuole creare una moneta forte il suo tasso è più alto delle altre. In questo scenario il nostro paese con i vincoli dei parametri non ha potuto fare nemmeno le opere pubbliche necessarie per recuperare l’arretramento infrastrutturale nei confronti degli altri paesi europei. Cosa fare quindi? Si sta levando una campagna di scudi contro il dirigismo della Bce che avendo come compito quello di controllare l’inflazione è contraria ad una politica monetaria espansiva per svalutare l’euro, ciò è possibile in quanto la Bce è svincolata dai governi dei singoli paesi. Secondo me sposterei il problema alla data dell’ingresso nell’euro, sicuramente è stato un passo affrettato e non si è fatto pesare agli altri partner che era impossibile rispettare i criteri previsti, si doveva subito riallineare le economie in fatto di debito pubblico creando delle obbligazioni europee che dovevano assorbire i debiti pubblici oltre le soglie del 50/60 %. Tali obbligazioni europee dovevano essere rimborsate da tutti i paesi, in rapporto al pil prodotto da ogni paese, in tale modo tutti partivano con lo stesso debito e quindi la regola del 3% non serviva in quanto si doveva obbligare il pareggio. In alternativa invece di fissare i parametri attuali che non permettono la crescita dell’economie più indebitate si dovevano utilizzare dei parametri che tenevano conto dell’occupazione e del reddito procapite di ogni cittadino e del ritardo delle infrastrutture, in modo tale che si potesse permettere sforamenti al bilancio per investimenti pubblici, o misure di agevolazioni alle imprese per l’incremento dell’occupazione ed infine misure fiscali (ad esempio l’iva sociale con opportune modifiche) destinate alla riduzione dei contributi statali sui dipendenti che a parità di costo per l’impresa permetta l’aumento del reddito spendibile. Ciò non è stato fatto ieri, però non è detto che non si possa fare oggi, rimettendo in discussione sia i poteri della Bce che la creazione di queste obbligazioni europee o la fissazione di nuovi parametri. Ma vi è di più la Bce dovrebbe mettere a disposizione di ogni stato membro a cui venga riconosciuta una carenza di infrastrutture, dei prestiti per colmare tale squilibrio. In tale modo la produttività di ogni paese cresce e chi ne guadagna è il sistema Europa che risulterà più competitivo nei confronti del resto del mondo (tale motivazione dovrebbe essere sufficiente a superare il problema che si pone nel resto dell’Europa, ossia perché pagare i debiti dei paesi più indebitati?). Se l’Europa deve essere unita, non lo può essere solo con la moneta, in tale modo è come mettere la “camicia di forza” all’economia nazionale più debole. Continuare con la politica attuale, l’Italia diventerà in Europa il paese più povero (se c’era il cambio variabile, non vi sarebbero stati squilibri nella bilancia dei pagamenti, invece con il cambio fisso, lo squilibrio deve essere eliminato con la diminuzione dei redditi interni, data la rigidità dei prezzi al ribasso), le nostre aziende più sane o con più mercato verranno comperate dall’estero e l’Italia sarà in Europa come il mezzogiorno oggi è in Italia, si vivrà di sussidi da parte dei restanti paesi, è naturale che vi sarà da parte dell’economia più produttiva del nord un tentativo di sganciamento della restante parte dell’Italia. Quindi se lo spirito europeo non prevale su tutti i paesi, all’Italia non rimane altro che uscire dall’Europa e dall’euro riconquistando quindi tutti i benefici della politica monetaria utilizzando la lira pesante oppure in alternativa unirsi all’America, anche con il cambio fisso con il dollaro o utilizzando il dollaro invece della lira, perché in tale modo anche noi sfrutteremo l’attuale politica americana, che con un dollaro basso sta curando i propri mali. Se invece del cambio fisso euro, all’epoca l’Italia si agganciava al dollaro oggi i nostri prodotti in esportazione costavano il 40% in meno con un notevole incremento del pil. Non riesco a vedere un’altra via di uscita, si parla di crescita del pil dell’Italia, ma ciò è sbagliato si deve parlare di crescita del pil europeo, e l’unico modo per farlo crescere è unire l’economia dell’Europa. In Italia si parla di ridurre le imposte e ridurre le spese, ma ciò non produce l’effetto dell’aumento del pil, si è vero che con la riduzione delle imposte e delle spese vi è un arretramento dello stato dall’economia e quindi le imprese private che dovrebbero essere più efficienti saranno in grado di gestire meglio le risorse finanziarie, ciò sicuramente aiuta ma non risolve il problema alla radice come anzi citato.”
Franco Simonetto
Punto primo: la curva mostrata e’ sbagliata. Con aliquota zero dovrei avere introiti pari a zero, e ho invece lo stesso introito che con aliquota del 40% ! Punto secondo, sarebbe bello vedere dei dati sperimentali sovraimposti alla vera curva di Lafferty per verificare se funziona o no. Infatti, punto terzo, molti economisti sostengono che il picco della distribuzione sta al 70% e non al 30% (cioe’ solo sopra il 70% le tasse ucciderebbero l’economia). Quindi domanda: quand’e’ che anche gli economisti impareranno a confrontare le loro eleganti teorie con la realta’ empirica e a cestinare tutte quelle che non ci prendono ?
AM
Mi fa piacere risentire parlare della curva di Laffer, un punto della teoria economica che sembra essere ignorato a Bruxelles (pressioni sull’Italia per un aumento delle aliquote e in particolare dell’IVA). Per quanto concerne poi il recupero dell’evasione fiscale e la presenza dell’economia sommersa in Italia ,si deve ricordare che una parte significativa dell’economia sommersa è rappresentata dall’economia del crimine e che di conseguenza la lotta all’evasione fiscale è strettamente collegata alla lotta contro la criminalità. L’economia del crimine comporta in molti casi solo una redistribuzione della ricchezza e se si tratta di criminali stranieri ne segue un depauperamento della ricchezza italiana. Vi è poi un’economia sommersa che non comporta evasione fiscale come l’economia informale collegata a varie forme di autoconsumo nell’ambito familiare o al baratto. Infine per quanto riguarda l’evasione fiscale delle grandi imprese si dovrebbe parlare piuttosto di elusione fiscale, collegata con il problema dei transfer prices, dove il fisco italiano entra in competizione con il fisco di altri paesi La delocalizzazione anche di medie imprese italiane ha fatto lievitare questo fenomeno (in passato incentrato sulle grandi multinazionali) che non trova facile soluzione se non con accordi internazionali. Ovviamente un’impresa italiana che, ad esempio, ha delocalizzato in Romania una parte del processo produttivo non può pagare l’imposta 2 volte e quindi si deve trovare un accordo fra fisco italiano e fisco romeno in merito ai transfer prices dei semilavorati.
Francesco Turino
Gentile Franco,
la curva non è sbagliata. Nel modello ci sono diverse tipologie di tasse
e quello che facciamo vedere nella figura è come varia il gettito al variare
di una sola aliquota (nel grafico aliquota sul reddito delle imprese) lasciando fisse le altre. Per questo motivo quando l’aliquota è zero il gettito non è zero. Secondo, non capisco bene cosa tu voglia dire con sarebbe bello vedere dei dati sperimentali sovraimposti alla vera curva di Lafferty per verificare se funziona o no, puoi spiegarti meglio? Terzo,
se molti economisti sostengono che il picco della curva (e non della distribuzione che è un’altra cosa) sta al 70%, vuol dire che molti altri studiosi hanno usato un modello e dedotto queste implicazioni, o credi che questo numero se lo siano sognati di notte o l’abbiano dedotto cercando di capire la direzione del vento?
Risposta: gli economisti cercano sempre di confrontare le loro teorie con la realtà (o forse meglio evidenza?) empirica, proprio perchè a differenza della fisica la teoria economica difficilmente puo essere testata in laboratorio. Il problema mio caro Franco è che capire come funzionano i fenomeni economici è una sfida molto complessa, soprattutto perchè un fenomeno economico è la somma di comportamenti umani individuali e quando c’è di mezzo l’uomo tutto diventa per fortuna imprevedibile.
Grazie per il commento
Francesco Turino
Franco Simonetto
Grazie Francesco per la risposta.
Seguono alcuni miei commenti.
Se ho capito allora, la curva si applica solo al reddito da impresa, e non a quello da rendita, che potrebbe essere tassato molto di piu’ per alleggerire la tassazione sull’impresa.
Secondo: e’ ovvio che ogni curva segue da un modello, ma la questione e’ l’attendibilita’ del modello. Di tutto cio’ non c’e’ traccia nel tuo testo, e la curva viene presentata senza nessuna discussione critica. E’ chiaro che se avessero ragione coloro che stimano il massimo della curva al 70%, tutto il testo di cui sopra sarebbe un non-sense. Questo mi porta al confronto con i dati empirici. Esistono almeno un centinaio di paesi al mondo (e svariate decine a capitalismo evoluto), con diversi metodi di tassazione. Non si puo’ confrontare paese per paese la tassazione con la evasione stimata per verificare se effettivamente si applica una semplice curva e determinare empiricamente la posizione del massimo ?
(Per inciso, sono ben consapevole della complessita’ del problema, e proprio per questo non credo che una semplice funzione lineare come codesta curva si possa applicare per ottimizzare la politica fiscale di un paese).
Cordialita’
Francesco Turino
Se vuoi scrivimi una email a turinofrancesco@gmail.com che ti mando l’articolo esteso. L’articolo che abbiamo mandato a la voce è un riassunto in italiano di un articolo scientifico in fase di stampa. Saluti e buona giornata
AM
Vorrei saper se vi sono in italia oggi redditi da rendita nel preciso significato che la scienza economica attribuisca a “rendita” e non sulla base dell’uso distorto e fazioso che ne fanno politici e sindacalisti.
rob
Professore, può gentilmente spiegarmi perchè se vado a cena a Vienna e non pago con la carta di credito mi fanno il conto sul tovagliolo? Un buon 40% paga in contanti il resto con carta. (dati dimostrabili)
Piero
Oggi in Italia, non è applicabile la curva di Laffer, anche se si potrebbe ridurre le aliquote del 5% sulle imprese ( che stanno pagando ciò che vogliono, basta vedere la tassazione effettiva) non si avrà un aumento del Pil, lo stato recentemente ha aumentato le imposte indirette e quelle patrimoniali, poco effetto hanno sulla curva di Laffer; a livello fiscale i luoghi comuni meno tasse sull’imprese e sul lavoro e’ un problema che fa fatto subito per ridistribuire la ricchezza, al contrario fino ad oggi la politica fiscale ha favorito la rendita; per l’aumento del Pil ho già detto che è un problema fai liquidità, oggi in Italia le imprese non chiudono per le tasse ma per il credit crunch, le banche non prestano più soldi, li hanno prestati tutti allo stato con l’acquisto dei titoli governativi, i fallimenti sono aumentati non per le imposte, l’alta tassazione potrà disincentivare l’apertura delle nuove imprese in Italia, tuttalpiù, ricordo che le imprese multinazionali non hanno problemi di tassazione fanno ciò che vogliono.
Affermare che in Italia vi siano 200 mld di evasione senza precisarne i calcoli, mi sembra poco opportuno, non vi sono calcoli verificati, abbiamo il confronto dell’Iva fra i paesi europei confrontato con i rispettivi Pil, in ogni caso vorrei precisare che la tassazione iva ancora è’ in fase transitoria, ossia si doveva fare la tassazione nel paese di origine, invece ancora abbiamo la tassazione nel paese di destinazione, tale metodo prevede il salto delle imposte per i rapporti tra i paesi comunitari, salto delle imposte che privilegia i paesi esportatori.
Francesco Turino
Purtroppo per ragioni editoriali, l’articolo che è stato pubblicato su lavoce
è una versione molto ridotta di un articolo scientifico che in fare di stampa.
Se vuole posso inviarglielo. Mi scriva un’email a questo indirizzo turinofrancesco@gmail.com.
saluti e grazie per il commento
Francesco Turino
Francesco Turino
Nel nostro articolo proponiamo un taglio generalizzato delle aliquote, e quindi anche su quelle che riguardano la tassazione sul reddito delle persone fisiche. Le faccio notare che i risultati della nostra ricerca indicano che il taglio delle tasse si autofinanzierebbe, cioè non sarebbe necessario ridurre la spesa. Per farlo però bisogna indurre gli individui a percepire che il costo dell’evasione sia più alto, non tramite maggiori controlli, ma piuttosto incrementando la certezza della pena. Ho il sospetto che quest’ultima sia la parte piu complicata della nostra storia.
La saluto
Francesco Turino
Mario Rossi
Ancora una volta da imprenditore capisco bene come mai siamo messi così! Invece di pensare come semplificare un paese che è diventato un pachiderma e snellire e velocizzare giustizia e amministrazione e lasciare fiato e corda a chi produce sul serio siamo ancora ad affidarci ai discorsi di chi nella vita non ha mai montato nemmeno una lampadina a casa sua. Mi dispiace per voi ma tra poco il ramo su cui siete seduti si staccherà di netto perchè tanti come me stanno andando all’estero dove per chi è qualificato e sa fare bene qualcosa ancora ci sono spazi belli grandi. Non venite poi a cercare l’evasione perchè pur di non pagare le tasse in un paese di sanguisughe sono disposto anche a diventare cittadino di un’altra nazione. Io ho studiato e mi sono laureato in ingegneria in meno di 5 anni, sono iscritto all’ordine, mi sono fatto sempre un mazzo tanto e ancora oggi non riesco a trovare una dimensione decente in Italia. Io vi mollo: me ne vado!
Francesco Turino
Caro Mario,
qui abbiamo presentato i risultati di una ricerca scientifica dove si è analizzato
il fenomeno dell’evasione. Non pretendiamo che nessuno ci ascolti ne tanto meno crediamo di essere i detentori della verità universale. Mi permetto di dirle, pero, che io vivo all’estero da 11 anni. Insegno all’università di Alicante in Spagna e sono recentemente diventato associato grazie alla mia produzione scientifica (qui trova il link se vuole verificare di persona (http://fae.ua.es/FAEEnglish/francesco-turino/). Per inciso, se non avessi pubblicato la mia università mi avrebbe giustamente licenziato. Quindi non so bene di che ramo parla lei, ma le assicuro che vivendo lontando dalla mia famiglia da almeno 19 anni (sono calabrese), nella mia vita ho montato molto piu di una lampadina, e in particolare ho fatto tutto da solo. Esattamente come i miei coautori. Forse è arrivato il momento di smetterla con lo stereotipo che chiunque lavori nell’università sia un privilegiato, o peggio uno scansafatiche, per usare un eufemismo. Questo sarà stato vero nel passato (forse), ma oggi per arrivare a certi livelli devi lavorare sodo e senza certezze di successo. questo non solo all’estero, ma ormai anche in Italia.
Grazie del suo commento
Francesco Turino
Giuseppe Merola
Salve, sono un fiscalista. Non sono un ricercatore, ma conosco la fiscalità e i suoi danni dal campo in cui lavoro.
È incredibile come quello che avevo in mente l’abbia trovato qui in maniera scientifica. Sono ultra convinto che abbiamo una unica strada da percorrere, ridurre le tasse e aumentare controlli e sanzioni. Il gettito non subisce riduzione e aumentano i consumi. grazie