Da fonti di stampa, apprendiamo che la commissione Finanze del Senato ha introdotto modifiche significative al decreto-legge sulle quote di proprietà della Banca d’Italia. Inoltre, la conversione in legge sarebbe stata rinviata a gennaio. Le modifiche vanno nella direzione che anche noi avevamo indicato, e una pausa di riflessione su questo tema è quanto mai opportuna, per porre rimedio alla fretta con cui il governo stava cercando di attuare modifiche importanti e discutibili dell’assetto proprietario della banca centrale. In particolare, le modifiche apportate rimediano all’aspetto più critico del decreto: quello relativo alla libera trasferibilità delle quote (o, per dirla con le parole del ministro dell’Economia, alla trasformazione della Banca d’Italia in una “public company”). La nuova versione del decreto ripristina in sostanza la clausola di gradimento, attualmente presente nello statuto della Banca, che la versione originale del decreto aboliva: ora si prevede infatti che il Consiglio superiore, nella valutazione dei requisiti dei potenziali acquirenti, abbia un diritto di veto sui nuovi “pretendenti” alla proprietà della Banca stessa. Inoltre, tali soggetti dovranno avere sede legale e amministrazione centrale in Italia. Scompare così l’idea fantasiosa di creare un mercato libero e internazionale delle “azioni” della banca centrale.
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Giuseppe Fantigrossi
Fantasiosa l’idea della privatizzazione della Banca “ex d’Italia”, come oscura la valutazione che della stessa sarebbe stata fatta. Questione ancor meno chiara e non risolta è quella della proprietà delle riserve auree dello Stato Italiano, che alcuni vorrebbero, appunto, attribuire alla Banca-ormai privatizzata.
Stefano
Continuate sempre la Vostra azione di vigilanza tecnica..
oggi in Italia i veri organi indipendenti sono rimasti (alcuni) Docenti universitari, la Corte dei Conti e una parte della magistratura
Piero
Il decreto va ritirato, non modificato, e’ sbagliata l’impostazione, la Banca d’Italia deve essere del governo, deve procedere all’acquisto delle quote seppur rivalutate, obbligando le banche al rafforzamento del patrimonio, destinando all’aumento del capitale sociale delle stesse, aumenta così per loro la capacità di erogare il credito alle imprese.